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Medicina del territorio, stare nei luoghi in cui le persone vivono

Una medicina di prossimità, proattiva e generativa che guarda alla personalizzazione delle cure. Se ne è parlato all'XI congresso nazionale di FederSerd, che si è tenuto a Roma, sottolineando la necessità di una governance condivisa fra ambito sanitario, sociale e terzo settore, anche per affrontare il tema delle dipendenze, per esempio quelle patologiche, la cui normativa è ferma a 40 anni fa. Un quadro tracciato con grande competenza da Roberto Berselli, membro del Consiglio di Presidenza della FICT, membro del Consiglio di Presidenza della FICT e Vice Presidente del Consorzio Gruppo CEIS

di Roberto Berselli

Ringrazio gli organizzatori e Federserd per l’invito e per l’opportunità di affrontare un tema così importante come quello della medicina del territorio alla luce anche delle indicazioni emerse dal PNRR (Piano nazionale di Ripresa e Resilienza), ancor di più se queste saranno confermate dal nuovo Parlamento. Ma, indipendentemente da questo, come Federazione abbiamo sempre sostenuto l’importanza di un intervento di qualità, integrato e vicino ai luoghi in cui le persone vivono e operano.

In questi anni di grande disagio e incertezza segnati dal Covid, poi dalla guerra in Ucraina e ora dalla crisi energetica ed economica, il tema della medicina del territorio è tornato centrale e soprattutto l’esperienza del covid ne ha dimostrato l’importanza.

Le Comunità Terapeutiche, e più in generale l’intero sistema dei servizi pubblici e del privato accreditato, già in forte difficoltà, è messo a dura prova e a rischio di sopravvivenza da questa situazione. Non può, quindi, rimanere escluso dal processo di ripensamento della medicina del territorio, a partire dalla ridefinizione delle Case della Comunità che andranno a sostituire le Case della Salute.

La nuova medicina del territorio pensata nell’ottica delle Case della Comunità vuol dire una medicina di prossimità, proattività e generativa, una medicina dell’”andare verso”, una personalizzazione delle cure, basate su una combinazione multidimensionale di interventi terapeutici, assistenziali, di benessere, di supporto e di tutto quanto sia utile per rendere possibile il benessere e la vita quotidiana della persona. Questo si realizza attraverso una governance condivisa fra ambito sanitario, sociale e terzo settore; attraverso integrazione e collaborazione istituendo forme di connessione, continuità, cooperazione fra tutti i servizi interni ed esterni alle case della comunità.

Se l’obiettivo è unire sul territorio sociale e sanitario, con il coinvolgimento del Terzo Settore e della società civile, le dipendenze non possono stare fuori da questo processo, non per nostra velleità, ma perché sono i numeri che lo testimoniano.

I dati “ufficiali” della Relazione sulle droghe al Parlamento ci dicono che neanche la pandemia ha fermato lo spaccio e l’uso di droga non subendo cali, ma cambiando semplicemente i canali di vendita, aprendo la strada a nuovi mercati sempre più difficili da intercettare e contrastare. Da non sottovalutare, ad esempio, l’aumento preoccupante di psicofarmaci senza prescrizione medica in uso tra i giovani, così come l’alcol e le nuove sostanza psicotrope. Per non parlare delle dipendenze comportamentali, come il gioco d’azzardo, che non solo non si è arrestato in pandemia, ma continua ad aumentare con numeri esponenziali.

In questo sintetico quadro, i numerosi servizi di cura e di recupero delle persone con dipendenze patologiche si trovano ad agire all’interno di un sistema normativo fermo a 40 anni fa, incapace di rispondere in modo adeguato alle esigenze di un fenomeno che è invece in costante evoluzione.

Questo tema, che abbiamo portato all’attenzione dei governi passati, della Conferenza Nazionale di Genova, e non ultimo al tavolo del Piano d’Azione Nazionale sulle Dipendenze, non ha trovato ancora né una soluzione né un’ipotesi di soluzione.

Abbiamo bisogno, pertanto, di una politica nazionale che ponga il sistema dei servizi al centro del dibattito politico, e con esso le persone che ne hanno bisogno, e non si limiti a sterili battaglie ideologiche sulla sostanza.

Abbiamo bisogno di un deciso passo in avanti sulla questione delle dipendenze e dei giovani e che sostenga, in ambito nazionale, una visione seria e di prospettiva, capace di parlare di futuro, che creda ancora nella possibilità riabilitativa, che investa sulla vita e sulla dignità delle persone, senza cedere al facile compromesso della “normalizzazione” delle dipendenze e dell’uso di sostanze. E, in questo, i servizi pubblici, così come i servizi del privato sociale accreditato, se messi nelle giuste condizioni, possono giocare un ruolo determinante proprio per il loro storico radicamento nel territorio.

Presso il Ministero della Sanità si era costituito il “tavolo tecnico sulle dipendenze” uno strumento di confronto che speriamo vivamente possa riprendere il suo lavoro anche con il nuovo governo in cui effettivamente ripensare il sistema di cura e presa in carico a 360 gradi.

Le questioni che riteniamo centrali restano per noi sempre le stesse.

1) Una medicina del territorio che parta dalla centralità della persona e la presa in carico globale sanitaria e sociale. La costruzione di un modello che parta dalle persone e non dalle sostanze. La FICT afferma il valore irrinunciabile della dignità di ogni uomo e delle risorse di cui è portatore. Il modello di intervento che auspichiamo si fonda quindi sulla centralità della persona, intesa nella sua straordinaria unicità e capacità relazionale, e si pone l’obiettivo del recupero della massima autonomia ed indipendenza possibile.

2. Una riforma organica e condivisa del DPR 309/90. Ormai irrinunciabile è la previsione di una normativa che tenga conto dell’intero mondo delle dipendenze, comprese quelle comportamentali “senza sostanza”. Come è ormai necessario, bisogna sviluppare gli interventi all’interno di un reale sistema integrato, pubblico e privato, sanitario e sociale, capace di garantire non solo la pari dignità, ma anche e soprattutto l’effettiva esigibilità del diritto di scelta del cittadino utente.

3. Proprio nel rispetto della dignità di ogni persona, nel ribadire la ferma necessità di non criminalizzare in alcun modo l’uso di sostanze, auspichiamo il rifiuto di approcci tesi ad affermare la normalizzazione di tale pratica, una visione che ha già prodotto ingenti danni, soprattutto nella popolazione giovanile e chiediamo di costruire un modello dove la riduzione del danno, RDD, e la limitazione del rischio, LDR, non sia mai fine a sé stesso ma capace di offrire opportunità di cambiamento e proporre stili di vita alternativi all’uso di sostanze.

La medicina del territorio, intesa appunto come intervento integrato sanitario-sociale in un quadro di forte coordinamento pubblico e con il coinvolgimento della società civile, è per noi la strada per un intervento efficace nelle dipendenze. Una consapevolezza che tanti di noi hanno maturato da lungo tempo, che in parte già stiamo attuando per quanto possibile e che speriamo sia riconosciuta anche normativamente al più presto.


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