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Ode a Mercoledì, regina dei reietti

La nuova serie firmata da Tim Burton è già un cult tra gli adolescenti (e non solo). Francesca Gennai, sociologa, la rilegge in chiave post femminista. E a Mercoledì dice «grazie perché hai reso un grande omaggio all’imperfezione ed a chi ogni giorno è tenuto lontano dalla società per disprezzo o indifferenza. Hai guardato ai reietti facendoci venire una gran voglia di essere uno di loro e non come coloro da cui stare lontani»

di Francesca Gennai

Ode a te Mercoledi, che già sei una icona. Indiscussa protagonista della nuova miniserie di Netflix, firmata da Tim Burton, affronti senza batter ciglio alcuni dilemmi cruciali del nostro tempo e ce li sbatti in faccia rimandandoli alle nostre coscienze. Grazie perché a tutte noi almeno una volta è capitato di essere “un esempio di oggettivazione femminile per lo sguardo maschileed abbiamo cercato di spiegarlo alle nostre figlie e far capire loro che può succedere senza per questo smettere di credere nell’uguaglianza sociale, politica, giuridica ed economica dei sessi. Sono convinta come te, per diretta e continuativa esperienza, che chiunque abbia inventato i tacchi alti chiaramente aveva un’attività secondaria come torturatore, ma per quanto ha fatto non posso che lodarlo. Grazie perché hai ben interpretato quello che spesso vorremmo dire al nostro capo: “per tua informazione, non penso di essere migliore degli altri, solo di essere migliore di te”. Grazie perché ci hai assolto dal pensiero di dover sempre essere felici ed accoglienti per essere amate e desiderate. Guardando l’arcobaleno non sempre ci emozioniamo, alcune allegre canzoni pop nauseano anche noi ed alcune sere vorremmo che la nostra casa assomigliasse ad una isola deserta senza attracchi, piuttosto che ad un porto di mare. Grazie per come hai guardato alla complessità delle relazioni familiari ed hai seppellito, spero una volta per tutte, l’immagine della famiglia Mulino Bianco e l’idea che dalla pentolaccia possano solo uscire caramelle. Hai messo a fuoco l’ipocrisia di continuare a declinare il termine famiglia al singolare e ce ne hai offerta una lenzuolata variopinta, confermando quello che una certa Anna ha detto anni fa “tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Grazie per come hai richiamato noi genitori alle nostre responsabilità gridandoci quanto la nostra presenza o assenza, le nostre parole e gesti contino nella relazione con i figli, quanto le nostre aspettative, esplicitate o meno, possono essere degli ostacoli al loro percorso di crescita, nel capire cosa uno è e vuol essere o non essere. E sottovoce grazie perché hai ricordato loro che la loro storia familiare è parte della loro e non può essere sotterrata senza conseguenze. Grazie perché l’amicizia che hai legittimato è fra persone diverse, fra il nero e l’arcobaleno, permettendo però a chi la vive di rimanere se stesso ed essere voluto proprio per quello che è. Ci hai messo tutti in guardia dal canto delle sirene, che diventa più forte nei momenti di sconforto e rischia di attrarci, di portarci nella caverna degli orrori. Ed è lì che si generano i mostri, le nostre paure. Grazie perché hai fatto un inno al coraggio, alla perseveranza, al non accontentarci dell’ovvietà e ci hai fatto venire voglia di indagare la complessità della vita. Ma soprattutto grazie perché hai reso un grande omaggio all’imperfezione ed a chi ogni giorno è tenuto lontano dalla società per disprezzo o indifferenza. Hai guardato ai reietti facendoci venire una gran voglia di essere uno di loro e non come coloro da cui stare lontani.




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