Cooperazione & Relazioni internazionali

Iran, Alessia Piperno è stata liberata

La travel blogger era detenuta nel carcere di Evin a Teheran dallo scorso 28 settembre. È stata rilasciata dalle autorità iraniane e sta rientrando in Italia. Nonostante le repressione delle autorità, tra uccisioni di manifestanti e arresti, nel Paese continuano le proteste iniziate dopo la morte delle 22enne Mahsa Amini

di Redazione

La travel blogger romana Alessia Piperno, 30 anni, era detenuta nel carcere di Evin a Teheran dallo scorso 28 settembre. È stata rilasciata dalle autorità iraniane e sta rientrando in Italia. A darne notizia Palazzo Chigi, con la premier Giorgia Meloni che ha informato i genitori della ragazza nel corso di una telefonata avvenuta questa mattina. «Dopo un intenso lavoro diplomatico oggi Alessia Piperno è stata rilasciata. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a che Alessia riabbracci i familiari, ha informato i suoi genitori nel corso di una telefonata, pochi minuti fa», si legge nella comunicazione.

Piperno era stata arrestata a Teheran. Le autorità iraniane non hanno spiegato, ad oggi, il motivo dell’arresto. Tra le ipotesi l'accusa che la travel blogger partecipasse alle proteste contro la polizia religiosa e il governo iraniano. Le proteste nel Paese erano iniziate, e continuano ancora oggi, con la morte di Mahsa Amini, la giovane 22enne che era stata arrestata lo scorso 13 settembre dalla “polizia morale”, incaricata dell'applicazione pubblica delle norme islamiche sull’hijab, perché indossava male il velo. Secondo il rapporto ufficiale della polizia la giovane avrebbe avuto un'insufficienza cardiaca. Mahsa Amini è morta, in circostanze ancora da chiarire, lo scorso 16 settembre dopo due giorni di coma. La clinica in cui era stata ricoverata aveva rilasciato una dichiarazione su Instagram secondo cui Mahsa Amini era già in stato di morte cerebrale quando è stata portata in clinica, ma il post è stato successivamente cancellato.

Human Rights Activists in Iran (HRIA), ha monitorato le proteste per 54 giorni, e sarebbero almeno 328 le persone uccise e altre 14.825 quelle arrestate durante i disordini. È difficile reperire informazioni su quello che sta accadendo nel Paese, le proteste si stanno trasformando in una rivoluzione collettiva e popolare. «Gli agenti di polizia useranno tutta la forza a loro disposizione per contrastare le cospirazioni dei controrivoluzionari ed elementi ostili, e useranno fermezza contro chi sconvolge l'ordine pubblico e la sicurezza in qualsiasi parte del Paese», aveva dichiarato il comando di polizia, citato dall'agenzia di stampa iraniana Fars, diverse settimane fa.

La situazione sulla tutela dei diritti umani è sempre stata drammatica nel Paese, ma è peggiorata da quando Ebrahim Raisi è diventato presidente nell’agosto del 2021. Raisi è infatti ex capo del potere giudiziario e faceva parte della “commissione della morte” che presiedette all’esecuzione extragiudiziale di diverse migliaia di dissidenti politici nelle prigioni di Evin e Gohardasht tra la fine di luglio e l’inizio di settembre del 1988. Di fatto un presidente del Paese è sospettato per crimini contro l’umanità.

Lo scorso 17 ottobre 43 ong hanno chiesto al Consiglio Onu dei diritti umani di convocare una sessione speciale data la gravità dei crimini di diritto internazionale e delle altre violazioni dei diritti umani che si verifica in Iran. Le 43 organizzazioni hanno anche chiesto l’istituzione di un meccanismo indipendente che abbia poteri d’indagine, di documentazione e di accertamento delle responsabilità. Senza un’azione collettiva della comunità internazionale che vada al di là delle dichiarazioni di condanna e delle richieste, da tempo senza esito, alle autorità iraniane affinché conducano indagini, innumerevoli altre persone potranno essere uccise, ferite, torturate, sottoposte ad aggressioni sessuali e imprigionate e le prove dei gravi crimini commessi rischieranno di sparire.

Le autorità iraniane hanno ripetutamente ignorato le richieste del Segretario generale, dell’Alto commissariato per i diritti umani, delle Procedure speciali, degli stati membri e dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di porre fine all’uso illegale della forza, anche letale, nei confronti di coloro che prendono parte alle proteste e persino di persone estranee alle manifestazioni, così come le sollecitazioni a processare i responsabili di uccisioni illegali, maltrattamenti e torture. A livello nazionale, è praticamente impossibile accertare tali responsabilità.


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