Media, Arte, Cultura

La tessitura necessaria per un reale impatto culturale

Una riflessione sul ruolo dei Festival di approfondimento culturale che invita a capire come questi fermenti culturali possono evolvere per andare oltre alle ricadute già note e legate, da un lato, al benessere delle persone e, dall’altro, all’indotto generato nei territori che li ospitano. Manifestazioni che hanno un prezioso e qualificato giacimento di pensiero e di reti di realtà indispensabili per alimentare una coesione. Purché sia operosa, circolare e generativa

di Guido Zovico

Il ruolo dei Festival di approfondimento culturale, che da primi anni duemila si sono sviluppati in tutta Italia, è importante e fondamentale per offrire occasioni di confronto, sviluppare pensiero, divulgare esperienze esemplari e intrecciare relazioni auspicabilmente generative. Il loro scopo è quello di analizzare la realtà, alimentare la nascita di nuove visioni, accompagnare il mutamento dei comportamenti sociali atti a migliorare la vita sociale, economica e ambientale.
L’approfondimento culturale dei festival presuppone il miglioramento qualitativo della persona, del suo pensare e del suo fare, come singolo e nella collettività. Si pensa, si organizza e si partecipa a un festival per aggiungere qualcosa a sé stessi cercando di migliorarsi, di comprendere meglio il presente, di orientare il nostro vivere a un futuro buono, giusto, bello e umanamente sostenibile.

La costante crescita di queste esperienze – per quantità, qualità propositiva e diffusione territoriale – va letta con positività. Oggi è però importante capire come questi fermenti culturali possono evolvere per andare oltre alle ricadute già note e legate, da un lato, al benessere delle persone e, dall’altro, all’indotto generato nei territori che li ospitano. Non è nell’aumento quantitativo o nella bulimia di manifestazioni, talvolta contraddistinta da una sostanziale replica di contenuti e di presenza dei relatori, che va ricercata l’evoluzione di questo format. L’ampia diffusione è di fatto già avvenuta e se transitiamo in più festival, rischiamo di dirci o di sentirci dire più o meno le stesse cose senza che queste generino una concreta e impattante trasformazione nei territori e, più in generale, nel Paese.

L’evoluzione va perciò ricercata nella capacità di calare a terra le tante discussioni e proposte per avviare e alimentare processi trasformativi. Una calata che non è automaticamente garantita nemmeno dalla qualità dei temi o dei relatori, dalla capacità degli organizzatori e dalla partecipazione fitta del pubblico. L’impatto trasformativo dei territori e dei comportamenti sociali deve perciò diventare un metro di misura da monitorare e valutare nel corso del tempo, per comprendere l’effetto farfalla generato dagli happening culturali. Una sfida non da poco, ma necessaria, per chi si assume il compito di promuovere tali proposte anche per il solo fatto che gli impatti trasformativi – come, ad esempio, abituarsi a co-progettare tra più differenti realtà – sono meno visibili, soprattutto nel breve periodo. Già disegnarli, dichiararli e condividerli con gli stakeholder può essere un primo passo importante in questa auspicata direzione.

Nelle ultime settimane ho seguito alcuni Festival riscontrando spesso assonanze di contenuti, di domande, di letture della contemporaneità sia a livello locale che globale. Va da sé, per fare un esempio, che una lettura aperta del tema “economia” e delle sue sfaccettature connesse ai fattori globali e ai caratteri della sostenibilità integrale le ho ascoltate, con molte similitudini, a eventi promossi da associazioni imprenditoriali, da fondazioni di origine bancaria, dai promotori dell’economia civile e, non da ultimo, dal Festival della Missione a Milano. Ciò conferma che, spesso e volentieri, si discute o si approda alle stesse questioni partendo da uno specifico osservatorio limitandosi a contestualizzarlo nel proprio ambito operativo, nel proprio bacino di azioni o di interesse.

Osservando da anni questi eventi, ciò che balza agli occhi è la mancata convergenza dei rispettivi mondi culturali. Nella ragionevolezza (che dovrebbe escludere atteggiamenti egocentrici ed egoistici di fronte alla complessità del presente e alle enormi sfide economiche, sociali e ambientali) sarebbe utile vederli cooperare insieme per incidere maggiormente nei cambiamenti e, ancor più, nelle decisioni di istituzioni, enti e organizzazioni private. Anche perché, con sempre maggiore consapevolezza, ci stiamo dicendo di aver compreso che siamo dentro a un “tutto” nel quale tutti siamo in relazione con gli altri e con il tutto. È per questo che ciò che va in qualche modo superato quello che può essere una sorta di (non voluto) “individualismo delle organizzazioni e dei progetti culturali”, che oggi rappresenta un limite.

In secondo luogo, la relazione fra tutti e tutto ci fa comprendere che la pratica dialogica intersettoriale è ormai un necessario punto di approdo. Una pratica che, se rapportata alle manifestazioni culturali, invita a una sorta di “festival dei festival” quale punto di convergenza rafforzativo di proposte e organizzazioni tra loro complementari. Un’idea – non certo nuova e facile da realizzare – in parte accennata nel corso “Relazionésimo”, l’Expo Summit andato in scena lo scorso luglio a Vicenza nel quale attraverso la conoscenza interdisciplinare e il forte impatto emotivo di installazioni artistiche e multimediali è stata offerta una fotografia del caos contemporaneo associata a un’oasi di pace sensoriale indispensabile per nutrire corpo, mente e spirito e trovare quel necessario equilibrio utile a riordinare il nostro vivere e contribuire a una trasformazione della dimensione economica e sociale.

La complessità e la gravità delle sfide che dobbiamo affrontare nel breve e nel lungo periodo richiedono un’indispensabile ampia coesione e una paziente tessitura sociale utile a definire una qualsivoglia alleanza, patto o contratto sociale. Per tale scopo il patrimonio di conoscenza e di relazioni che circola nei vari Festival è un prezioso e qualificato giacimento di pensiero e di reti di realtà indispensabili per alimentare questa auspicata coesione. Purché, per l’appunto, sia operosa, circolare e generativa.

In apertura photo by Marvin Meyer on Unsplash


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