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Disabilità: è tempo di andare oltre i diritti

Bisogna passare dal "diritto di indipendenza" ai "bisogni di appartenenza" delle persone con disabilità: è la provocazione della Conferenza Episcopale Italiana, ma già Edgar Morin diceva che il problema maggiore del nostro tempo non è libertà ma la fraternità. In un momento di innovazione del welfare come quello che stiamo vivendo, dal Pnrr alla Delega sulla Disabilità, una riflessione che cambia la prospettiva

di Marco Bollani* e Roberto Franchini

In occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità che l’Onu ha dedicato per il 2022 al tema dell’innovazione sociale, la Conferenza Episcopale Italiana ha organizzato un momento di confronto e di riflessione, proponendo come stimolo per la riflessione il passaggio “dal diritto all’indipendenza al bisogno di appartenenza nella società e nella comunità” (qui invece il testo del discorso che Papa Francesco ha rivolto ad un gruppo di persone con disabilità ricevute in udienza, ndr). A questo incontro siamo invitati a portare una testimonianza: abbiamo portato un contributo a due voci sul rapporto tra diritti e bisogni di appartenenza e su appartenenza sociale e innovazione nei servizi per la disabilità.

L’incontro del 3 dicembre si è chiuso con un’immagine molto bella evocativa e provocatoria di suor Veronica Donatello, Direttrice del Servizio Nazionale Pastorale delle Persone con Disabilità e organizzatrice dell’incontro. «Dobbiamo imparare a considerare le condizioni della disabilità come la dimostrazione di quanto le nostre società non funzionino bene, vedere la condizione di disabilità come segnale di un problema di incapacità e di dis-funzionamento della nostra società. Che non è organizzata per essere a misura di tutti e soprattutto per garantire a tutti noi di sentirci parte di essa e di essere tutti – ciascuno di noi a prescindere dalle nostre differenze – a tutti gli effetti, cittadini fino in fondo». Potremmo immaginare – ha detto provocatoriamente – «le persone con disabilità come “hacker di Dio”, mandati sulla terra a mettere in crisi le falle e i limiti delle organizzazioni sociali esclusive».

Dobbiamo imparare a considerare le condizioni della disabilità come il segnale di un problema di incapacità e di dis-funzionamento della nostra società, che oggi non è organizzata per essere a misura di tutti e soprattutto per garantire a tutti noi di sentirci parte di essa. Le persone con disabilità sono gli “hacker di Dio”, mandati sulla terra a mettere in crisi le falle e i limiti delle organizzazioni sociali esclusive

suor Veronica Donatello

È importante allargare la visione attuale sui temi dell’indipendenza e dell’inclusione sociale, andando oltre alla prospettiva giuridica dei diritti, per giungere al più alto profilo dei bisogni esistenziali della persona. I diritti sono stati, sono e saranno un’importante e delicata leva di cambiamento, utile ad assicurare una base di partenza uguale per tutti ma i bisogni esistenziali sono più ampi, non semplicemente legati alla vita indipendente (così come spesso è interpretata), ma alla sfera dell’appartenenza e della reciprocità. All’interno di una visione complessiva di una vita di qualità, l’indipendenza è solo uno dei fattori che determinano il benessere personale e non può essere perseguita senza tener conto anche dei bisogni esistenziali materiali di sostegno, oltreché di libertà e di autodeterminazione. In particolare una vita indipendente non può realizzarsi senza rispondere ai bisogni di appartenenza sociale di ciascuno di noi. Oltre tutto i diritti sono identici per tutti e quindi il recupero, all’interno della prospettiva dell’indipendenza, dei bisogni esistenziali è molto importante per prevenire il rischio di pensare e concepire che vita indipendente possa realizzarsi attraverso una serie di adempimenti normativi proceduralizzabili e standardizzabili. Come affermava Edgar Morin il problema principale del nostro tempo non è legato a questioni giuridiche, come la libertà, ma è legato alla fraternità. Già a fine Ottocento Tonnies affermava che saremmo passati dalla dimensione dell’appartenenza (comunità) alla dimensione dei diritti (società); in cui l’altro non è riconosciuto come fratello e persona, ma soltanto come portatore di diritti esigibili. Alla luce di questo pericolo, è necessario che tutti, realtà professionali, associazioni, movimenti, parrocchie, costruiamo comunità generative, all’interno delle quali le persone con disabilità non siano semplicemente presenti, ma entrino nel noi dell’appartenenza, fatto di diritti ma anche di “doveri” alla realizzazione del proprio progetto di vita, in connessione ad altri e rivestendo un ruolo attivo.

