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5 motivi per cui la violenza di genere e quella nella ritmica sono gemelle

E’ possibile fare – almeno – cinque parallelismi tra la violenza di genere e la violenza che sta emergendo dal mondo della ginnastica ritmica. Dopo le denunce di Nina Corradini e Anna Basta, atlete e famiglie stanno scrivendo ai giornali e sui blog per dire: anche a me, anche a me. E’ questo un nuovo MeToo?

di Sabina Pignataro

La violenza psicologica è violenza. Anche nello sport. Anche quando ad esserne vittime non sono donne e ragazze menate da mariti, fidanzati e partner. Ma bambine e giovani atlete. La violenza psicologica, lo spiega chiaramente ChangeTheGame, l’associazione che dal 2017 è impegnata a proteggere atlete e atleti da violenze e abusi sessuali, fisici, psicologici, «include ogni azione che provoca o può provocare danni alla salute psicologica e mentale o allo sviluppo sociale e spirituale di un bambino/bambina». Questi atti comprendono: «umiliazioni, urla, rifiuto, isolamento, minacce, assenza di attenzioni o sostegno, denigrazioni, critiche ingiuste o fare di un bambino o bambina un capro espiatorio. In ambito sportivo, la pressione per ottenere prestazioni irrealistiche sfocia spesso in violenza psicologica».

Nina Corradini, Anna Basta, Giulia Galtarossa, e tutte le altre che stanno denunciando gli abusi subiti attraverso i quotidiani, hanno aperto il vaso di pandora sulle violenze psicologiche nella ginnastica ritmica. Ma purtroppo è necessario avere il coraggio di allargare lo sguardo.

Con Daniela Simonetti, presidente ChangeTheGame, avevamo fatto un lungo approfondimento in questo articolo. «Le varie forme di violenza e abusi (fisici, psicologici o sessuali) commessi nei confronti delle persone di minore età non risparmiano il contesto sportivo. Abbiamo raccolto decine e decine di testimonianze nel volley come nell’equitazione, nel nuoto, nel ciclismo, nel calcio e nella danza».

«Siamo stati i primi a denunciare gli abusi nello sport – aveva commentato -. Eppure ancora oggi restano sottovalutati la violenza delle parole, la sopraffazione emotiva e fisica, la competitività precoce che fa del bambino un mero oggetto, la violenza sessuale frutto di manipolazioni e di un eccesso di potere da parte di coach non preparati e non formati».

E’ possibile fare – almeno – cinque parallelismi tra la violenza di genere e la violenza che sta emergendo dal mondo della ginnastica ritmica.

Primo parallelismo: lo stesso Victim Blaming

Ci sono molti parallelismi tra la violenza domestica e la violenza contro le atlete. In entrambi i casi c’è qualcuno che crede di poter disporre di un potere illimitato sull’altro, che tracima e deborda, che viene esercitato senza freni. In entrambi i casi ci sono donne, ragazze e bambine che pensano: «forse sono sbagliata/ ho sbagliato», «tanto se denuncio non mi crederanno», «se denuncio sarà ancora peggio». Paura di non essere credute e paura che sia colpa propria (l’orribile “se l’è andata a cercare”) sono le stesse emozioni vissute da alcune donne vittime di violenza domestica. Si chiama "victim blaming”, letteralmente la colpevolizzazione della vittima e consiste nel ritenere la vittima di un crimine o di altre sventure parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto e spesso nell'indurre la vittima stessa ad autocolpevolizzarsi.

I numeri

Una rilevazione in 6 Paesi europei (Austria, Belgio, Germania, Romania, Spagna, Gran Bretagna) ha di recente rivelato che il 75% di atlete e atleti ha riferito di aver subito almeno una violenza prima dei 18 anni (per il 44% emotiva, 37% fisica, 35% sessuale senza contatto fisico, 20% con contatto fisico) in ambito sportivo.
Da uno studio della Federcalcio mondiale del 2021 è emerso un dato spaventoso: oltre un’atleta su due, considerando tutti gli sport, ha subìto almeno una volta durante la sua carriera violenze psicologiche o sessuali da parte di soggetti interni al proprio mondo, soprattutto allenatori.
In Italia? Bo! Partirà proprio in questi giorni una prima ricerca nazionale sull’incidenza dei reati su minori nello sport, promossa e ideata da ChangeTheGame, con la collaborazione di Terre des Hommes, Fondazione Candido Cannavò e il dipartimento dello Sport del Governo. (La decisione precede le denunce di questi giorni. Ne avevamo scritto qui)

Secondo parallelismo: la violenza vissuta in totale solitudine

Il 25 novembre 2021, alla presenza della presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati, dalle ministre Elena Bonetti (Pari opportunità e famiglia), Marta Cartabia (Giustizia) e Luciana Lamorgese (Interno), la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio aveva presentato un documento che fotografava i femminicidi commessi nel 2017-2018. «Il 63% delle donne non aveva riferito a nessuna persona o autorità le violenze pregresse subite dall’uomo. É questo un dato particolarmente critico della situazione, purtroppo del tutto in sintonia con le stime emerse da altre indagini sulla violenza nel suo complesso. «Denota – scrivevano gli esperti- la grave difficoltà che le donne incontrano nel cercare aiuto e allo stesso tempo denuncia il forte ritardo delle istituzioni a investire sulla costruzione di contesti adeguati a favorire la ricerca di aiuto e di sostegno da parte delle donne». Non è così forse anche per le atlete?

