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Franco Rotelli: i pazienti psichiatrici non sono pericolosi ma abbandonati dallo Stato

Lo psichiatra allievo di Franco Basaglia spiega a VITA che i tragici fatti di cronaca che coinvolgono persone con disagio psichico rischiano di alimentare lo stigma legato alla malattia mentale. Per promuovere e sostenere la salute psichica, tuttavia, è necessario un maggiore interesse da parte delle istituzioni verso questo tema e una territorializzazione della sanità, che permetta di seguire i soggetti più fragili nella quotidianità e in maniera adeguata alle loro esigenze

di Veronica Rossi

Per promuovere e sostenere la salute mentale “servono servizi, presenza, vicinanza”, che in Italia stiamo perdendo, nel disinteresse della politica. È questa l’opinione di Franco Rotelli, psichiatra allievo di Franco Basaglia, che abbiamo raggiunto a Trieste per un commento sui tragici fatti di cronaca avvenuti ieri in Lombardia, che hanno visto il coinvolgimento di due persone con una storia di sofferenza psichica. Notizie come queste rischiano di accrescere lo stigma di cui sono vittime i pazienti psichiatrici, spesso accusati di essere pericolosi e violenti. La realtà – ha spiegato l’esperto – è ben diversa e richiama a una responsabilità delle istituzioni verso i soggetti più fragili.

Dottor Rotelli, quali riflessioni le suscitano i fatti accaduti ieri?

Di fronte a fatti di questo genere mi viene da fare alcune considerazioni. La prima è che episodi di violenza, purtroppo, possono capitare, sia da parte di persone con problemi psichici che da parte di persone considerate “normali”: non è possibile impedirli in maniera assoluta. Detto questo, però, bisogna riconoscere che i “malati di mente” non si macchiano di azioni violente in modo statisticamente superiore rispetto agli altri: tutti possiamo essere pericolosi o meno, in base a un gran numero di variabili che intervengono nelle nostre vite. La questione vera riguarda la particolare attenzione che bisogna avere per la salute mentale e per i rapporti che si stabiliscono con chi vive dei disagi. Servono servizi, presenza, vicinanza. In Italia, però, anno dopo anno stiamo perdendo sempre di più questa prossimità.

Come mai?

Ci stiamo allontanando dai pazienti e stiamo riducendo i servizi. Stiamo tornando a strutture residenziali, che però non hanno niente a che vedere col seguire le persone nella loro quotidianità. Stiamo andando indietro anche dal punto di vista delle risorse finanziarie, che diminuiscono sempre di più. In Italia per la salute mentale viene destinato meno del 3% della spesa pubblica per la sanità, quando in altri Paesi i finanziamenti arrivano a due cifre.

Qual è il motivo di questo disinteresse per la salute mentale?

Credo sia una reazione ideologica a qualcosa che in passato è stato accusato di avere un carattere ideologico. La legge 180, che ha comportato la chiusura dei manicomi, da molti è stata vista come un atto di civiltà, ma altri l’hanno considerata una forzatura. Questi ultimi dicono che, se gli ospedali psichiatrici non servono, allora non c’è nemmeno bisogno di finanziamenti. Purtroppo questa banalizzazione l’ho sentita da diversi amministratori. In generale in Italia si percepisce l’assistenza sanitaria principalmente come visite e ricoveri nei nosocomi, si investe sui macchinari e sulle strutture, ma non su tutto ciò che sta fuori.

Che invece è importantissimo.

Certamente. La maggior parte delle patologie, ora, sono malattie di lunga durata, che ci si porta avanti tutta la vita ma che non comportano la morte. Prendiamo come esempio la città di Trieste: su 200mila abitanti ci sono 13mila diabetici, che hanno grandi bisogni di assistenza ma una necessità limitata di ospedalizzazione.

Tornando alla salute mentale e ai fatti di cronaca di ieri, sui social, in queste ore, stiamo leggendo dichiarazioni forti, di persone che inneggiano alla reclusione di chi ha problemi psichici.

Sono stupidaggini, scritte da persone che si esprimono ma che non vogliono capire o sapere nulla. Come ho già detto, solo una parte infinitesimale degli atti violenti sono commessi da persone con disturbi mentali, lo dicono i dati. Quelle che leggiamo sui Social Network sono reazioni facili, perché fa comodo identificare un nemico e dargli addosso.

È necessario, però, che chi ha problemi psichici acconsenta a essere seguito da esperti.

Il rifiuto delle cure è tanto più probabile quanto meno si è capaci di costruire un rapporto diretto con le persone. Se la relazione con il medico è occasionale, fredda, tecnica – in buona sostanza inconsistente – la disponibilità ad accettare di essere curati diminuisce o si azzera. Si entra, quindi, in un circolo di abbandono e quindi di maggiore predisposizione a comportamenti anomali.

Se la relazione con il medico è occasionale, fredda, tecnica – in buona sostanza inconsistente – la disponibilità ad accettare di essere curati diminuisce o si azzera.

Franco Rotelli

E a volte è il sistema stesso che abbandona chi ha difficoltà mentali.

Molte volte e in molte parti d’Italia. Ci sono luoghi dove il sistema non c’è o ci sono solo servizi minimali oppure ospedalieri. So di casi in cui i pazienti vogliono ricoverarsi, ma non trovano un riscontro da parte del sistema sanitario. Siamo in una situazione drammatica, perché la politica non risponde su questo tema.

La legge 180, dunque, dopo quasi 55 anni, resta in parte ancora da attuare.

La 180 fissava dei principi e stabiliva novità forti, ma con un articolato molto stringato. Si trattava, poi, di darle applicazione. Qualche anno fa abbiamo proposto una legge in cui indichiamo quali potrebbero essere le strutture coerenti con la norma basagliana, ma non è stata ancora approvata, né dai Governi di centro-destra né da quelli di centro-sinistra.

La politica quindi trascura la salute mentale?

Basti pensare solo al fatto che la legge 180 continua a essere chiamata Legge Basaglia, che però non era un deputato, era un medico. I politici, all’epoca, l’hanno approvata perché si paventava un referendum, ma poi hanno lasciato la responsabilità della chiusura dei manicomi a Franco Basaglia. Il solo intervento positivo che ricordi è stato fatto da Rosy Bindi, quand’era ministra della sanità durante il Governo Prodi, che ha chiuso definitivamente gli ospedali psichiatrici. Per il resto, c’è un grande disinteresse.

Bisognerebbe parlare di più e meglio, quindi, della salute mentale?

Si dovrebbe parlarne in Parlamento, per organizzare i servizi e generare provvedimenti legislativi adeguati per affrontare la situazione. Non è pensabile eliminare del tutto la possibilità che chi ha un disagio psichico – come tutti gli altri, del resto – abbia comportamenti violenti, ma esistono modi per limitare l’eventualità che esplosioni di questo tipo accadano: servono però interventi mirati e corretti e c’è bisogno, soprattutto, di attenzione al tema della salute mentale.

La foto di Rotelli è un frame dell'intervista di 180 gradi dal titolo "Si può fare diversamente".


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