Welfare & Lavoro

Entriamo nel merito della scuola che “sputa fuori” i ragazzi

Donatella Turri di Caritas Italiana commenta l'ipotesi di togliere il reddito di cittadinanza a chi, non avendo assolto l'obbligo scolastico, non si impegna in percorsi formativi: «Per contrastare la povertà assoluta è indispensabile affiancare la misura economica con attenti percorsi di accompagnamento e promozione, perché la povertà nasce in quadri complessi dove si intrecciano tante cose… Ma il mancato completamento del curricolo scolastico quindi non può e non deve essere attribuito solo a responsabilità personali. Bisogna entrare “nel merito della scuola”»

di Sara De Carli

Il mancato completamento del curricolo scolastico? «Non può e non deve essere attribuito solo a responsabilità personali, ma bisogna entrare “nel merito della scuola”, irrobustire le alleanze con il territorio e con il mondo del lavoro, prevenire il crearsi di situazioni di fragilità conclamata che possono rischiare poi di alimentare meccanismi assistenzialistici»: così Donatella Turri, di Caritas Italiana, reagisce alle dichiarazioni di ieri del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che ha annunciato l’intenzione di togliere il Reddito di Cittadinanza ai giovani che, pur avendo illegalmente interrotto gli studi prima dei 16 anni o anche in possesso di un titolo di studio superiore, attualmente non sono né occupati né impegnati in aggiornamenti formativi. «Questi ragazzi preferiscono percepire il reddito anziché studiare e formarsi per costruire un proprio dignitoso progetto di vita», ha detto senza mezzi termini il ministro Valditara.

«Il tema della dispersione scolastica e dei giovani bassamente qualificati che si trovano conseguentemente in una situazione di esclusione rispetto al mondo del lavoro è molto complesso e di certo merita di essere affrontato a prescindere dal ragionamento sullo strumento puntuale del reddito di cittadinanza. Sappiamo che l’Italia è in Europa il primo paese per numero di Neet, ragazzi fuori da percorsi formativi e senza occupazione: parliamo del 23,1% nel 2021, 10 punti percentuali in più rispetto alla media europea», prosegue Turri. «Il fallimento scolastico e un basso titolo di studio espongono in maniera esponenziale al rischio di povertà. I dati Istat ce lo confermano: se la persona di riferimento del nucleo familiare ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore l'incidenza di povertà assoluta è pari al 3,9% ma raggiunge l’11% se si ha al massimo la licenza di scuola media. Non stupisce quindi che tra i percettori del RdC, sia alto il numero di giovani adulti che sono stati a suo tempo “sputati fuori” (il termine tecnico è drop out, come sappiamo) dal sistema di educazione formale».

Il dato che il ministro Valditara ha reso pubblico – 364.101 in Italia percettori di reddito di cittadinanza nella fascia compresa tra i 18 e i 29 anni, di cui 11.290 possiedono soltanto la licenza elementare o addirittura nessun titolo e altri 128.710 soltanto il titolo di licenza media – ci dice una volta di più come «per contrastare la povertà assoluta sia indispensabile accompagnare la misura economica con attenti percorsi di accompagnamento e promozione, perché le condizioni di povertà nascono in quadri complessi dove si intrecciano formazione, contesti, storie di vita…».

L’altro elemento che Turri sottolinea, parlando dei ragazzi a rischio dispersione, è il circolo vizioso: «L’ultimo rapporto Caritas sull’esclusione sociale ci ricorda come ci vogliano in media 5 generazioni (il dato è dell’Ocse) per affrancarsi dalla povertà e poter attivare un ascensore sociale rispetto alla propria condizione: capiamo bene come ci si trovi di fronte a una sfida irrinunciabile. Tutto questo deve interrogarci per prima cosa proprio sul nostro sistema di istruzione e animare un dibattito profondo e partecipato su come riformarlo, così da dar modo anche ai ragazzi più fragili, con storie e vissuti più complessi, di starci dentro».