Terzo parallelismo: Il mancato contributo della collettività

Dal documento citato prima è emerso un elemento assai significativo: «il 35% delle vittime di femminicidio aveva confidato a qualcuno le condotte violente e sopraffattorie di colui che poi le avrebbe uccise. Questo dato dimostra, dunque, che in un terzo dei casi parenti, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro, medici, operatori dei servizi sociali, psicologi, sacerdoti, o professionisti conoscevano la situazione di violenza e lo stato di pericolo della vittima, ciononostante non risultano esservi state autonome denunce».

«Di fronte ad un abuso in ambito sportivo – commenta Daniela Simonetti- sul banco degli imputati dovrebbero finire tutti coloro che hanno visto, che sapevano ma hanno fatto finta di non vedere e di non sapere».

Quarto parallelismo: la fatica di denunciare

Dal documento citato sopra risulta che sono molte le ragioni che disincentivano le donne dal denunciare: tra queste, «la convinzione di poter gestire la situazione da sole, la paura di subire una più grave violenza, il timore di non essere credute, il sentimento di vergogna o imbarazzo, il senso di sfiducia nelle forze dell'ordine».

Ed è la stessa cosa che hanno raccontato Nina Corradini e Anna Basta. E infatti gli episodi di violenza a cui fanno riferimento risalgono a un paio di anni prima. Dopo il loro coraggio, dopo le loro denunce e tutta l’attenzione mediatica e istituzionale che si è sollevata, altre atlete e famiglie stanno scrivendo ai giornali e sui blog per dire: anche a me, anche a me. Me too.

E’ questo un nuovo MeToo?

Negli Stati Uniti tutto è cambiato dopo la vicenda terribile e sconvolgente di Larry Nassar, il medico della Federazione di Ginnastica Artistica, condannato a febbraio 2018 dopo aver molestato oltre 260 piccole atlete, praticamente bambine, nell’immobilismo dei vertici federali.

Quinto parallelismo: non è una questione privata

In questo contesto, è importante non derubricare le testimonianze che emergono dal mondo della ritmica come se fossero questione privata, come se la loro esperienza dipendesse meramente dalla sfortuna, da una colpa, dal desiderio di voler eccellere. Rendiamoci conto che c'è una dimensione sociale, educativa, e culturale. Lo spiega bene questa società di ginnastica ritmica, Gymnasium97' qui: «Vessazioni e violenze sono spesso scambiate come pratiche per il riconoscimento dell’autorevolezza e l’umiliazione inflitta viene confusa con lo spirito di sacrificio. Accade per diverse ragioni: uno standard impossibile da raggiungere; allenatrici e allenatori totalmente inadeguati al ruolo di educatori; mancanza di progetti formativi per gli staff sportivi su materie come la psicologia dell’educazione; l’omertà delle famiglie (anche loro vittime di un sistema) che temono ritorsioni durante le gare. È un vaso di Pandora che si apre e che dovrebbe spingere chi è ai vertici di questa disciplina sportiva a riformare non solo il codice dei punteggi ma anche quello delle affiliazioni, pretendendo trasparenza e mettendo a disposizione enti per la formazione pedagogica dei tecnici e delle tecniche nonché sportelli di ascolto per ginnaste e ginnasti».

Vessazioni e violenze sono spesso scambiate come pratiche per il riconoscimento dell’autorevolezza e l’umiliazione inflitta viene confusa con lo spirito di sacrificio. Accade per diverse ragioni: uno standard impossibile da raggiungere; allenatrici e allenatori totalmente inadeguati al ruolo di educatori; mancanza di progetti formativi per gli staff sportivi su materie come la psicologia dell’educazione; l’omertà delle famiglie (anche loro vittime di un sistema) che temono ritorsioni durante le gare

Come riconoscere i segnali

«Alcuni segnali che giovani atlete e atleti abbiano subito abuso o violenza –spiega ChangeTheGame– sono: cambiamenti improvvisi e/o estremi nell’umore o nell’interesse per lo sport o nella performance; riluttanza a partecipare agli allenamenti; lamentele sul modo in cui si viene trattati dal coach o dai compagni o rifiuto di parlare di sé; segni fisici (lividi, tagli, morsi o bruciature) o infortuni ripetuti, fratture da stress, disidratazione; regali o trattamenti speciali a differenza di altri compagni di squadra. Nessuno dei segnali costituisce di per sé la prova di una violenza o di un abuso. Ma se si manifestano si rende necessaria un’indagine accurata».

Perché è importante che non cali il silenzio

Al di là dell’inchiesta sui fatti specifici che non devono assolutamente rischiare di essere minimizzati o circoscritti ai vertici della pratica sportiva, è importante che emergano tutte quelle voci di dissenso che da sempre costellano la ginnastica ritmica chiedendo un cambiamento. Queste voci raccontano la persistenza di metodi militari, punitivi e contrari a ogni forma di educazione con l’aggravante che situazioni analoghe si verificano anche a livello amatoriale con atlete giovanissime, ovvero bambine di 8 e 9 anni.

A chi chiedere aiuto?

Chiunque sia stato vittima o testimone di abusi psicologici, fisici o sessuali può rivolgersi allo sportello on line Ti Ascolto di ChangeTheGame. www.changethegame.it/segnalazione-abuso/

Immagine di apertura: uno scatto delle Farfalle azzurre. Dalla pagina facebook


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