Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Welfare & Lavoro

Non autosufficienza, la riforma in stand by

Tutto tace sulla riforma della non autosufficienza, prevista dal Pnrr e attesa da 3,8 milioni di anziani. La legge delega deve essere approvata entro marzo 2023. Intervista a Cristiano Gori, coordinatore del Patto per la Non Autosufficienza: «Il governo precedente ha accolto il nostro impianto e ne siamo lieti. Ma c’è ancora una lunga strada da fare per rendere quello schema solido e per metterlo a terra: questa è la sfida per il governo Meloni»

di Sara De Carli

Sono passati ormai due mesi dall'insediamento del governo Meloni: settimane oggettivamente dominate dall'urgenza di comporre la Legge di Bilancio per il 2023, dentro la cornice della guerra che prosegue, del caro-bollette e della crisi energetica. Tuttavia c'è un tema che non può passare sotto silenzio, tanto ampi sono i numeri della questione: l'assistenza agli anziani non autosufficienti. È il tema a cui VITA dedica la nuova copertina: la demografia parla chiaro, il sistema attuale non può reggere l'onda d'urto che ci attende, con 2 milioni di over80 in più attesi nei prossimi vent'anni. Giustamente la riforma dell'assistenza agli anzini non autosufficienti è stata inserita nel Pnrr ed entro marzo 2023 il Parlamento dovrà approvare la legge delega: il governo Draghi ha lasciato uno schema di decreto, che ancora però il nuovo esecutivo non ha inviato all'esame del Parlamento. «Il fatto che non ci siano comunicazioni pubbliche non significa che non ci siamo mossi su questo tema, abbiamo già avviato dievrsi confronti», aveva assicurato sabato 3 dicembre, al Congresso della Fish, Maria Teresa Bellucci, viceministra al Lavoro e Politiche Sociali.

Facciamo il punto con Cristiano Gori, professore ordinario di Politica Sociale all'Università di Trento e coordinatore del Patto per la Non Autosufficienza, l'ampia coalizione sociale che proprio nella primavera 2021 ha ottenuto l'inserimento della riforma nel Pnrr, dove a gennaio il governo Conte II non l'aveva prevista.

Professore, in Italia oggi abbiamo 3,8 milioni di anziani non autosufficienti. Qual è il quadro delle sfide che pongono al welfare? Sia a livello di demografia sia di bisogni.

Le sfide sono legate alla crescita del numero degli anziani e in particolare del numero dei grandi anziani, gli over 80. Il secondo tema è rappresentato dai profili sempre più problematici e differenti che i grandi anziani hanno, dalla divaricazione per esempio tra disabilità di tipo fisico e disabilità di tipo cognitivo, per cui una persona allettata e una con Alzheimer hanno evidentemente bisogni molto differenti tra loro. Terzo punto, l’indebolimento delle famiglie, ad ogni lustro diminuisce il numero di figli per anziano, mentre il welfare italiano è ancora disegnato sul fatto che ci siano dei figli attorno all’anziano. Quarto, non possiamo non tenere presente che la non autosufficienza è in misura crescente ragione di impoverimento: in presenza di lunghi anni di non autosufficienza i risparmi delle famiglie si vanno ad erodere in maniera relativamente rapida.

Ci sono anche dei nuovi bisogni?

Il nuovo bisogno è la demenza: definirlo “nuovo” fa sorridere, dato che è presente in misura significativa da ormai un ventennio… Il punto è che le risposte attuali non sono per nulla disegnate su quel bisogno. Dire che la chiave non è quella dei nuovi bisogni, la chiave è quella dei bisogni non riconosciuti. E quella della eterogeneità dei bisogni

Quali sono le principali criticità del sistema attuale, quelle che ci fanno dire che una riforma è necessaria?

