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Un caffé con mia madre nella Giornata della Disabilità

«Mamma, oggi è la giornata internazionale delle persone con disabilità. Cosa ne pensi? "Che il mondo sarà un posto migliore quando la smetterà di celebrare l’handicap per poi dimenticarsene il giorno dopo. Noi siamo ancora vite che nessuno vede. Uno Stato che celebra le persone con disabilità mentre nega diritti e servizi, prestazioni mediche, lavoro, spazi di aggregazione e opportunità, è malato d’ipocrisia»

di Stefano Ciccarelli

Sono le otto del mattino di un sabato piovoso d’inizio dicembre. Nunzia siede di fronte a me, nello spazio piccolo della cucina. Nelle tazzine, “il caffè migliore del mondo”, il suo. Tengo tra le mie queste bellissime mani, per dare forza e speranza ad un cuore che talvolta non ne può più. Il caffè caldo accoglie il miracolo di un nuovo giorno. Ed io mi chino a sfiorare con le labbra i capelli di mia madre per sentire e custodirne ancora il profumo.

Parlami di te, mamma. Parliamo di questa vita amara e dolce.

«L’ho fatto per tutta la vita…».

Fallo ancora una volta.

«Sai quante donne come me potrebbero raccontarti una storia migliore?».

Le altre donne non sono mia madre.

«Ma tua madre è una donna come le altre. Scemo tu che non lo capisci».

Va bene, va bene…

«Anzi, una donna nata e vissuta in un paese in provincia di Caserta pieno di pregiudizi ed ignoranza».

Castel Volturno. Nascere ciechi in un paesino del Sud nel 1983. Cosa significava?

«Una condanna definitiva ad una vita di isolamento. In cui al massimo avresti potuto passare le giornate ascoltando la radio fino ad impazzire. Dipendendo dai parenti in tutto e per tutto. Me ne raccontavano moltissime di storie simili. Ma non volevo che mio figlio facesse questa fine. Mi ribellai».

Ti sei sempre ribellata.

«Non subito, però. Prima ci furono le lacrime, la disperazione, la depressione».

Vuoi affrontare l’argomento?

«Tutto quello che ti chiedi nei primi tempi è perché. Perché a me, perché a mio figlio. Pensi all’ingiustizia di un destino che nessuno meriterebbe. Eppure è la ribellione che, asciugate le lacrime, spinge genitori, ragazze e ragazzi a scuotersi. A mettere insieme pezzi di vita, sofferenza, sogni traditi e speranze rubate per abbozzare un’ipotesi di futuro».

Tu e papà eravate impreparati.

«Non solo. Eravamo distrutti. Ma dovevamo andare avanti. Così, cominciai a chiedere aiuto, ma negli anni Ottanta del secolo scorso più o meno tutti consigliavano di tenere a casa un bimbo con disabilità. Fino a quando non ricordo chi mi parlò dell’istituto per ciechi Martuscelli di Napoli».

Oggi non esiste più.

«Già. Ma allora ospitava ragazze e ragazzi ciechi da tutto il Mezzogiorno. Solo che…».

Solo che?

«Non avevo l’auto per accompagnarti a Napoli e tornare a prenderti. Mi dissero che avrei potuto lasciarti a dormire lì. Ma non volevo: pensavo, e penso tuttora, che un bambino abbia il diritto di avere una casa, la sua casa, in cui tornare ogni sera».

E allora?

«Con tuo padre facemmo sacrifici e, alla fine, la macchina uscì».

Le persone con disabilità e i loro familiari non sono angeli né eroi. Ma donne e uomini costretti ad affrontare montagne che non hanno scelto di scalare

La Panda.

«Sì. Un’auto d’occasione che tutti pensavano non sarebbe durata un anno. Invece, fu la nostra alleata più preziosa: non la scoraggiarono pioggia, sole, forature e buche di tutti i tipi. Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto».

Eri sola?

