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Qatar 2022, il mondiale sporco

Dal momento dell’assegnazione la popolazione del Paese è cresciuta di quasi due terzi. Due i milioni di migranti che sono arrivati in Qatar per trovare occupazione: oggi costituiscono oltre il 90% della forza-lavoro di tutto lo Stato. Ma a che prezzo? «Ho scritto il libro “Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento», spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, «per cercare di rispondere a due domande: per realizzare il sogno dei mondiali quante vite umane sono state sacrificate? E a quali limiti estremi è arrivato lo sfruttamento del lavoro migrante?»

di Anna Spena

Nel 2010 venne decretato che l'edizione del 2022 della Coppa del mondo Fifa si sarebbe giocata in Qatar. Domenica, 20 novembre, il fischio d’inizio. Questa è la massima competizione per le rappresentative di calcio maschili maggiori delle federazioni sportive affiliate alla Fifa. Una ventiduesima edizione segnata però da dubbi e polemiche. Non sappiamo ovviamente quale sarà la squadra vincitrice, per quello dobbiamo aspettare fino al prossimo 18 dicembre, ma una cosa è certa, abbiamo già i primi sconfitti: i diritti.

Sono attesi nel Paese oltre un milione e 200mila tifosi.
Ma quanta forza lavoro è servita per realizzare gli otto stadi che ospiteranno le partite, tutti situati nell’est del Paese: “al-Bayt” (nella città di al-Khor), “Lusail” (nella città omonima), “Khalifa International”, “Ras Abu Aboud” e “al-Thumama” (nella capitale Doha), “Ahmed bin Ali” e “Qatar Foundation” (nella città di al-Rayyan), “al-Ja- noub” (nella città di al-Wakrah)? Da dove sono arrivate le persone? Che contratti lavorativi hanno firmato? È stato tutelato il loro lavoro? Secondo un’inchiesta realizzata lo scorso anno dal The Guardian le persone morte durante la realizzazione degli stadi, sarebbero state, dato aggiornato a febbraio 2021, 6750. Il Qatar, ricchissimo Stato del Golfo persico, è uno stato indipendente dal 1971. La sua storia coincide con quella della famiglia al-Thani, che ancora oggi governa il Paese. Un Paese dove, tra l’altro, le donne, per qualunque decisione riguardi la loro vita, devono avere il consenso di un tutore maschio, o dove il codice penale continua a considerare l’omosessualità un reato punibile con la reclusione fino a sette anni.

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha pubblicato il libro “Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento” (Infinito Edizioni, 88 pag.), dove racconta le vite sacrificate per il trionfo dello sportwashing, la strategia con cui, attraverso l’organizzazione di grandi eventi sportivi, si distoglie l’attenzione dalle violazioni dei diritti umani, e dove denuncia i limiti estremi cui è arrivato, nello Stato del Golfo, lo sfruttamento del lavoro migrante, nel silenzio del business del pallone. «Ho scritto questo libro», spiega, «per cercare di rispondere a due domande: per realizzare il sogno dei mondiali quante vite umane sono state sacrificate? E a quali limiti estremi è arrivato lo sfruttamento del lavoro migrante?»

Nel libro ha dedicato un intero capitolo allo “sportwashing”. Come possiamo descrivere questo fenomeno?

È l’applicazione, da parte degli Stati del Golfo, della strategia di pubbliche relazioni chiamata whitewashing – che potremmo tradurre “dare un colpo di vernice bianca” – che utilizza gli eventi sportivi per mostrare di avere capacità organizzative pari agli altri ma anche e soprattutto per “sbiancare” la propria immagine negativa, soprattutto in tema di rispetto dei diritti umani. Un modo per presentarsi al mondo moderni, competitivi e “puliti”. Vi ricorrono quasi tutti gli Stati dell’area e non da oggi. Basti pensare che la proprietà del Paris Saint-Germain è qatarina o quella del Manchester City è emiratina, e queste sono due tra le squadre più forti del mondo. E poi sponsorizzano ed organizzano eventi e tornei di grande richiamo internazionale, tra cui le due finali di Supercoppa della Lega Calcio italiana in Arabia Saudita. E ancora entrano nel calendario dei gran premi di automobilismo e motociclismo.

