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Sociale: qual è la vera faccia della Meloni?

Nel suo discorso di insediamento la presidente del Consiglio aveva parlato della «straordinaria realtà del nostro Terzo settore, rappresentante virtuoso di quei corpi intermedi che consideriamo vitali per la società». Le prime scelte di governo però non sembrano andare in questa direzione. Se la promozione di «modelli di sviluppo sostenibile basati sul protagonismo e sull’autodeterminazione delle comunità territoriali» sta davvero a cuore al “melonismo” ci permettiamo qualche suggerimento molto pragmatico per i primi cento giorni di governo. L'editoriale del direttore di VITA che apre il numero del magazine di novembre

di Redazione

Melonomics, era Meloni, melonismo e via dicendo. L’ingresso a palazzo Chigi della prima presidente donna e di destra ha ispirato la gran parte dei commentatori a leggere il suo avvento come l’incipit di una sorta di “mondo nuovo”. Al di là della retorica, sarà davvero così sul fronte del sociale e del Terzo settore?

Partiamo dal 25 ottobre, quando a un mese dalle elezioni, il governo Meloni ha ottenuto la fiducia alla Camera dei deputati.
In quello che ad oggi è stato il più importante discorso della sua vita Meloni ha pronunciato 8.248 parole citando una sola volta il Terzo settore e i corpi intermedi. E lo ha fatto, ed è questo il punto dirimente, in questi termini: «Il Covid è entrato nelle nostre vite quasi tre anni fa e ha portato alla morte di oltre 177mila persone, in Italia. Se siamo usciti al momento dall’emergenza è soprattutto merito del personale sanitario, della professionalità e dell’abnegazione con le quali ha salvato migliaia di vite umane. A loro, ancora una volta, va la nostra gratitudine. E, con loro, il mio ringraziamento va ai lavoratori dei servizi essenziali, che non si sono mai fermati, e alla straordinaria realtà del nostro Terzo settore, rappresentante virtuoso di quei corpi intermedi che consideriamo vitali per la società».

In estrema sintesi: il Terzo settore va ringraziato, il Terzo settore è straordinario, il Terzo settore è vitale per la società (e, ben inteso, non per l’economia). Ma di Terzo settore si parla esclusivamente in una cornice emergenziale e assistenziale. C’è qualcosa di più vecchio di un’impostazione di questa matrice, proprio mentre l’Europa spinge sull’acceleratore dell’action plan, dell’imprenditoria e dell’economia sociale? Come si fa ancora oggi a considerare un comparto che vale il 5% del Pil e coinvolge oltre un milione di lavoratori (fra diretti e indiretti) e oltre 5 milioni di volontari (con tutto il valore sociale, culturale, ma anche economico che essi rappresentano) alla stregua di una stampella da tirare fuori in caso di disastri sociali o naturali? Siamo davvero ancora qui?
E dire che la stessa Meloni in un dialogo con Vita pubblicato sul nostro sito aveva definito il Terzo settore come un «motore di sviluppo economico e sociale», invitando «le istituzioni a superare la matrice marcatamente centralista che ha caratterizzato questa legislatura per dare piena attuazione al principio di sussidiarietà, favorendo un’alleanza tra pubblico, privato e privato sociale. Come dice la Costituzione, lo Stato deve favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività volte al bene comune».

E ancora: «Nell’attuale scenario internazionale e nazionale, sconvolto da eventi eccezionali come la pandemia e la guerra, è prioritario investire sul benessere e la qualità del capitale umano e sociale. I volontari e gli operatori del Terzo settore non possono e non devono essere chiamati solo quando c’è da intervenire per affrontare catastrofi naturali, pandemie o coprire i troppi buchi di quell’assistenza socio-sanitaria che le istituzioni non riescono ad assicurare. Deve essere garantita pari dignità tra pubblico e privato sociale, coinvolgendo pienamente gli enti del Terzo settore nei tavoli di coprogrammazione e coprogettazione. Solo così si possono promuovere modelli di sviluppo sostenibile basati sul protagonismo e sull’autodeterminazione delle comunità territoriali».


Parole “politicamente” importanti, che non debbono essere dimenticate, come pare aver già fatto, se davvero Meloni vuole dare un segno tangibile di inversione di rotta, non tanto e non solo rispetto al governo tecnico di Mario Draghi, ma soprattutto nei confronti di un approccio culturale vetero statalista che non nelle parole, ma nei fatti (e contano i fatti) ha finora largamente permeato la nostra prassi di governo.
Se la promozione di «modelli di sviluppo sostenibile basati sul protagonismo e sull’autodeterminazione delle comunità territoriali» sta davvero a cuore al “melonismo” ci permettiamo qualche suggerimento molto pragmatico per i primi cento giorni di governo.

Primo: Meloni dia una precisa indicazione politica affinché la coprogrammazione e la coprogettazione diventino metodo di governance reale in tutte le partite che riguardano il welfare a cominciare dai capitoli 5 e 6 del Pnrr e dal percorso di riforma della legge sulla non autosufficienza (ne parleremo nel prossimo numero).

Secondo: nell’anno che ne celebra il cinquantenario (15 dicembre), l’ex esponente del Fronte della Gioventù ed ex ministro per le Politiche giovanile faccia una scommessa vera sul servizio civile e i giovani di questo Paese impegnandosi ad avviare almeno 100mila giovani l’anno.

Terzo: segua da vicino il confronto con la Commissione europea affinché venga al più presto licenziato il pacchetto fiscale legato alla riforma del Terzo settore dando finalmente ossigeno all’impresa sociale.

Quarto: tolga definitivamente la scure dell’aumento dell’Iva per il non profit oggi solo rinviato al 2024.

Quinto: recepisca la norma europea sulle comunità energetiche (ne parliamo nel cap 2 del book di questo numero) in modo che diventino davvero uno strumento di una nuova politica energetica sostenibile sia dal punto di vista ambientale, sia da quello sociale.

Sesto: sull’immigrazione e sulla gestione dei migranti sul nostro territorio apra un dialogo franco con le organizzazioni della società civile e le amministrazioni locali. Scoprirà che già oggi sul territorio italiano ci sono sperimentazioni efficienti da prendere come esempio.

Settimo: sostenga nei modi che riterrà opportuni i legami che con grande impegno e speranza un pezzo di società civile italiana (in primis la rete del Mean Movimento europeo non violento) ha costruito con i sindaci e la società civile ucraina. Oggi per immaginare un futuro di pace e ricostruzione non si può che partire da qui.


Foto: Agenzia Sintesi


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