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Cooperazione & Relazioni internazionali

Cari amici, riprendiamoci la parola pace

Almeno 80 missili e un numero imprecisato di droni iraniani kamikaze su 14 città ucraine, da Leopoli a Kiev, da Ivano-Frankivsk a Dnipro, da Karkiv a Odessa, colpite al mattino quando la gente si reca al lavoro. A chiunque abbia a cuore un minimo di verità, fattuale e con la “v” minuscola (quella con la maiuscola è brandita dai chierichetti di Putin a partire dal patriarca Kirill), potrà riconoscere che non c’è la minima proporzionalità tra l’aggressione continua e spaventosa di Putin e gli atti della resistenza popolare ucraina. Protestiamo giovedì davanti all'Ambasciata russa

di Riccardo Bonacina

"Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante."

Dietrich Bonhoeffer

Almeno 80 missili e un numero imprecisato di droni iraniani kamikaze su 14 città ucraine, da Leopoli a Kiev, da Ivano-Frankivsk a Dnipro, da Karkiv a Odessa, colpite al mattino quando la gente si reca al lavoro, colpiti i centri città, le abitazioni, i parchi gioco dei bambini, uccisi e feriti decine e decine di ucraini. A darmi la notizia di prima mattina sono le lacrime di Vika una mamma con due figli che ospito a casa, il dolore di una donna ucraina mi arriva prima delle notizie che poi mi raggiungono insieme alle immagini, atroci, e alle mappe che spiegano che intieri quartieri nelle città sono senza luce e gas.

In un discorso trasmesso dalla televisione di Stato russa, Putin ha «giustificato» i raid condotti oggi contro gli abitanti civili dell'Ucraina come una rappresaglia. Gli ha fatto eco il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, l’imbarazzante Dmitry Medvedev per cui gli attacchi di oggi in Ucraina sono solo un «primo episodio» di rappresaglia. Le parate e le parole dell’apparato russo richiamano ormai esplicitamente le peggiori dittature della storia.

Purtroppo le veline russe hanno trovato pronta eco e consonanze in Italia da chi ha parlato di “azioni e reazioni”.

A chiunque abbia a cuore un minimo di verità, fattuale e con la “v” minuscola (quella con la maiuscola è brandita dai chierichetti di Putin a partire dal patriarca Kirill), potrà riconoscere che non c’è la minima proporzionalità tra l’aggressione continua e spaventosa di Putin e gli atti della resistenza popolare ucraina. In questi 229 giorni di aggressione la Russia non ci ha risparmiato nulla, le violenze sulle donne, le camere delle torture, le fosse comuni di civili ammazzati a sangue freddo, le bombe a grappolo, quelle al fosforo, le forme di guerra ibrida come i campi di grano bruciati, i ricatti sull’energia, lo spregio di ogni regola internazionale (dall’autodeterminazione di ogni popolo al divieto di annettersi territori con la forza). Basta leggere i risultati resi noti il 23 settembre dalla squadra di esperti Onu di ritorno dall’Ucraina che mostrano prove e testimonianze di un catalogo sterminato degli orrori commessi, da Bucha a Hostomel: esecuzioni, torture e stupri in maniera indiscriminata, commettendo violenza su vittime di età compresa tra 4 e 84 anni. “Erano trent'anni che l'Europa non si trovava davanti a tanta brutalità, dal tempo dei massacri in Bosnia”, scrivono nel report.

Come ricordano i papi, da Giovanni Paolo II a Francesco “non c’è pace senza verità e senza giustizia”. Non può esserci iniziativa per un negoziato serio se non si prende atto di questa sproporzione, se non la si sottolinea tracciando una linea tra aggressore e aggredito. Non è un caso che papa Francesco nell’Angelus del 2 ottobre tutto, irritualmente, dedicato alla guerra in Ucraina, dopo essersi rivolto a Putin di fermare la “spirale di violenza e morte” si sia rivolto a Zelensky usando proprio l’espressione “serie iniziative” (“dirigo un altrettanto fiducioso appello al Presidente dell’Ucraina ad essere aperto a serie proposte di pace”), e non credo pensasse a quelle del miliardario Elon Munsk, o a quelle mai scritte della Federazione russa che invece delle parole preferisce i missili.

Purtroppo, nel nostro Paese, in particolare, la parola pace è diventata divisiva, per molti, pace è chiedere di non inviare armi all’Ucraina perchè se continua a difendersi si rischia la guerra nucleare e un po’ di freddino nelle nostre case. Sembra un non sense e invece no, lo affermano ogni giorno. Dall’altra parte chi pensa che il popolo ucraino abbia il diritto di difendersi da un’aggressione crudele e illegittima, non ha dimostrato di aver la forza di urlare in faccia a Putin che pretendiamo la pace a partire da un cessate il fuoco immediato.

Chi ha a cuore la parola pace non può e non deve lasciare questa parola a chi la identifica con la resa, sperando che così Putin "la smetta". L'abbiamo visto a Bucha cosa è successo ai cittadini disarmati che si erano arresi.

Del resto i nonviolenti vincono quando decidono di usare questo loro potere per far avanzare “la forza della verità”, il satyagraha come insegnava Gandhi. Prima di tutto con le parole e con i corpi. Non possiamo fermare la guerra con le nostre mani, ma possiamo far avanzare la pace.

Per questo invito tutti a partecipare al sit-in che il Movimento di Azione Nonviolenta insieme ad altre associazioni ha indetto per giovedì 13 a Roma alle 18,30 davanti all'Ambasciata russa. Per aderire cliccate qui


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