Perché è così efficace come meccanismo?

Sfrutta due elementi, il primo è la passione del pubblico sportivo “Lasciateci divertire!” e l’altro la scarsa dimestichezza del giornalismo di settore per quanto riguarda la situazione dei diritti umani. Si basa poi sulla narrativa per cui “sport e diritti umani sono questioni diverse”, e invece non possono esserlo.

Quante persone sono arrivate in Qatar per lavorare, nel settore dell’edilizia per la costruzione degli stadi, e non solo?

Dall’assegnazione dei Mondiali del 2022 in Qatar la popolazione è cresciuta di quasi due terzi. circa due milioni di persone, migranti, sono andate in Qatar per lavorare. Sono stati impiegati nella costruzione degli stadi, delle infrastrutture o comunque in attività collegate ai mondiali come l’ospitalità, la logistica e l’assistenza domestica. Provengono principalmente dall’Asia e dall’Africa e hanno pagato grandi somme alle agenzie d’impiego – spesso illegali – per trovare lavoro nei vari settori. Ad oggi i lavoratori migranti costituiscono oltre il 90% della forza-lavoro del Qatar. Senza di loro, i Mondiali del 2022 sarebbero rimasti un sogno.

In che condizioni?

Di sfruttamento: sono stati tantissimi i “morti di lavoro”, non “sul lavoro”. Nello scorso decennio migliaia di lavoratori migranti sono morti improvvisamente e senza alcuna avvisaglia, nonostante avessero superato tutti gli esami medici prima di arrivare in Qatar. Le autorità locali, contrariamente ai loro obblighi internazionali, non hanno indagato su queste morti per arrivare a conclusioni chiare circa le circostanze. Secondo i dati pubblicati dall’Autorità per la pianificazione e le statistiche, dal 2010 al 2019 sono morti 15.021 lavoratori stranieri di ogni età e occupazione. Di questi, 9.405 erano di origine asiatica, in gran parte, l’87%, erano uomini. Fino al 2015 di molti di questi decessi non è stata indicata nemmeno una causa. Dall’anno successivo, nella maggior parte dei casi la morte è stata attribuita a un “arresto cardiaco”. Il risultato è stato che a numerosissime famiglie non è stato riconosciuto il diritto di conoscere cosa fosse accaduto ai loro cari e – circostanza grave, dato che la maggior parte di esse sopravviveva in patria grazie alle rimesse dall’estero – è stato negato il diritto a un risarcimento, contrariamente a quanto prevede la Legge sul lavoro. Del resto, moltissimi lavoratori non erano morti sul posto di lavoro, ma erano stramazzati nel sonno su una branda dei tuguri in cui risiedevano.

Che relazione c’è tra i migranti e i datori di lavoro. Con che condizioni contrattuali sono stati assunti?

Solo minima parte dei lavoratori migranti giunti in Qatar nello scorso decennio ha tratto vantaggio dalle opportunità economiche loro offerte. Innanzitutto è bene sottolineare che i lavoratori migranti sono già arrivati indebitati perché con le agenzie di collocamento. Una volta arrivati in Qatar, anziché uscire dalla miseria, hanno trovato davanti a loro un’altra situazione: salari molto bassi e che per molto tempo non sono stati versati. A questo poi, che è già gravissimo, va aggiunto il sistema della kafala.

Che cos’è il sistema della Kafala?

