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Istruzione tecnica e professionale: ci sarà il coraggio di cambiare?

La riforma degli Istituti tecnici e professionali ha ricevuto l'ok del Consiglio dei Ministri. Diverse le questioni affrontate nella norma, dalla digitalizzazione all'internazionalizzazione, passando per il mondo del lavoro. Per i cambiamenti concreti, però, bisognerà attendere i decreti attuativi, demandati al prossimo governo. Mele (Cometa): «Il punto fondamentale di una riforma coraggiosa del mondo dell’istruzione professionale sarebbe la creazione di un collegamento pervasivo col mondo del lavoro»

di Veronica Rossi

Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera alla riforma degli Istituti tecnici e professionali, che va ad aggiungersi a quella degli Istituti tecnici superiori – già legge da luglio – e costituisce un altro tassello del Pnrr istruzione. «La riforma degli istituti tecnici è parte fondamentale del Piano», ha detto il ministro Bianchi, «che punta a qualificare sempre di più il nostro sistema di istruzione, offrendo maggiori opportunità formative a ragazzi e ragazze, con grande attenzione ai territori».

Il testo approvato dal Cdm prevede il rafforzamento delle competenze linguistiche e Stem, oltre all’orientamento verso l’“industria 4.0”, al legame con il tessuto socio-economico locale e la didattica per competenze. «L’aggiornamento dei curricula nella direzione della transizione digitale e ambientale mi sembra un atto dovuto», afferma Alessandro Mele, vicepresidente dell’Associazione Rete Fondazione ITS Italia e direttore generale di Cometa, sodalizio impegnato nell’accoglienza, educazione e formazione di bambini e ragazzi. «Le scuole tecniche e professionali dovrebbero aiutare gli alunni a interpretare la realtà in cui sono inseriti e con cui si troveranno a lavorare». La riforma, inoltre, richiama dei meccanismi per dare continuità tra l’istruzione tecnica e quella terziaria riconoscendo crediti ai tirocini svolti durante il quinto anno di studi e promuove la realizzazione di “Patti educativi 4.0”, in modo che gli istituti, gli enti di formazione accreditati dalle Regioni, imprese, ITS Academy, università e centri di ricerca possano condividere risorse professionali, logistiche e strumentali. «Elementi interessanti del testo sono la laboratorialità e l’innovazione», commenta Mele, «e anche la flessibilità e l’interdisciplinarietà, richiamate in diversi punti».

La riforma, poi, sottolinea l’aspetto della formazione dei formatori – quindi struttura un piano di corsi specifici per i docenti degli Istituti tecnici e professionali – e il riconoscimento di certificazioni che attestino le competenze degli studenti dopo il primo biennio e dopo il secondo biennio, in corrispondenza con il secondo e il terzo livello del Quadro europeo delle qualifiche. A uno spazio comunitario dell’istruzione guarda anche la definizione di misure di supporto allo sviluppo dell’internazionalizzazione degli istituti professionali. Che, però, non dovrebbe dimenticare le specificità del territorio. «Bisogna fare attenzione alla biodiversità delle esperienze italiane», continua il vicepresidente dell'Associazione Rete Fodazione ITS. «Alcune Regioni hanno sviluppato delle significative esperienze nel campo della formazione professionale, bisognerà fare attenzione a non creare antagonismo ma complementarietà».

La riforma, quindi, enuncia buoni principi di indirizzo ma, come spesso accade, la pratica è demandata ai decreti attuativi. La palla, quindi, passa da questo governo a quello che arriverà dopo il 25 settembre. «Queste norme non riguardano direttamente la IeFP (Istruzione e formazione professionale, ndr), ma il nostro mondo osserva con attenzione le evoluzioni dell’istruzione tecnica e professionale», dice Paola Vacchina, amministratrice delegata di Enaip. «C’è molto da fare per rafforzare in tutto il paese la cultura professionale, il rapporto con le imprese e la filiera. Venendo alla riforma, si comprende che occorreva un segnale in attuazione del Pnrr. Sembra che si cerchi di rimediare al grave mismatch tra competenze richieste dalle aziende e diplomi, e questo e’ sicuramente necessario, cosi come l’attenzione alla laboratorialita’ e alla internazionalizzazione, ma molto e’ rimandato alle norme attuative».

Il mondo della scuola, che coinvolge una fetta notevole di popolazione, tra docenti, genitori, alunni, educatori e formatori, dovrà quindi attendere per sapere come verrà realizzata, nella pratica, la riforma degli Istituti tecnici e professionali. «Il vero problema sarà dare luogo a un effettivo cambiamento», dice Mele. «Possiamo salutare con favore l’indirizzo che questo governo vuole dare, però ci sono delle grosse domande sulla capacità di attuazione. La scuola tende a essere molto conservativa, a restare ancorata allo status quo e a resistere ai cambiamenti». Il punto fondamentale di una riforma coraggiosa del mondo dell’istruzione professionale sarebbe la creazione di un collegamento pervasivo col mondo del lavoro. «Ogni scuola dovrebbe avere delle botteghe che ‘adottano’ le classi», conclude il direttore generale di Cometa. «Non si può imparare a giocare a pallone stando alla playstation, così come non si può imparare un mestiere da un manuale. La professionalizzazione ha bisogno di esperienza pratica. Un grande vulnus delle scuole, che le IeFP non hanno, è che non può integrare agilmente come docenti i professionisti del mondo del lavoro».


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