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Una stanza senza pareti: quale futuro per l’educativa domiciliare?

Quale futuro per l'educativa domiciliare? Intervista doppia a Vincenza Nastasi e Diego Mairani, della cooperativa sociale La Grande Casa, rileggendo gli spunti emersi nel convegno “Educatori di famiglia”

di Sara De Carli

Qual è il ruolo dell’educativa domiciliare? È un servizio preventivo o riparativo? In settimane in cui si è tornato molto a discutere di se e quando allontanare un minore dalla propria famiglia e di come e quanto il sistema attuale riesca al contrario a sostenere nella loro genitorialità gli adulti più fragili, sia in ottica di promozione della genitorialità tout court sia in ottica preventiva, diventa cruciale fermarsi a riflettere sul cuore di questo servizio, interrogarsi sui suoi punti di forza e sul suo futuro. È quello che ha fatto la cooperativa sociale La Grande Casa, raccogliendo gli spunti emersi nel convegno “Educatori di famiglia”, voluto dal Centro di ricerca e formazione Tarakè: la riprova del fatto il cuore pulsante di un momento di questo tipo sta spesso a latere dall’evento stesso. Ne abbiamo parlato con Vincenza Nastasi, responsabile del Centro di ricerca e formazione Tarakè e con Diego Mairani, responsabile territoriale della cooperativa La Grande Casa.

Qual è il primo cambiamento che vedete necessario per l’ADM?

Mairani: Uscire da un focus esclusivo sul minorenne, operando il passaggio da una logica individualizzata a una logica di lavoro immersa nel contesto e nella comunità. L’educativa domiciliare è sempre collocata in situazione, avviene sempre nei contesti di vita: dovremmo provare a ribaltare l’approccio e pensare che l’affiancamento dei bambini e dei ragazzi passi dalla capacitazione dei contesti, tramite un intervento che promuova la capacità di cura degli ambienti rispetto ai bambini e alle famiglie. Il nostro intervento infatti è finalizzato alla sua conclusione, quindi più siamo in grado di far sì che siano i contesti di vita a sostenere le fragilità delle famiglie, più raggiungiamo l’obiettivo di non essere un sostegno indispensabile. Questo significa anche avere maggior consapevolezza della valenza politica del nostro ruolo. Il lavoro dell’educatore è trasformativo, il nostro ruolo è accompagnare l’evoluzione dei sistemi familiari, che sono immersi in una società. Dobbiamo avere necessariamente un ruolo attivo nella trasformazione delle comunità locali in cui viviamo.

Il nostro intervento infatti è finalizzato alla sua conclusione, quindi più siamo in grado di far sì che siano i contesti di vita a sostenere le fragilità delle famiglie, più raggiungiamo l’obiettivo di non essere un sostegno indispensabile. Il lavoro dell’educatore è trasformativo, è accompagnare l’evoluzione dei sistemi familiari, che sono immersi in una società.

Diego Mairani

Che significa capacitare i contesti? A chi pensa in particolare?

Mairani: Ad ogni contesto, istituzionale, sociale, informale: non stiamo parlando di moltiplicare le figure professionali disseminandole nei contesti di vita, ma di sensibilizzare figure che già fanno parte della quotidiana vita delle persone: insegnanti, medici, allenatori, commercianti, artigiani… Sappiamo ad esempio quanto per un adolescente il rapporto con una persona che si prenda a cuore un tirocinio lavorativo, o il suo percorso di orientamento, o la cura del suo fisico, possano diventare elemento di slancio rispetto al futuro.

Nel convegno a un certo punto ci si è chiesti se non valesse la pena cambiare nome al PEI-Piano educativo personalizzato, vista l’importanza di tanti altri elementi per la buona riuscita del percorso…

Nastasi: È una riflessione stimolante, ma se da un lato è vero che dobbiamo spostare l’accento dal solo minorenne al sistema familiare, dall’altra parte resta vero che il progetto è individualizzato su quella famiglia, cucito su misura per lei, non è mai una fotocopia. Il problema è che mentre la letteratura ci dice da anni che la famiglia deve essere il soggetto dell’intervento, nella prassi ci si scontra ancora con modelli e scelte che limitano questo aspetto: banalmente nei bandi vengono previste e remunerate solo le ore di intervento diretto con minorenne e solo eccezionalmente con la famiglia, mentre è ormai prassi che l’educatore abbia dei momenti dedicati al genitore e questo non viene riconosciuto. È all’origine che l’impianto del servizio non è ancora tarato sul coinvolgimento e la partecipazione della famiglia, manca la definizione e la condivisione con il servizio sociale di una pratica che coinvolge in maniera partecipativa il genitore.

Mairani: L’ambito familiare nella prassi operativa viene ancora tenuto un po’ separato, con l’idea che l’elemento centrale debba essere il garantire i diritti dei bambini. La letteratura e l’esperienza però ci dicono che promuovere le competenze e le capacità dei genitori, le relazioni interne alla famiglia, possono essere ciò che garantisce il diritto dei minorenni. Il nostro lavoro è creare le condizioni per un’arrampicata sulla roccia: da un lato dobbiamo cercare di irrobustire dita, braccia e gambe di chi si arrampica – e questo è il lavoro individuale sul minorenne – ma sappiamo anche che non ci si arrampica da soli, quindi valorizziamo i compagni di arrampicata, la famiglia. Il terzo passaggio è operare per portare alla luce gli appigli, le fessure, qualche volta andare a posizionare dei chiodi che possano creare migliori opportunità di salita, condizioni favorevoli all’interno della propria comunità di vita. Non tracciare il percorso, quello no, ma creare opportunità.

