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“In Antartide, a meno 50°, ho imparato a farmi amica l’incertezza”

Chiara Montanari, ingegnera, è stata la prima italiana a capo di una spedizione in Antartide. Per lei, l’ambiente estremo è una metafora del mondo contemporaneo: caratterizzato da elevata complessità, alto rischio e incertezza permanente. «Oggi spiego alle aziende innovative come gestire l’incertezza, saper cogliere le opportunità e agire con lucidità fronteggiando le emergenze». Antartic Mindset è il nome di questo metodo sviluppato insieme a Gianluca Bocchi, filosofo della scienza

di Redazione

Pianificazione e incertezza non sono due ossimori, ma le due linee guida che tengono insieme e orientano la vita degli individui e della società. Lo testimonia l’esperienza di Chiara Montanari, ingegnera, la prima italiana a capo di una spedizione in Antartide.

Montanari ha un’esperienza di 15 anni nell’organizzazione e gestione di missioni polari. «All’attivo ho 5 missioni in Antartide: sono stata (come Expedition Leader) a capo delle missioni presso le basi di ricerca internazionali più estreme del pianeta (a oggi, rappresentando l’Italia, la Francia e il Belgio)», spiega.

Nel 2013 torna per la quarta volta in Antartide, alla stazione Concordia, a 3300 m di altitudine e a 1200 km dalla costa: un luogo isolato da tutto, un ambiente ostile, gelido, dove le condizioni climatiche impediscono qualsiasi tipo di vita. Vi trascorre i tre mesi dell’estate australe, quando il sole non tramonta mai. Nel 2015 pubblica il libro Cronache dai ghiacci (Mondadori), una sorta di diario di bordo della sua ultima spedizione sul Plateau Antartico, in cui propone l’ambiente estremo come metafora del mondo contemporaneo: caratterizzato da elevata complessità, alto rischio e incertezza permanente.

Il mondo contemporaneo è sempre più simile all’Antartide, un ambiente vasto, pericoloso e imprevedibile che ci sottopone continuamente all’incontro con l’imprevisto

Chiara Montanari

Ma cosa hanno in comune l’Antartide e il mondo di oggi?

«Il mondo attuale sta diventando sempre più interconnesso e sta rivelando la sua complessità. Sempre di più siamo chiamati ad affrontare sfide improvvise, che ci sorprendono per la loro non prevedibilità e per i brevissimi tempi che ci lasciano a disposizione per attraversarle. In questo senso il mondo contemporaneo è sempre più simile all’Antartide, un ambiente vasto, pericoloso e imprevedibile che ci sottopone continuamente all’incontro con l’imprevisto».

Organizzare la vita quotidiana a Concordia non è semplice: l’approvvigionamento di viveri, materiali, carburante dipende dall’arrivo del convoglio via terra – la “traversa” – ma in Antartide nulla è più imprevedibile del meteo, e l’attesa può essere snervante e trasformarsi in un incubo. «La gestione dei rapporti personali in un microcosmo asfittico, dove non vi è la possibilità di isolarsi né di allontanarsi, è l’altra dura prova cui sono sottoposti gli abitanti della base – prosegue Montanari – resa ancora più delicata dalla presenza di pochissime donne e molti uomini. E ci sono molteplici progetti e missioni da portare avanti, progetti che talvolta hanno priorità contrastanti, in uno spazio di tempo molto breve: i tre mesi dell’estate Antartica, da novembre a febbraio. Ma c’è anche la lontananza da casa e dagli affetti, la gestione delle emergenze logistiche e sanitarie e l’inevitabile conflittualità che esse generano».

Se l’ufficio è come l’Antartide

Nessuno direbbe che l’Antartide, a -50 gradi, sia simile ai nostri uffici, poiché «lì non vi è differenziazione di colore rispetto al bianco del ghiaccio e al blu del cielo; tutto è congelato e non si percepiscono odori; e se non c’è vento non vi sono neppure rumori. Nella vasta distesa di ghiaccio del Plateau Antartico si rimane immersi nel silenzio e nell’assenza», osserva l’ingegnera. «Eppure il mondo contemporaneo assomiglia all’Antartide proprio perché ci sta esponendo sempre di più all’incertezza e quindi sta diventando sempre più cruciale imparare ad averci a che fare e, anzi, a prosperare in essa».

