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Per combattere l’Aids dobbiamo modificare i comportamenti

Non è più il tema scottante che riempie le pagine di cronaca, oggi occupate in prevalenza dall'emergenza migranti e, se vogliamo restare più vicini al tema, da quello delle morti per droga. Decessi che avvengono perché legati alle malattie infettive come HIV – AIDS. L'invito a lavorare ancora di più sull'informazione e sulla prevenzione arriva nella "Giornata Mondiale contro l'Aids" da Luciano Squillaci, presidente della FICT, perché "non si può eliminare una malattia legata spesso ai comportamenti, senza cambiare i comportamenti stessi"

di Gilda Sciortino

È all’insegna della call to action “Equalize” contro le disuguaglianze e per il diritto e l’accesso alla cura di tutti la “Giornata mondiale di lotta alla HIV/AIDS” che si celebra sin dal 1988. Da ben 34 anni in tutto il Pianeta si parla e ci si confronta su una malattia che purtroppo oggi non occupa più le prime pagine dei giornali e le bacheche delle testate online e della quale si torna a parlare quasi prevalentemente in occasioni come quella odierna. Eppure si muore ancora di Aids.

«La relazione annuale al Parlamento sulle dr È all’insegna della call to action “Equalize” contro le disuguaglianze e per il diritto e l’accesso alla cura di tutti la “Giornata mondiale di lotta alla HIV/AIDS” che si celebra oggi– afferma Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche, unendosi all’OMS per commemorare questa ricorrenza — ci rileva che, nel corso dell’anno 2020, in Italia sono state notificate 1.303 nuove diagnosi di infezione da HIV, il 3,4% delle quali (n.44) ha riguardato utilizzatori di droghe per via iniettiva, evidenziando un decremento del 56% rispetto al 2019, dopo l’aumento registrato nel biennio precedente. Il ritardo di notifica delle nuove diagnosi HIV relative all’anno 2020 potrebbe essere più accentuato rispetto ai tre anni precedenti proprio a causa dell’impatto del COVID-19 sulla sorveglianza HIV. Non si muore solo per droga, quindi, ma esistono i decessi per droga correlati alle malattie infettive come HIV – AIDS ed epatiti virali».

Numerosi i servizi che mette in campo la FICT, pensando a offrire supporto farmacologico, psicologico, motivazionale per la tutela della dignità della persona malata di Aids e per dare valore e senso alla vita di chi fa i conti con quello che un tempo era erroneamente considerato la malattia che apparteneva esclusivamente al mondo dei tossicodipendenti. Da qui la stigmatizzazione e il ghettizzare coloro che ne erano affetti.

«Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio dei nostri centri – prosegue Squillaci – nel 2021, su 10 strutture, circa il 41% ha contratto il virus per trasmissione sessuale, il 44% per via endovenosa tramite lo scambio di siringhe, riscontrando un aumento di utenza con problematiche di dipendenza e psichiatriche. Gli operatori delle nostre comunità quotidianamente si confrontano e si interrogano e si mettono a servizio di queste persone con grande competenza, ma soprattutto con umanità. Le case di accoglienza per malati di Aids sono nate negli anni ‘80, quando era un fenomeno emergenziale e la cura non esisteva; oggi sono diventate accoglienze sociosanitarie, luoghi di vita in cui c’è la possibilità di condividere il dolore e la gioia, le solitudini, all’interno di una assistenza professionale, medica e infermieristica. La nostra sfida è promuovere la salute integrale della persona accompagnandola in un’inclusione totale nel territorio, informando e incontrando i giovani per combattere la disinformazione e lo stigma ancora presente e per dire che non esistono persone a rischio o categorie di persone ma comportamenti a rischio che possono toccare in modo trasversale tutti».

La prevenzione, dunque, prima di tutto, senza escludere nessuno e cercando di raggiungere tutta la popolazione. Di grande effetto, in tale direzione, la campagna lanciata dall'Anlaids, la prima associazione italiana nata nel 1985 per lottare contro l’Hiv, per sensibilizzare l’opinione pubblica e avanzare proposte concrete per soluzioni incisive.

Anlaids ci mette la faccia”, il titolo di una campagna che sta diventando virale sul web anche perché portata avanti attraverso le facce degli stessi attivisti e di persone vicine all'associazione, supportata da un video monografico per ciascuno di loro e un altro corale per celebrare la chiusura della campagna. Anche questa inizativa ci dice che si tratta di una battaglia che va combattuta mettendo in campo tutte le forze e attivando sinergie.

«Oggi, grazie alle terapie e alla scienza, sappiamo che l’AIDS è una malattia cronica con la quale si può convivere – conclude Luciano Squillaci -, ma sappiamo anche che con gli anni si sono ridotte le risorse mettendo a rischio milioni di persone. Il Covid ha concentrato maggiormente l’attenzione su di sé, rallentando di fatto gli interventi di salute e provocando anche una minore concentrazione in termini di prevenzione e di intercettazione con diagnosi tardive. Nel contempo ci ha svelato anche che il tema della salute riguarda tutti. La battaglia non è ancora finita e la prevenzione deve ritornare il cavallo di battaglia di ogni politica. Non si può eliminare una malattia legata spesso ai comportamenti, senza cambiare i comportamenti stessi».


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