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I Fridays africani esclusi dalla Cop 27 in Egitto

Sono centinaia gli attivisti per il clima africani che rimarranno esclusi dalla conferenza mondiale per proteggere il futuro Pianeta che, prima di partire - dopo il “Bla bla bla” con cui era stata etichettata la Cop26 da Greta Thunberg -, rischia di essere ricordata per il “Blood blood blood” (sangue) degli attivisti per i diritti umani egiziani, ma anche per le Ong africane e i Fridays esclusi

di Luca Cereda

Domenica inizierà la 27esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Cop27, e quest'anno si terrà in Egitto dal 6 al 18 novembre a Sharm El-Sheik. Per la prima volta nel continente africano. Dopo l'esito poco concreto – e rassicurante – della conferenza precedente a Glasgow si punta tutto sulla prossima in un momento storico particolarmente delicato: la guerra in Ucraina e la crisi energetica rischiano di compromettere i progressi ottenuti fino ad ora, ostacolando l'abbandono dei combustibili fossili. L'ingiustizia climatica che colpisce la regione farà da sfondo alla conferenza, soprattutto considerando che l'intera Africa è responsabile solamente del 4% di tutte le emissioni mondiali ma allo stesso tempo è la prima a risentire l'impatto delle conseguenze climatiche.

Anche per questo motivo negli ultimi anni sono tanti i giovani che a livello locale e nelle sedi internazionali si sono spesi in prima persona per sensibilizzare sugli effetti del cambiamento climatico e le proprie comunità. Centinaia di loro però non ci saranno alla prima Cop africana: «La mia voce è importante. Voglio il privilegio di parlare perché lo faccio per 2 milioni di nigeriani che subiscono le conseguenze della crisi climatica». Goodness Dickson, 29 anni, di Abuja è uno delle centinaia di attivisti africani che rischiano di rimanere esclusi dalla Cop 27, la Conferenza sul clima dell’Onu. Il motivo è molto semplice, e per questo fa pensare che l’esclusione indiretta gli attivisti sia invece molto più volontaria di quanto sembri ad un primo sguardo: i costi altissimi per gli alloggi e i trasporti verso la località egiziana – lievitati in seguito alla Cop – si uniscono alle difficoltà nell’ottenere l’accredito. È questa la denuncia di Goodness e degli altri attivisti per il clima che sentono messe a tacere le rivendicazioni delle comunità e degli Stati più colpiti dalla crisi ecologica. «Sto raccogliendo fondi e cercando Ong che ci possono aiutare a ottenere i badge. Questa dovrebbe essere la Cop dell’Africa, quella in qui si discutono le riparazioni climatiche per il nostro continente. – afferma Dickson – Se noi attivisti non ci siamo però non lo sarà».

Le emissioni globali inquinano l'Africa

Molti di questi esclusi eccellenti sono costante contatto con l’ambientalista ugandese più celebre al mondo, Vanessa Nakate, «La mia ispirazione insieme a Greta», spiega Dickson, che è il fondatore di Eco Clean Active initiative, una rete di più di 200 persone impegnate a ripulire la Nigeria dalla plastica e dagli altri rifiuti provenienti dal Nord del Mondo. La sua campagna per la giustizia climatica è iniziata nel 2019, «quando l’emergenza mi ha riguardato in prima persona. Stavo studiando ma non riuscivo perché le temperature fuori erano altissime e allora ho iniziato a fare delle ricerche». Anche se ospita il 15% della popolazione mondiale, il continente africano contribuisce solo al 4% alle emissioni globali di gas serra. Le quote degli altri continenti sono ben superiori: da sola la Cina produce il 23% della Cina, Gli Usa il 19% e l’Unione Europea il 13%. Gli effetti della crisi ecologica però colpiscono maggiormente proprio l’Africa. «La mia Nigeria la sta sperimentando in maniera durissima – racconta ancora Dickson –. Nell’ultimo anno abbiamo contato almeno 300 vittime della crisi. Un milione di persone sono rimaste senza casa a causa delle inondazioni che continuano a ripetersi da gennaio. Non distruggono solo gli edifici, ma anche i campi e i raccolti, ci portano alla fame, alla carestia e a migrare in altri Paesi – continua l’attivista –. Si tratta di una sfida molto seria e la Cop 27 potrebbe dare a me e alla Nigeria una grande opportunità: quella di spingere chi ha il potere a cambiare la vita di molte persone», riducendo le emissioni. Peccato che questa chance sembri essere difficile da concedere non solo a Dickson.

