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Economia & Impresa sociale 

Disparità di genere, in Italia lavora una donna su due

Presentato “Women4: superare le disparità di genere per un futuro del lavoro sostenibile”, uno studio di Gi Group Holding sulle barriere che ostacolano l’occupazione femminile in alcuni settori del nostro Paese. Un elevato divario tra le competenze richieste dalle imprese e quelle di cui sono in possesso i lavoratori (superiore al 40%). Questo limite riguarda soprattutto i livelli manageriali e dirigenziali, più raro negli altri inquadramenti. Le possibili soluzioni

di Redazione

È stato presentato oggi al Palazzo del Lavoro di Milano uno studio di Gi Group Holding promosso con Fondazione Gi Group in collaborazione con Odm Consulting, sulle barriere che ostacolano l’occupazione femminile in alcuni settori in Italia, quelli a maggior disparità di genere (che sono anche tra quelli maggiormente in crescita) e che quindi offrono più prospettive occupazionali, andando poi a individuare possibili misure e interventi a livello azienda e Paese. In Italia l’occupazione femminile non raggiunge il 50%. Allo stesso tempo, si registra un elevato divario tra le competenze richieste dalle imprese e quelle di cui sono in possesso i lavoratori (superiore al 40%). Precludere alle donne queste opportunità di lavoro sarebbe non solo anacronistico, ma anche controproducente per le aziende e per il Sistema Paese, che non può pensare di raggiungere (superare?) quota 50% senza rivolgersi alla popolazione delle lavoratrici manuali inoccupate (un segmento più ampio di quello manageriale).

Lo studio, intitolato “Women4: superare le disparità di genere per un futuro del lavoro sostenibile”, rileva che l’attenzione alla parità di genere e all’occupabilità delle donne, negli anni, si è rivolta soprattutto ai livelli manageriali e dirigenziali. Più raro è il focus sugli altri inquadramenti e sulle possibili soluzioni per contrastare la disparità di genere anche orizzontalmente e trasversalmente. I settori indagati sono Ict, logistica/trasporti e meccanica/automotive, in quanto replicano dinamiche e situazioni facilmente riscontrabili anche in altri ambiti ritenuti “ad appannaggio maschile”. Si tratta di comparti fortemente in crescita, complici la transizione digitale e l’eCommerce, che registrano quindi un aumento della domanda di personale, e al contempo un elevato skill mismatch. Infine, sono tra i settori dell’economia che presentano un elevato tasso di disparità occupazionale uomodonna: l’Ict è al 36,8%, il settore logistica/trasporti al 56,6% e il settore meccanica/automotive al 47,1%.

Quali sono i fattori e gli aspetti delle attività di questi comparti che contribuiscono a una cultura “maschile”? Trasversalmente, le aziende ritengono che siano gli orari il principale aspetto non attrattivo e non favorevole per le lavoratrici e le candidate, seguito subito dopo dalla leadership e dal linguaggio e dai modi di fare, alla base della cultura. Questi ambiti sono, infatti, contraddistinti da processi produttivi che richiedono disponibilità in termini di orari e, in alcuni casi, anche di mobilità, ma esistono pure credenze stereotipate e pregiudizievoli per cui tali settori si pensa siano appunto “maschili”. Va poi considerato che la partecipazione delle ragazze ai percorsi universitari Stem (Science, Technology, Engineering, Maths) continua ad essere marginale. Nel 2021, solo il 21% delle iscritte all’università ha scelto un corso Stem. Dato in leggero aumento rispetto agli anni precedenti, ma ancora limitato, soprattutto se si considera che le donne rappresentano il 60% dei laureati in Italia (Almalaurea, 2022). Nell’anno scolastico 2020/2021 le donne rappresentavano il 78% del totale delle persone iscritte e l’80% delle persone laureate in una facoltà umanistica; il 67% delle persone iscritte e il 68% delle persone laureate in ambito medico; il 55% degli iscritti e dei laureati in scienze sociali; il 27% delle persone iscritte e il 30% delle persone laureate in ingegneria e tecnologia (Miur, 2022).

Lo studio evidenzia che è diffusa, a livello manageriale/dirigenziale, la consapevolezza che sia importante occuparsi di parità di genere in tutti e tre i settori e intervenire per superare le disparità esistenti. I motivi sono molteplici, il primo indicato consiste nel ritenere che “occuparsi di parità di genere può avere un impatto positivo su tutto il settore”. Ma solo 1 su 3 degli intervistati lo vede come fattore a supporto dell’aumento dell’occupazione femminile nel Paese. Quali sono, allora, gli interventi che si possono introdurre per rendere più attrattivi questi settori agli occhi di candidate e lavoratrici? Il bilanciamento tra i tempi lavorativi e i tempi extra-lavorativi risulta la problematica maggiormente sentita e trasversale ai tre settori e, di conseguenza, la prima area di intervento secondo le aziende (introduzione di misure di flessibilità oraria e smartworking, revisione della gestione dei turni, ampliamento dei servizi di welfare per favorire il work-life balance). Tra le misure da adottare figura la Certificazione sulla Parità di Genere o Certificazione ISO 30.415. Orientamento e formazione, inoltre, sono validi alleati nel contrastare stereotipi e gender gap: attività rivolte a giovani e famiglie per far conoscere le necessità occupazionali del Paese, percorsi formativi post-diploma, dati sull’inserimento in questi settori, percorsi a supporto delle transizioni lavorative. In questa direzione si muove il progetto di Gi Group Holding Women4, che dallo scorso anno fa proprio dell’orientamento e della formazione gli strumenti primi per promuovere l’occupabilità femminile al di là di stereotipi e pregiudizi in questi settori ancora oggi “appannaggio maschile”. Women4, che fa da cornice anche a questo studio, si inserisce nell’impegno di Gi Group Holding per il Lavoro Sostenibile e si concretizza in incontri nelle scuole, corsi di formazione, Academy, iniziative di sensibilizzazione e comunicazione.

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) ha fatto una stima dell’impatto della parità di genere sulla crescita del PIL in Europa per il 2050. Promuovere la parità di genere in uno scenario di progresso rapido rispetto a quello lento potrebbe aumentare il Pil pro-capite in Europa dal 6,1% al 9,6%: un ammontare di risorse compreso tra 1,95 e 3,15 milioni di euro. Nei Paesi come l’Italia, che hanno una situazione di partenza della parità di genere più arretrata, il potenziale impatto sul Pil è ancora maggiore e potrebbe arrivare a circa un +12% nel 2050.


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