«No. Altrimenti non so come sarebbe andata. C’erano la nonna e la zia. Poi, arrivò Rosalia».

Mia sorella. Una splendida trentenne, oggi.

«Andavate a scuola insieme: lasciavo te e accompagnavo lei».

Così facendo, però, hai dovuto rinunciare a te stessa.

«Non c’è stato tempo per pensare. Era qualcosa che andava fatto e bisognava farlo. Perché, se io avessi mollato, nessuno se ne sarebbe occupato e per noi avrebbe significato la fine. Il vociare di fondo sosteneva le solite cose: dal classico “chi te lo fa fare” al crudele “tanto non ce la farà a finire le scuole”. A quel punto, però, ti copri la testa e vai avanti senza sentire più niente. Una condizione di cui i caregiver di questo Paese, che affrontano situazioni ben più difficili, sono amaramente consapevoli».

Che non avrei finito le scuole non lo diceva solo il paese. Lo dissero anche le istituzioni. Quelli che avrebbero dovuto tenderci la mano e salvarci. Una commissione medica incaricata dalla ASL di tracciare un tuo profilo psicologico su richiesta della scuola che voleva mandarti via, mi disse: "Signora, lei e suo figlio avete bisogno di un sostegno psicologico, non scolastico

Che non avrei finito le scuole non lo diceva solo il paese.

«No. Lo dissero anche le istituzioni. Quelli che avrebbero dovuto tenderci la mano e salvarci».

Chi?

«Una commissione medica incaricata dalla ASL di tracciare un tuo profilo psicologico su richiesta della scuola che voleva mandarti via. Signora – mi dissero – lei e suo figlio avete bisogno di un sostegno psicologico, non scolastico».

Lo dissero perché, proprio in quegli anni, stavo perdendo anche l’udito.

«Probabilmente sì. Noi soffriamo tanto per la nostra impreparazione. Per poi fare dolorosamente i conti con istituzioni inadeguate che fuggono, si negano o rispondono con crudeltà e insensibilità».

La vita poi è andata avanti. Il diploma, la laurea in Giurisprudenza. Gli esami da avvocato dati e ripetuti senza successo. La disoccupazione. Ed ora la scuola di giornalismo. Non abbiamo avuto tante gioie.

«E invece ne abbiamo avute. Sei un uomo libero. Colto. Hai la possibilità di fare una cosa meravigliosa: scegliere chi e come essere. È un diritto che ogni persona, con e senza disabilità, dovrebbe avere».

Mamma, oggi è la giornata internazionale delle persone con disabilità. Cosa ne pensi? Che il mondo sarà un posto migliore quando la smetterà di celebrare l’handicap per poi dimenticarsene il giorno dopo. Noi siamo ancora vite che nessuno vede. Uno Stato che celebra le persone con disabilità mentre nega diritti e servizi, prestazioni mediche e previdenza sociale, lavoro, spazi di aggregazione e opportunità, è un meccanismo malato d’ipocrisia. C’è ancora tanta, tanta strada da fare

Mamma, oggi è la giornata internazionale delle persone con disabilità. Cosa ne pensi?

«Che il mondo sarà un posto migliore quando la smetterà di celebrare l’handicap per poi dimenticarsene il giorno dopo. Noi siamo ancora vite che nessuno vede. Uno Stato che celebra le persone con disabilità mentre nega diritti e servizi, prestazioni mediche e previdenza sociale, lavoro, spazi di aggregazione e opportunità, è un meccanismo malato d’ipocrisia. Eh sì, c’è ancora tanta, tanta strada da fare».

*Curioso di tutto, appassionato della vita, Stefano Ciccarelli, 39 anni, laureato in Giurisprudenza, ha la sindrome di Norrie. Ha una cecità totale e sente grazie alle protesi acustiche. Dal 1997 è seguito dalla Lega del Filo d'Oro. Oggi studia giornalismo all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

Photo by Andrea De Santis on Unsplash


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