Sicuramente abbiamo pochi fondi ma non possiamo fermare qui l’analisi. Il primo problema è la frammentazione, come sa chiunque abbia in famiglia un anziano non autosufficiente. È la prima fatica che le famiglie dicono. Il sistema pubblico è troppo frammentato, fatto di prestazioni e interventi non coordinati, ti devi rivolgere ad una molteplicità di punti diversi e non sai mai con certezza qual è giusto. La seconda criticità è che molti servizi offerti agli anziani non autosufficienti in realtà non sono pensati per la non autosufficienza. L’esempio più lampante è quello dell’Assistenza Domiciliare Integrata (Adi), il servizio più diffuso: in media dura 2-3 mesi, con 18 accessi medi all'anno. È qualcosa di utile per affrontare un periodo post ospedaliero, ma non per accompagnare anni e anni di non autosufficienza. E ancora, anche se ormai le demenze sono diffuse da decenni, i servizi sono disegnati per le non autosufficienze funzionali. Terzo tema, la scarsità di servizi: il nostro sistema non è scarso per contributi economici (vedi indennità di accompagnamento) ma per servizi. Anche nelle regioni più evolute.

Perché la riforma è improrogabile?

Facciamoci un’altra domanda: a quando risale l'ultima riforma dell’assistenza alla non autosufficienza? La riposta è "mai", non è mai stata fatta. In Italia prima è nato l'accompagnamento, poi l’Adi, poi sono arrivate le Rsa… tutto sommando i pezzi. L’Italia non ha solo una eterogeneità territoriale nelle risposte: no, è proprio che questo è un settore del welfare nato per via incrementale e senza coordinamento. Questo è già un buon motivo per fare una riforma. Per lo Stato sociale nato dopo la seconda guerra mondiale, la non autosufficienza non esisteva come problema: la non autosufficienza è uno dei nuovi rischi sociali, emersi solo negli ultimi decenni, ma dobbiamo riconoscere che la realtà è cambiata e modificare loStato sociale di conseguenza. Un altro buon motivo è provare a rispondere ai 4 problemi che abbiamo visto sopra. In tutti i paesi dove è stata realizzata, la riforma ha cambiato profondamente il sistema.

Perché la riforma è improrogabile? Facciamoci un’altra domanda: a quando risale l'ultima riforma dell’assistenza alla non autosufficienza? La riposta è "mai", non è mai stata fatta. In Italia prima è nato l'accompagnamento, poi l’Adi, poi sono arrivate le Rsa… tutto sommando i pezzi. Questo è un settore del welfare nato per via incrementale e senza coordinamento. Questo è già un buon motivo per fare una riforma.

Cristiano Gori

Il Pnrr prevede la riforma della non autosufficienza e il governo Draghi a ottobre, come suo ultimo atto, ha approvato uno schema di disegno di legge delega per la revisione delle politiche in favore degli anziani, tra cui c’è anche la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Uno schema di legge delega che riprende molte delle idee del Patto per la Non Autosufficienza. Quali sono le principali novità?

Proverei a presentarle in maniera simmetrica rispetto alle tre criticità che ho evidenziato sopra. Per superare la frammentazione, si introduce il Sistema Nazionale Anziani-Sna. In esso le diverse filiere lavorino insieme, dal livello nazionale ministeriale a quello degli ambiti territoriali sociali e dei distretti sociosanitari, programmando insieme le risorse. Per gli anziani e per le famiglie questo si traduce in una semplificazione dell’iter per la valutazione iniziale, con una valutazione nazionale e una regionale al posto delle 5-6 oggi necessarie. Rispetto al tema di avere oggi risposte non disegnate sui bisogni specifici delle persone non autosufficienti, una risposta chiarissima sta nell’interoduzione della nuova Assistenza domiciliare integrata sociosanitaria, che “somma” le attuali Adi e Sad: ancora manca la descrizione del “mix delle prestazioni”, che devono essere multiprofessionali, ma il fatto che sia stata inserita la frase «con risposte di durata adeguata ai bisogni degli anziani» dice già chiaramente che si sta andando in una nuova direzione. In questo senso la nuova domiciliarità è stata disegnata, mentre per la nuova residenzialità manca ancora un ragionamento forte, tutto da fare. Sui servizi, che è il terzo punto critico, va segnalata la novità di una prestazione universale graduata in base al bisogno assistenziale, che a scelta del beneficiario può essere erogata o in trasferimento monetario come oggi o in servizi alla persona, nel qual caso l’importo sale. È un incentivo ad uso appropriato delle risorse pubbliche, ma anche un modo per dare risposte più adatte alla non autosufficienza. In generale, il governo precedente ha accolto il nostro impianto e ne siamo lieti. Ma c’è ancora una lunga strada da fare per renderlo solido e metterlo a terra: questa è la sfida per il governo Meloni.