Sempre ieri, sono arrivati altri dati che riguardano la povertà dei bambini e delle famiglie con figli. L'Istat ha affermato che nel 2022 l’insieme delle politiche sulle famiglie ha ridotto la disuguaglianza (misurata dall’indice di Gini) da 30,4% a 29,6%, e il rischio di povertà dal 18,6% al 16,8%. In particolare si è ridotto il rischio di povertà per le famiglie con figli minori, sia coppie (-4,3 punti percentuali), sia monogenitori (-4,2 punti percentuali), soprattutto in seguito all’introduzione dell’assegno unico. L’assegno unico ha determinato, nel 2022, una riduzione del rischio di povertà di 3,8 punti percentuali per i giovani da 0 a 14 anni, di 2,5 per quelli da 15 a 24 anni e di 2,4 punti percentuali per gli individui nella classe di età fra i 35 e i 44 anni. «I dati dimostrano che per combattere la povertà sia necessario mettere in campo un ampio ventaglio di risposte, il più possibili integrate fra loro: proprio come ci ha detto l’Istat ieri, mostrando appunto l’effetto congiunto di una somma di interventi, non solo trasferimenti monetari alle famiglie, ma anche interventi sul sistema di tassazione, contributi economici per le famiglie in difficoltà e senz’altro (non sono inserite nelle misure considerate da Istat ma non dobbiamo dimenticarne il peso) servizi educativi, risposte per la conciliazione vita lavoro», commenta Turri. «In questo senso, l’Assegno unico universale per figli è una risposta utile, perché introduce un principio di universalità nel sostegno alle famiglie con minori e si aggiunge ad altri strumenti di intervento economico in un quadro più ampio di politiche strutturali complessive per la famiglia. La legge di bilancio 2023 inoltre lo rafforza ulteriormente con incrementi per le famiglie numerose. In termini preventivi, occorre continuare a lavorare perché il nostro Paese abbia un quadro strutturato, sistemico, integrato di politiche familiari non potrà che avere effetti positivi anche sul fenomeno povertà», osserva Turri.

Nell’analisi di Caritas, sia l’AUUF (partito nel marzo 2022) sia il RdC (in vigore da 3 anni) sono misure che vanno monitorate e valutate per comprenderne l’efficacia ed eventualmente riformarle al meglio, rendendo gli strumenti adeguati a una realtà in trasformazione. «Sul RdC, che è in funzione da più tempo rispetto all’assegno unico, Caritas Italiana da tempo sostiene che debba essere rivisto. Per questo, nel 2021 è stata realizzato un monitoraggio della misura i cui risultati sono disponibili in un primo rapporto di monitoraggio presentato lo scorso anno», ricorda Turri. «L’analisi considera quanti poveri assoluti sono stati raggiunti e quanti no dalla misura, fa un confronto fra il RdC e altre misure presenti in altri paesi europei e dà voce agli operatori dei servizi sociali, delle Regioni e ai beneficiari dei servizi Caritas che ricevono la misura per coglierne le criticità di funzionamento come anche gli aspetti positivi che la misura ha e l’impatto sulla vita quotidiana delle persone. Il prossimo 1° dicembre il RdC sarà oggetto di un seminario di approfondimento a Roma (“Adeguate ai tempi e ai bisogni. Le politiche contro la povertà in Italia”), partendo dall’esperienza fatta in questi anni e mantenendo uno sguardo comparato a livello europeo. Sono stati invitati anche i presidenti dei gruppi parlamentari. Noi auspichiamo che potranno esserci spazi nei prossimi mesi per un confronto costruttivo con il Governo sui molti aspetti del disegno e della attuazione di una misura come il RdC: l’obiettivo per tutti coloro che di povertà si occupano non può che essere quello di dare risposte adeguate alle troppe persone in povertà nel nostro paese».


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