Solidarietà & Volontariato

Dopo Rebellin, 5 strumenti per la sicurezza di chi pedala

Dopo l’investimento mortale del ciclista Davide Rebellin, Paolo Pinzuti -ceo di Bikenomist- suggerisce 5 strumenti per interrompere la strage quotidiana. Tra queste: impostare a 30 km/h la velocità sulle strade urbane (come in Spagna); imporre sanzioni proporzionali al reddito (come in Svizzera); presumere la colpevolezza del mezzo più pesante (come in Danimarca). Intanto la legge di bilancio 2023 azzera i fondi per le ciclabili urbane, scatenando la protesta di Clean Cities, FIAB, Kyoto Club e Legambiente

di Sabina Pignataro

L’investimento mortale di Davide Rebellin, campione di ciclismo ucciso in sella alla sua bici, ha fatto tornare di stretta attualità sui mass media il tema della sicurezza stradale per chi pedala. Era capitata la stessa cosa 5 anni fa quando a essere investito e ucciso sulla strada era stato Michele Scarponi. Tra questi due eventi tragici sono passati 5 anni e migliaia di persone che sulle strade italiane hanno trovato quella stessa morte atroce.

«La strage quotidiana sulle nostre strade non ha nulla a che fare con un fattore “incidentale”: non accade per caso, è una costante che giorno dopo giorno aggiunge morti e feriti alle statistiche», osserva Paolo Pinzuti ceo di Bikenomist ed editore di bikeitalia.it. Un contatore che non si ferma se non in caso di eventi eccezionali, come durante il primo lockdown del 2020 a causa della pandemia di Covid-19.

«Invertire la tendenza è possibile e diverse realtà europee lo dimostrano: basta lasciarsi alle spalle i timori dei contraccolpi elettorali e fare ciò che è giusto, ovvero salvare vite umane».

Come?

  1. «Occorre fare come in Spagna – suggerisce Pinzuti – dove il limite di velocità standard su tutte le strade urbane di prossimità è stato portato a 30 km/h.
  2. Occorre fare come in Svizzera dove hanno reso le sanzioni proporzionali al reddito.
  3. Occorre fare come in Danimarca in cui, in caso di incidente, si parte da una presunzione di colpevolezza nei confronti del mezzo più pesante che viene costretto a dimostrare la propria innocenza.
  4. Occorre fare come in Germania dove hanno iniziato a usare telecamere per individuare e multare chi utilizza il cellulare alla guida.
  5. Occorre fare come in Francia, dove le pubblicità delle automobili devono contenere inviti a utilizzare veicoli alternativi alle automobili.
    Questi sarebbero gli interventi necessari per migliorare la sicurezza sulle nostre strade. Invece in Italia dobbiamo accontentarci di politici che vogliono alzare i limiti di velocità e di giornalisti di spicco impegnati a stigmatizzare i ciclisti che non usano le luci in città. Come se i 3000 morti sulle strade del nostro paese fossero da imputare a loro».

Le cose potrebbero cambiare in fretta, aggiunge ancora l’esperto, «se solo si iniziasse a ragionare con la testa invece che con la pancia. Ma, triste dirlo, le persone che pedalano – siano esse ciclisti professionisti, amatori o semplici cittadini che utilizzano la bici come mezzo di trasporto – in Italia si trovano troppo spesso a farlo in un contesto ostile. Una giungla d’asfalto dove non solo le infrastrutture sono insufficienti e non collegate tra loro (le famose ciclabili che iniziano e finiscono nel nulla e che non vengono manutenute), ma le persone che guidano un mezzo a motore costituiscono un pericolo costante che la conformazione delle strade, la carenza di controlli e la segnaletica mancante non riescono a mitigare».

Una narrazione ostile al ciclista

Per Pinzuti, ulteriore aggravante di questo quadro, già di per sé penalizzante per chi pedala, «è un’opinione pubblica in cui “il ciclista” viene visto come un intralcio sulla strada per tutti coloro che vogliono realizzare la promessa della pubblicità delle automobili quando invitano a “riscoprire il piacere della guida” e a “riappropriarsi della strada”.Il tutto ovviamente avviene con il placet dei mass media che, invece di contribuire a una corretta educazione dei propri lettori, si lasciano volentieri andare alla chiacchiera da bar nella cronaca che affronta l’incidentalità stradale».

Quante volte, dice, «abbiamo letto di curve assassine, nebbia killer, automobili impazzite, pirati della strada? Il risultato è che in prima pagina ci finisce sempre il mostro di turno e mai ci si interroga sulle reali cause che poi sono sempre la velocità, la distrazione e la mancanza di controlli sulle strade. Perché in questo contesto l’operato delle forze dell’ordine viene dipinto come vessatorio e, così, gli strumenti per la misurazione delle velocità diventano, nelle parole di molti esponenti politici, solamente un modo per “fare cassa”. Non stupisce, quindi, se l’Italia sia uno dei pochi paesi del mondo occidentale in cui sia accettabile mettersi alla guida dopo aver bevuto. Che altro ci si può aspettare di diverso, d’altronde, se quando ci sono i controlli sulle strade i giornali si affrettano a denunciare la “strage di patenti”?».

La legge di bilancio 2023 azzera i fondi per le ciclabili urbane

E adesso, dopo una campagna elettorale in cui diversi esponenti della maggioranza si sono presentati con un programma stringatissimo, fatto di un semplice e laconico “basta autovelox”, il nuovo governo ha impostato la strategia di sviluppo per i prossimi anni che prevede l’azzeramento dei fondi per la costruzione delle piste ciclabili: 93 milioni di euro tra il 2023 e il 2024.

A partire dal 1° gennaio 2023, infatti, il bilancio dello Stato non avrà più un euro per le ciclabili urbane. Il testo della legge, “bollinato” dalla Ragioneria Generale dello Stato è arrivato alla Camera dei Deputati, e nella nota integrativa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti spunta il taglio totale dei fondi residui. Si tratta di 93 milioni di euro per gli anni 2023 e 2024, che erano rimasti nel Fondo per lo sviluppo delle reti ciclabili urbane e non ancora assegnati. Il fondo era stato istituito dalla legge di bilancio 160/2019 (art. 1 comma 47). Dal dossier Non è un paese per bici, pubblicato pochi giorni fa da Clean Cities, FIAB, Kyoto Club e Legambiente, emerge un notevole gap di ciclabilità tra le città italiane e le leader in Europa, per colmare il quale sarebbe necessario quadruplicare i chilometri di percorsi ciclabili, per una spesa complessiva di 3,2 miliardi di euro.

La richiesta, sostenuta da una petizione, è quindi a Governo e Parlamento di finanziare un piano straordinario di promozione della ciclabilità urbana con 500 milioni all’anno da qui al 2030.

Il link alla petizione è disponibile qui

In apertura, un'immagine tratta dalla pagina Facebook di Bikenomist


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