I diritti sono stati, sono e saranno un’importante e delicata leva di cambiamento, utile ad assicurare una base di partenza uguale per tutti ma i bisogni esistenziali sono più ampi, legati alla sfera dell’appartenenza e della reciprocità. All’interno di una visione complessiva di una vita di qualità, l’indipendenza è solo uno dei fattori che determinano il benessere personale. In particolare una vita indipendente non può realizzarsi senza rispondere ai bisogni di appartenenza sociale di ciascuno di noi

Roberto Franchini

Appartenenza e innovazione sociale: il pieno significato della vita indipendente

In quest’ottica la riflessione proposta dalla CEI “dal diritto all’indipendenza al bisogno di appartenenza nella società e nella comunità cristiana” è importante anche per ragionare sul tema scelto dall’Onu per celebrare quest’anno la Giornata internazionale del 3 dicembre, che è il tema dell’innovazione sociale: a sua volta chiama in causa la relazione tra diritti, bisogni personali e processi di cambiamento…

Per quanto riguarda il tema della vita indipendente delle persone con disabilità, acquisito che “vita indipendente” non significa “vita senza dipendenza” ma “vita con possibilità di scegliere dove e con chi vivere”, ne consegue che:

vita indipendente non significa vivere da soli o vivere con il proprio assistente eliminando la possibilità e l’opportunità di vivere presso servizi residenziali o comunitari, ma significa poter scegliere se vivere da solo o insieme ad altre persone e scegliere se vivere a casa mia (da solo o in co-abitazione) oppure presso strutture o servizi comunitari.

non esiste pertanto un modello unico, standardizzabile, universalmente valido per tutte le persone, per garantire e promuovere la loro indipendenza: al contrario, per ogni persona con disabilità è bene che esistano le più ampie possibilità immaginabili di vita indipendente ed allo stesso modo la più larga variabilità di processi e progettazioni per poterla realizzare

Quindi è necessario che le persone con disabilità possano contare su una varietà di opportunità concrete realmente presenti e attivabili: se non ci sono servizi residenziali e posso solo vivere da solo con un assistente o al contrario non c’è nessuna possibilità di avere un assistente personale o di poter realizzare un progetto di co-abitazione ed esistono solo servizi residenziali, il diritto all’indipendenza e la possibilità di scegliere dove e con chi vivere, non potrà essere garantito. Perché le persone saranno costrette ad adattarsi alle uniche sistemazioni o modalità di vita che l’organizzazione sociale di quel particolare contesto locale o regionale o nazionale garantisce o consente. Più è ampia invece la possibilità di scelta e più le persone potranno esprimere al meglio la loro libertà di scelta.

Per promuovere la vita indipendente e l’inclusione sociale delle persone con disabilità non dobbiamo fare a meno dei servizi o smantellarli. Dobbiamo invece valorizzare la loro esperienza. Integrandoli, arricchendoli, anche riqualificandoli. E possiamo riqualificarli proprio a partire dai processi di innovazione e di cambiamento realizzati proprio da chi li gestisce. Processi realizzati spesso anche anticipando i dettami normativi ed andando incontro, dal basso, a bisogni in emergenza senza risposte ed ai bisogni esistenziali che richiedono risposte nuove. Realizzando sempre dal basso risposte innovative e interessanti coerenti con il mandato della convenzione Onu.

Ed in più, rubando una frase di Papa Francesco, ricordiamo che “non basta un tetto perché ci sia una casa”. Vita indipendente non significa solo “mettere a tetto” una persona. Non solo non basta un posto letto, ma non basta neanche tutta una casa. Perché l’indipendenza di una persona non può realizzarsi senza concepire e costruire luoghi che favoriscano l’incontro e la relazione tra le persone e che trasmettano e facciano sentire alla persona la possibilità di sentirsi ed essere parte di un mondo ed un universo più largo di quello della sua vita individuale. Sentendosi parte attiva di una comunità e prendendo parte attivamente, nei limiti delle possibilità di ciascuno di noi, alla comunità ed alla sua vita.

Del resto non è difficile capire che ciascuno di noi è veramente libero ed indipendente non tanto quando è in grado di badare a se stesso e di fare tutto da solo, quanto quando riconosce che la propria libertà e la propria indipendenza dipendono anche dalla sua relazione con gli altri e dalla sua dipendenza dalle altre persone.