Uno sfruttamento del sistema che lega il lavoratore al suo datore di lavoro. Al momento dell’ingresso in Qatar, e per tutta la durata del vincolo lavorativo, al lavoratore viene confiscato il passaporto dal datore di lavoro. E il lavoratore ha bisogno dell’autorizzazione, vincolante, del datore di lavoro se vuole cambiare impiego o lasciare il Paese. Il Qatar si era impegnato a sostituire il sistema kafala con un modello contrattuale che avrebbe posto fine alle limitazioni e agli ostacoli alla libertà di movimento dei lavoratori migranti, avrebbe permesso loro di terminare il rapporto di lavoro in caso di violenze o comunque dopo aver dato un ragionevole preavviso, avrebbe modificato le procedure per l’emissione di visti di uscita dal Paese e avrebbe introdotto il divieto di confiscare i passaporti. Nonostante le riforme avviate negli ultimi cinque anni, quel sistema domina ancora i rapporti di lavoro e garantisce enormi poteri al datore di lavoro, la cui autorizzazione resta di fatto necessaria perché i lavoratori migranti entrino in Qatar, perché vi lavorino e perché sia rinnovato il loro permesso di soggiorno. Se il kafeel annulla o non rinnova il permesso di soggiorno, i lavoratori migranti risultano “assenti” dal loro impiego, entrano in una condizione di “irregolarità” e rischiano di essere arrestati ed espulsi. Prendiamo, ad esempio, la norma del 2018 che ha abolito l’obbligo, per il lavoratore migrante, di ottenere il permesso del kafeel per lasciare il Paese. Aggirarla è facile: basta trattenere ancora il passaporto, così come rubarlo o distruggerlo, presentare una falsa denuncia di “assenza” dal lavoro o non rinnovare il permesso di soggiorno.

Qual è il ruolo della Fifa?

La Fifa sulle carte si è impegnata a sostenere e promuovere i più elevati standard internazionali sul lavoro come si legge nella Human Rights Policy adottata nel maggio 2017 dalla Fifa che, ricordiamolo, ha la responsabilità ultima dei Mondiali del 2022. La responsabilità non riguarda solo i lavoratori impegnati nella costruzione di impianti direttamente relativi all’evento calcistico come gli stadi, ma anche quelli che si occupano dei servizi necessari per rendere operative quelle strutture come i trasporti. A a sei mesi dal fischio d’inizio Amnesty International ha chiesto pubblicamente all’organizzazione di mettere a disposizione almeno 440 milioni di dollari per risarcire le centinaia di migliaia di lavoratori migranti vittime di sfruttamento a partire dall’anno dell’assegnazione della Coppa del mondo 2022 al Qatar, il 2010. Quell’importo equivale alla somma versata dalla Fifa al Qatar per l’organizzazione della competizione e sarebbe davvero il minimo necessario per coprire i costi dei risarcimenti e delle iniziative di sostegno per proteggere in futuro i diritti dei lavoratori. Il rimborso totale degli stipendi non pagati e degli esorbitanti versamenti alle agenzie di collocamento, unito ai risarcimenti per le morti e i ferimenti sul lavoro, potrebbe essere ben più elevato. Siamo ancora in attesa di una risposta. La Fifa ha la responsabilità di porre rimedio a violazioni dei diritti umani cui contribuisce. Non è possibile slegare la manifestazione sportiva dallo Stato in cui è organizzata. É chiaro che l’organizzatore dell’evento deve avere un occhio sulla situazione dei diritti umani. Teniamo anche conto del fatto che dobbiamo intervenire e non possiamo più temporeggiare. La maggior parte dei lavoratori migranti arrivati in Qatar per il mondiale rimarranno nel Paese perché nel 2023 si giocano i campionati di calcio asiatici. E poi sono già iniziati i lavori per i Giochi Olimpici e i Giochi asiatici invernali che si terranno in Arabia Saudita, che si è già candidata per Expo 2030, nel 2029.

Cosa propone?

Da questi mondiali deve uscire fuori una riforma significativa del diritto del lavoro che possa essere adottata anche dai Paesi limitrofi. Altrimenti continueremo ad avere una forza lavoro schiavizzata, sfruttata fino all’estremo.

Foto: Migrant construction workers in Doha, March 2013_Amnesty International


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