Gli attivisti per il clima africani sono ormai leader dalla transizione ecologica nei loro Paesi

Al momento le iscrizioni alla Conferenza di Sharm sono più di 35mila, un successo secondo Il Cairo. Registrarsi però non significa necessariamente ottenere il badge per partecipare agli eventi e poter presentare le proprie istanze su clima e ambiente ai delegati dei Paesi partecipanti. Solo il 20% degli attivisti africani è infatti riuscito ad assicurarsi un accredito ai negoziati. Molti di loro inoltre non riescono a coprire le spese di viaggio, alloggio e visti, secondo la Coalizione dei giovani leader climatici africani, che comprende i gruppi come Fridays for Future e Riseup in Africa. Nello specifico, nessun giovane proveniente da Egitto, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Mali, Tanzania, Marocco , Ciad, Sud Africa, Benin e Somalia ha ottenuto, per ora, un posto alla Cop 27. Avere un contatto con le Ong serve a poco: anche loro hanno a disposizione un numero di accrediti limitati. «Spesso siamo studenti, abbiamo poche risorse e veniamo da Paesi che da anni sono in crisi economica. Chiediamo alle Ong che hanno ancora badges di aiutarci e all’Onu di aumentare gli accrediti – spiega Omar Elmawi, attivista per il clima dell’Africa orientale e membro del comitato dei Fridays africani –. In questo modo però molte voci non verranno ascoltate».

Anche avere l’approvazione del visto da parte dell’Egitto può essere complicato. Le attese sono lunghe, la burocrazia è complessa e molti ambientalisti potrebbero ricevere il visto per entrare nel Paese troppo tardi. «Come piantiamo alberi, come riduciamo le emissioni se dobbiamo combattere con inondazioni e siccità se non abbiamo fondi – concede Goodness –? Sto cercando di raccoglierli per gli attivisti della mia organizzazione e sostegno per gli accrediti, ma temo che ormai sia tardi. La Cop 27 deve appartenere alle comunità e ai movimenti per il clima, deve essere il momento in cui l’Africa è al centro tribuna e può chiedere ciò che le spetta».

Ambiente e diritti umani negati alla Cop27

Uno dei obiettivi chiave del summit, oltre a quello sulla valutazione dei progressi compiuti dai vari paesi dopo l'accordo di Parigi del 2015, ma l’idea è quella di accendere un faro sul continente africano. Ufficialmente però, il governo egiziano ha concesso soltato a 35 Ong locali di partecipare alla conferenza. La realtà, però, è anche qui, peggiore di quello che sembra: Hossam Bahgat, fondatore dell’Egyptian initiative for personal rights (Eipr), ha detto all’agenzia Reuters che «l’elenco delle organizzazioni accreditate non include una singola associazione per i diritti umani: non c’è nessuno dei gruppi indipendenti per i diritti umani in Egitto, compresi quelli che stanno lavorando sul rapporto tra diritti umani, giustizia ambientale e giustizia climatica».

I timori di Bahgat sono confermati da un report di Human rights watch, secondo cui il governo egiziano – anche attraverso la violenza e finanziamenti arbitrari – ha costantemente scoraggiato e represso i gruppi ambientalisti locali, costringendo alcuni membri a lasciare lo Stato. L’Ong con sede a New York sostiene che dal 2014, anno di insediamento di Abdel Fattah al-Sidi, lo spazio per l’ambiente e per il clima si sia drasticamente ridotto all’interno del Paese. Gli attivisti – rimasti anonimi – intervistati da Human rights watch hanno parlato di molestie, intimidazioni, restrizioni di movimento e arresti: ingredienti che creano un’atmosfera generale di paura. Lo stesso clima descritto a inizio ottobre da alcuni membri indipendenti del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc). Anche per questo, a rimarcare una contraddizione tanto stridente è stata negli ultimi mesi la giornalista e attivista Naomi Klein, autrice del best-seller No Logo, che il 7 ottobre scorso ha firmato sul The Intercept un articolo incandescente dal titolo “Da Blah blah blah a Blood blood blood – Tenere il Summit COP27 nello Stato di Polizia egiziano crea una crisi morale per il movimento per il clima”. E a proposito di “loghi”: è Coca-Cola lo sponsor ufficiale dell’evento africano. «Molte persone avranno pensato a uno scherzo, seppure di cattivo gusto, ma è tutto vero», ha commentato l’Ong Greenpeace, che ha ricordato il primato di Coca Cola nella produzione di rifiuti in plastica in tutto il mondo.


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