Così l’Antartide diventa un maestro

Prima di arrivare in Antartide, Montanari non aveva mai vissuto un “white out”, ma era stata addestrata a riconoscerlo, così quando la prima volta è atterrata ed è uscita dall’aereo ne ha vissuto tutti i dettagli. «Ma quella del white out non era la sola esperienza che non avevo mai fatto, non avevo mai neppure vissuto il congelamento istantaneo. Così, dopo qualche minuto di paura, mi sono tolta la mascherina e mi sono accorta che il white out era tutto nei miei occhi. Uscendo dall’aereo il mio respiro si era congelato sulla maschera, ma in un modo così istantaneo che il mio cervello non se ne era accorto». In pratica, aggiunge, «così l’Antartide diventa un maestro, perché ciò che è interessante non è tanto imparare un’altra tra le regole con cui si può stare al mondo, ma è più importante sviluppare consapevolezza su come le nostre esperienze passate possano condizionare il nostro modo di fare esperienza del presente».

Questo, secondo la specialista, «è il tema principale che guida il nostro rapporto con l’imprevisto e con la novità: siamo talmente abituati a non farci sorprendere dalle situazioni che abbiamo dimenticato come abitare il nostro ambiente. È un tema importante a cui tengo molto, perché può fornirci nuove chiavi di lettura e portarci ad elaborare quelle soluzioni inedite di cui oggi abbiamo un gran bisogno. Questa è la mia scommessa ed il motivo per cui porto l’Antartic Mindset, l’approccio antartico nelle organizzazioni».

Antartic Mindset

Attualmente Montanari vive a tra Milano e la Toscana e collabora con le aziende fortemente orientate all’innovazione, dove è importante costituire e organizzare team molto creativi, e dare vita a un “approccio Antartico”, sviluppato insieme a Gianluca Bocchi, filosofo della scienza e storico delle idee.

«Le organizzazioni e le persone che intraprendono un percorso di Antartic Mindset hanno capito che nel mondo attuale non si possono sviluppare tutte le competenze necessarie. Hanno capito che la preparazione, le competenze e la motivazione delle persone sono fondamentali, ma da sole non bastano, serve qualcosa in più per poter reagire velocemente e creativamente a tutti i cambiamenti a cui siamo sottoposti. Questo vale non solo per le sfide del mercato, ma anche per quelle sociali e ambientali. Questa è esattamente la stessa condizione in cui mi sono trovata quando, da ingegnere, sono diventata capo delle missioni polari. Mi ero preparata molto, sia tecnicamente che fisicamente, eppure ogni missione era un’avventura nuova che, ogni volta, mi sovrastava con una valanga di situazioni impreviste e pericolose. Avevo sempre l’impressione di non fare mai abbastanza, di sbagliare molto, di dover sempre affrontare le circostanze in emergenza e mai mi sentivo a mio agio con questi cambiamenti estremi».

Mi ero preparata molto, sia tecnicamente che fisicamente, eppure ogni missione era un’avventura nuova che, ogni volta, mi sovrastava con una valanga di situazioni impreviste e pericolose. Avevo sempre l’impressione di non fare mai abbastanza, di sbagliare molto, di dover sempre affrontare le circostanze in emergenza e mai mi sentivo a mio agio con questi cambiamenti estremi

Chiara Montanari

«Ma non ho mai mollato, ho continuato a cercare strumenti che mi potessero aiutare e, finalmente, sulla mia via ho incontrato il pensiero complesso. Questo è stato per me un momento di svolta. Sono passata dalla sensazione di “subire” l’imprevisto a quella di “dialogare” con esso e, infine, co-creare insieme. Ora voglio condividere con gli altri questa possibilità. L’Antartic Mindset è un metodo fortemente basato sulle cosiddette “Scienze della complessità”, ma è anche incarnato sulla mia esperienza reale sul campo».

Un esempio: la scoperta del White Out

«Quando si arriva in Antartide – ricorda – si ha l’impressione di essere catapultati su un altro pianeta. Non c’è solo l’incontro con questa meravigliosa vastità, con questa natura allo stato puro, e non c’è solo l’impresa di dover coabitare in ambienti molto affollati e confinati. La cosa più sorprendente è che ci sono nuove regole e nuovi modi di operare a cui dobbiamo rapidamente abituarci. Un’esperienza che racconta bene cosa intendo è la mia prima volta con il “white out”. L’ho raccontata anche in un TEDx. Il “white out” è un fenomeno molto pericoloso, all’improvviso tutto si fa bianco e la visibilità va a zero, non si distingue più niente nello spazio che ci circonda. È come camminare su una nuvola, con la difficoltà che siamo a 50 gradi sottozero e prendere la direzione opposta alla base quasi sicuramente ci potrà essere fatale».

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