Non è difficile capire che ciascuno di noi è veramente libero ed indipendente non tanto quando è in grado di badare a se stesso e di fare tutto da solo, quanto quando riconosce che la propria libertà e la propria indipendenza dipendono anche dalla sua relazione con gli altri e dalla sua dipendenza dalle altre persone

Marco Bollani

La riflessione proposta dalla CEI e l’invito ad andare oltre lo sguardo e la prospettiva del diritto è importantissima e sfidante soprattutto al tema dell’innovazione sociale. Perché ci fa riflettere sul fatto che l’innovazione sociale non nasce mai de iure condito, ex lege. Ma nasce dentro le risposte ai bisogni delle persone… e soltanto dopo diventa norma. L’innovazione sociale non nasce dall’alto imponendosi ex lege, ma nasce dal basso e quando funziona potrà procedere verso l’alto e diventare norma. Un po’ del resto, come i processi di conoscenza che caratterizzano le scienze sociali, in cui il rapporto tra azione e conoscenza più che dal sapere appare mediato dall’esperienza… Che diventa sapere ma solo dopo esser stato esperito… Vissuto, sperimentato. Agito. E non viceversa.

Questa sottolineatura oggi è di enorme importanza per accompagnare i processi di cambiamento e di innovazione che stanno caratterizzando i grandi investimenti strutturali e infrastrutturali necessari per trasformare gli interventi di welfare a sostegno delle persone fragili, sia a livello regionale all’interno dei vari piani di riforma socio-sanitaria, sia a livello nazionale nell’ambito dei lavori della Legge Delega sulla disabilità.

Oggi c’è bisogno di processi di innovazione davvero resilienti che sappiano valorizzare le esperienze di innovazione nate dal basso, in prima linea nella risposta concreta alle situazioni anche di emergenza. Tali processi devono essere valutati studiati e promossi come modelli e vettori di trasformazione sussidiaria del sistema di welfare. Evitando processi di cambiamento costruiti semplicemente ed esclusivamente dall’alto verso il basso, ex lege, a tavolino, astrattamente, quando non ideologicamente.

Da questo punto di vista il welfare regionale in Lombardia non manca di esperienze innovative davvero importanti lungo tre assi fondamentali per rinnovare il welfare della disabilità.

  • La progettazione personalizzata e partecipata: su alcuni territori lombardi sono emersi alcuni modelli territoriali interessanti di co-progettazione attorno ai progetti individuali che coinvolgendo personale pubblico sociale e sanitario e operatori del privato sociale (enti gestori dei servizi) di fatto hanno costruito dal basso un primo livello essenziale procedurale di progettazione personalizzata realizzando già, a livello locale, quanto attualmente previsto nell’ambito del decreto attuativo sulla progettazione personalizzata previsto dalla Legge Delega e favorendo processi di riqualificazione dei servizi diurni da servizi di accoglienza a servizi di accompagnamento alla vita indipendente che sostengono le progettazioni Pro.VI e Dopo di NOI.
  • Riqualificazione dei servizi in chiave inclusiva: nell’ambito del processo di fronteggiamento della fase Covid sono molte le esperienze di servizi diurni che hanno avviato processi di ristrutturazione interessanti del loro funzionamento con l’utilizzo di spazi decentrati sul territorio, anche non esclusivi, prevedendo anche interventi di sostegno al domicilio in situazioni di emergenza e avviando nei fatti un allargamento del loro mandato anche in questo caso da servizi di accoglienza a servizi di accompagnamento alla vita
  • Dai servizi residenziali ai servizi di sostegno abitativo: non sono rari anche i territori su cui l’applicazione della Legge 112 e l’avvento dei Progetti Pro.VI ha favorito la realizzazione di importanti processi di investimento e di co-progettazione tra enti pubblici e del privato sociale per avviare progetti di co-abitazione alternativi ai servizi residenziali ma ad essi integrati e in prospettiva davvero interessanti per portare il mandato della legge 112 a rafforzare la capacità dei servizi residenziali di promuovere concretamente la prospettiva della Convenzione Onu, come nella recentissima delibera di Regione Lombardia DGR 7429 del 30.11.2022.

*Marco Bollani, esperto di politiche sociali e servizi per la disabilità
**prof. Roberto Franchini, pedagogista, insegna all’Università Cattolica di Brescia

L'immagine in copertina è un frame del video #TheChurchIsOurHome, che racconta il lavoro preparatorio fatto da un gruppo di persone con disabilità in vista del Sinodo.


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