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Arcigay, la svolta femminista. Con Natascia

Natascia Maesi è stata eletta presidente di Arcigay. È la prima donna a ricoprire questo ruolo, frutto degli esiti del XVII Congresso nazionale dell’associazione svoltosi a Latina. Spiega i punti principali della sua agenda politica che mette al centro delle battaglie della comunità Lgbtqi+, questioni femministe e transfemministe

di Emiliano Moccia

«Approvare una norma contro l’omofobia e la transfobia. Favorire il superamento della legge 164 sui percorsi dell’affermazione di genere. Garantire il diritto alla genitorialità delle cosiddette famiglie arcobaleno. Promuovere l’educazione al consenso e all’affettività nelle scuole italiane. Andare oltre le unioni civili attraverso i matrimoni ugualitari. Applicare a pieno la legge 194 per l’autodeterminazione delle donne. Ed altro ancora». Natascia Maesi ha le idee ben chiare e un’agenda politica di cose da fare che non possono più essere rimandate per la difesa dei diritti della comunità Lgbtqia+. Perché «il Paese reale è molto più avanti rispetto al Paese legale». Domenica scorsa è stata eletta presidente di Arcigay. E’ la prima donna a ricoprire questo ruolo, frutto degli esiti del XVII Congresso nazionale dell’associazione svoltosi a Latina. Giornalista, nata a Caserta 45 anni fa, dopo la laurea in Filosofia a Napoli si è spostata in Toscana, a Siena, dove si occupa di comunicazione.

Natascia Maesi, da dove nasce la svolta ad eleggere per la prima volta una donna presidente alla guida dell’associazione? Quali sono le proposte che secondo lei hanno riscontrato maggiore interesse e partecipazione?

Questa svolta femminista nasce da impegno collettivo di tante donne attiviste all’interno di Arcigay che hanno favorito questo processo, lavorando durante la pandemia sulla consapevolizzazione di alcuni temi che ci stanno a cuore. Il nostro è stato un lavoro politico che ha cercato di rimettere al centro delle battaglie Lgbtqi alcune questioni che sono femministe e transfemministe che per noi erano fondamentali. Abbiamo voluto intrecciare le lotte queer e quelle femministe. E questo ha prodotto una certa sensibilità e coscienza che ha poi portato l’associazione a scegliere una guida femminile e femminista. Dopo quarant’anni, infatti, è la prima volta. Sono cambiati i tempi, è cambiato il clima e questa svolta transfemminista era nelle corde di Arcigay già da qualche anno. I tempi erano maturi.

Quali sono i temi che avete messo al centro del dibattito e da cui volete ripartire?

Abbiamo parlato dell’importanza di sostenere una piena applicazione della legge 194 sull’aborto, di come l’obiezione di coscienza sia un ostacolo all’autodeterminazione dei nostri corpi. Abbiamo affrontato il tema dei diritti delle persone trans, che per noi è centrale, a partire dal linguaggio con cui ci si rivolge a queste persone, promuovendo un linguaggio corretto, rispettoso delle loro vite. Tutti temi che erano già nell’agenda di Arcigay, ma non erano così centrali come lo sono adesso, considerato il momento storico in cui ci troviamo, in cui si attaccano i diritti delle donne e della comunità Lgbtqi.

Il disegno di legge Zan contro l'omo-bi-transfobia è stato affossato dal precedente Parlamento. Quali sono le richieste che farete al nuovo Governo per contrastare omofobia e transfobia?

Quello che noi speriamo è che si possa ricalendarizzare una legge contro le discriminazioni. Il punto è capire se si vuole ripartire dal ddl Zan o se si vuole pensare ad altro, ma l’obiettivo deve esser quello di avere una norma che in Italia affronti il tema delle discriminazioni basate sull’orientamento dell’identità. Abbiamo bisogno di una legge contro omo-bi-transfobia, misoginia ed abilismo. Se si vuole ripartire da quel testo si può riaprire la discussione, partendo dal presupposto che quella proposta era già costata diversi compromessi, ma speriamo che si possa arrivare almeno a quello. Pensiamo, però, che non ci siano le condizioni per riaprire la partita dei diritti in questo momento. Non abbiamo la sensazione che ci sia la volontà.