Mentre la letteratura ci dice da anni che la famiglia deve essere il soggetto dell’intervento, nella prassi ci si scontra ancora con modelli e scelte che limitano questo aspetto: banalmente nei bandi vengono previste e remunerate solo le ore di intervento diretto con minorenne e solo eccezionalmente con la famiglia, mentre è ormai prassi che l’educatore abbia dei momenti dedicati al genitore e questo non viene riconosciuto.

Vincenza Nastasi

Da parte dei Comuni e della PA, serve uno sguardo nuovo?

Nastasi: Per noi uscire dalla logica prestazionale ed esecutiva e entrare in una logica intenzionale vuol dire saper rendere conto dei risultati che otteniamo e di che valore ha quello che facciamo. È ciò che in cooperativa abbiamo fatto scegliendo di fare un percorso di valutazione d’impatto proprio per il servizio di Educativa Domiciliare Territoriale Minori e poi con l’introduzione del PEI digitale. Da parte della PA, però, spesso manca ancora la disponibilità a guardarci con lenti diverse, tant’è che nei capitolati dei bandi aspetti come il lavoro indiretto e di riflessività di un educatore sono richiesti ma non riconosciuti economicamente: coordinamento, formazione, supervisione… vengono richiesti nei bandi ma “già compresi nella base d’asta” spesso troppo bassa, che non copre minimamente il costo di quelle ore. Anche questo è sintomo di un pensiero e di uno sguardo che non mette del tutto a fuoco il valore del servizio.

Mairani: È come se gli enti locali riconoscessero la prestazione ma non vedessero l’esito dell’intervento. È uno sguardo fermo sulla prestazione e sulla dimensione temporale dell’intervento, che fatica a guardare il prodotto e il risultato. Se si guarda il prodotto è più facile comprendere perché tutta una serie di attività di cura e allestimento dei contesti non sono collaterali o un surplus, ma sono l’essenza stessa del lavoro, ciò che ha permesso di passare dalla prestazione al risultato.

Nel servizio di educativa domiciliare, l’educatore entra dentro il contesto di vita delle persone ed è per molti aspetti lì da solo a giocarsi la sua professionalità.

Mairani: Ragionare di futuro dell’educativa domiciliare significa anche ragionare sulla sua sostenibilità, non solo economica ma anche operativa. È un servizio che espone molto, che richiede di assumere una responsabilità individuale. Quali sono allora gli aspetti che garantiscono per gli educatori sufficiente gratificazione da poter sostenere questa tipologia di intervento? Uno degli aspetti che emerge nei colloqui con gli educatori è la corresponsabilità. Non solo il non sentirsi soli sul piano operativo, ma la possibilità di condividere la responsabilità di un intervento, avvertire di essere parte di un gruppo che ti supporta nella gestione dell’intervento. Se poi ci sono degli spazi collegiali di esercizio della pratica educativa ancora meglio.

In questi ultimi anni, l’educativa domiciliare è il servizio più analizzato della cooperativa: La Grande Casa: perché? Che potenzialità ci vedete?

Nastasi: Perché ci si crede. Perché è un servizio che permette davvero di generare un cambiamento importante, lavorando per cerchi concentrici dall’individuo, alla famiglia, al contesto nella consapevolezza però di come anche l’ambiente contribuisce al cambiamento dei cerchi più interni. Questo aspetto politico ci stimola molto. E poi c’è la parte di innovazione: nonostate le teorie e la letteratura citino da tempo modalità nuove di lavoro con le famiglie, poi si ricade sempre un po’ nelle fatiche quotidiane. Invece portare innovazione di pensiero, cambiare la cultura professionale, fare formazione specifica su cosa significa innovare le pratiche in ambito familiare… è la parte piò stimolante del lavoro che vogliamo portare avanti. Il lavoro sul PEI digitale per esempio ha già portato a un importante lavoro di stesura delle Linee guida del servizio di ADM che partono dalla ricontestualizzazione delle teorie di riferimento e da questo traguardo raggiunto porteremo avanti una formazione interna per tutti gli operatori, per innovare il nostro lavoro quotidiano.

Il nostro lavoro è creare le condizioni per un’arrampicata sulla roccia: da un lato dobbiamo cercare di irrobustire dita, braccia e gambe di chi si arrampica ma valorizziamo anche i compagni di arrampicata. Il terzo passaggio è operare per portare alla luce gli appigli, le fessure, qualche volta andare a posizionare dei chiodi: non per tracciare il percorso, ma per creare opportunità.

Diego Mairani

Mairani: Ci crediamo perché è un servizio flessibile e che potenzialmente intercetta tutti i contesti della vita delle persone, diversamente da altri servizi che operano in un setting educativo precostituito o usufruiscono di un setting altrui, come ad esempio la scuola. Invece l’educativa domiciliare ci permette di interagire con tutti i contesti di vita delle famiglie e la possibilità di interagire in un sistema complesso consente di mettere in campo la potenzialità trasformativa della nostra professionalità. Questo per me è uno degli assi cruciali dello sviluppo futuro.


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