In Italia, quindi, oggi qual è la situazione sul fronte dei diritti?

La verità è che il Paese reale è molto avanti. Coloro che partecipano ai nostri Pride non fanno parte solo della comunità Lgbtb, ma sono migliaia di persone che condividono le nostre piattaforme politiche, che sono sensibilizzate sui nostri temi ed hanno sdoganato l’omosessualità, che hanno una visione sincera sulle nostre battaglie. Il Paese legale, invece, è un’altra cosa. Non a caso, l’Italia oggi secondo il rapporto di Rainbow Europe Map è al 35° posto su 54 Paesi dell’area europea per quanto riguarda la situazione dei diritti umani delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali e interesessuali. Siamo tra i Paesi più arretrati del mondo, c’è un gap tra ciò che vogliono i cittadini di questo Paese e quello che decide la politica, almeno una buona parte dei politici, come quelli che hanno voluto l’affossamento del ddl Zan. Molti dei quali oggi sono nel solco di questo Governo.

Unioni civili e famiglie. Qual è la vostra posizione?

Noi pensiamo si possa andare anche oltre alle unioni civili. E’ l’unico punto della piattaforma che abbiamo proposto ai partiti durante la campagna elettorale su cui abbiamo trovato tutti i partiti del centrosinistra d’accordo: parliamo, cioè, del matrimonio egualitario. E’ una battaglia che si potrebbe rimettere al centro della discussione, come quello della genitorialità piena. In Italia non c’è ancora una legge che permette il riconoscimento alla nascita dei figli e delle figlie delle famiglie arcobaleno, composte da genitori o coppie dello stesso sesso. I loro diritti non sono gli stessi dei figli delle famiglie tradizionali.

Altre questioni in agenda su cui pensate di avanzare proposte e riflessioni?

Vogliamo affrontare il superamento della legge 164 sulla transizione di genere, perché occorre togliere l’obbligo di percorsi psicologici. Noi pensiamo che si possano creare le condizioni affinché questa diventi una scelta libera. L’altro grande tema che segnaliamo è che in Italia non ci sono programmi di educazione alle differenze, di educazione al consenso e all’affettività. Non c’è la possibilità di fare questo lavoro educativo importante nelle scuole, perché si parla di noi in termini di dittatura gender, di ideologia gender; tutte questioni che non c’entrano nulla con quello che facciamo quando incontriamo gli studenti. Perché con loro parliamo di consenso, di relazioni, di violenza all’interno delle coppie, di stereotipi e pregiudizi.

Sul fronte della scuola riscontrate ancora dei pregiudizi quindi?

C’è una narrazione tossica su quello che facciamo nelle scuole. C’è la necessità di affrontare con i giovani i temi del consenso e dell’affettività per evitare di far crescere adolescenti che sentono di avere un diritto di controllo sulle donne, che si sentono autorizzati ad abusare e fare violenze. Occorre rimettere al centro questi temi che sono femministi e transfemministi e non soltanto Lgbtqi. Infine, abbiamo a cuore la salute sessuale delle donne, perché la medicina di genere non comprende ancora tutti i bisogni di salute delle donne trans che fanno molta fatica ad accedere agli screening, che non trovano sempre ambienti accoglienti perché non c’è molta formazione del personale medico-sanitario.

Nel corso del XVII Congresso nazionale dell’associazione svoltosi a Latina, Gabriele Piazzoni è stato eletto segretario generale. La nuova segreteria nazionale è così composta: Anna Claudia Petrillo (delega ai rapporti territoriali), Christian Leonardo Cristalli (diritti persone trans), Claudio Tosi (cultura, storia e memoria), Ilenia Pennini (salute), Luciano Lopopolo (formazione), Manuela Macario (lavoro), Marco Arlati (sport), Marta Rohani (scuola), Matteo Cavalieri (tesoriere), Michela Calabrò (politiche di genere), Roberto Muzzetta (esteri), Shamar Droghetti (politiche giovanili), Daniela Lourdes Falanga (carceri legalità lotta alle mafie).


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