Lo schema di legge delega non prevede risorse: evidentemente però è impossibile fare una riforma della non autosufficienza senza risorse aggiuntive, peraltro anche ingenti. È evidente infatti – anche solo per i numeri della demografia – che per assicurare un’assistenza pubblica alla non autosufficienza nei prossimi anni sarà necessario incrementare i finanziamenti di diversi miliardi di euro.

Intanto il fatto che la riforma della non autosufficienza sia stata inserita nel Pnrr – e ricordo che inizialmente non c’era – ha una conseguenza importantissima: siamo obbligati a farla, in tempi certi. Entro marzo 2023 la legge delega deve essere approvata dal parlamento. Per una materia così debole, questo è tantissimo dal punto di vista politico anche se effettivamente è ancora poco dal punto di vista contenutistico. Ogni riforma ha due aspetti, uno che riguarda il disegno della governance e uno che riguarda l’attuazione dell’intervento: è chiaro che qualsiasi miglioramento dei servizi richiede risorse. Abbiamo un inizio di disegno, ma la partita delle risorse inizia ora e d’ora in avanti sarà fondamentale. Le due sfide grandi ora sono queste, a livello nazionale reperire le risorse e migliorare alcuni aspetti, a livello locale immaginare la messa a terra.

Quali sono i punti su cui c’è ancora da lavorare, per cui il passaggio Parlamentare ora sarà importante per migliorare la delega?

I temi grossi sono due, un progetto sulla residenzialità e le badanti. Con il Covid abbiamo imparato che non è vero che non ci vogliono Rsa: ci vogliono buone Rsa. Dire cosa sia una buona residenzialità è molto complicato a livello nazionale, bisogna capire quali sono le poche indicazioni che lo Stato può dare per sostenere la qualità della residenzialità. Nello schema di ottobre c’erano solo due indicatori: intensità assistenziale e qualità degli ambienti di vita, bisognerebbe svilupparli. Altro nodo, le badanti, rispetto a cui serve immaginare sia percorsi di qualificazione sia di sostegno ai costi. Poi, come ho detto sopra, bisogna rafforzare l’impianto complessivo, rendendo più solido lo Sna. E, nondimeno, ci sono una varietà di aspetti ulteriori da rafforzare. Questo fino all’approvazione della legge delega, entro marzo 2023. Dopodiché, come anticipato, bisognerà lavorare per l’attuazione, attraverso i decreti delegati, e per trovare i fondi necessari, che significa accrescere il rilievo politico dell materia. Se, come speriamo, il nuovo Governo e il nuovo Parlamento vorranno puntare sull’assistenza agli anziani non autosufficienti, le cose da fare non mancano.

Il Pnrr prevede un investimento sull’Adi di 2,7 miliardi: in un certo senso è un’indicazione a sviluppare all'ennesima potenza le criticità dell’Adi attuale. La riforma indica una direzione contraria. Come fai a dire ai territori facciamo "A" con la riforma, se sono spinti a fare "B" dagli investimenti esistenti? Per questo chiediamo che la legge di bilancio decida già di riorientare parte di quesi 2,7 miliardi per l’Adiss, la nuova domiciliarità disegnata dalla riforma

Cristiano Gori

Una delle criticità sollevate dagli addetti ai lavori riguarda la connessione tra riforma e DM 77, che ha ridisegnato la medicina di territorio stanziando fra l’altro 2,7 miliardi di euro per portare la copertura dell’attuale Adi al 10% degli over 65.

È un problema giusto. I territori lamentano l’arrivo di “pezzi” normativi sconnessi uno dall’altro: la moltiplicazione di normative dovute al Pnrr spinge in qs direzione. Quell’investimento sull’Adi di 2,7 miliardi è stato disegnato prima che si riuscisse a mettere la riforma della non autosufficienza dentro il Pnrr. In un certo senso è un’indicazione a sviluppare all'ennesima potenza le criticità dell’Adi attuale, cioè quella di essere un sistema prestazionale e che segue gli anziani solo per pochi mesi. La riforma indica una direzione contraria. Come fai a dire ai territori facciamo "A" con la riforma, se sono spinti a fare "B" dagli investimenti esistenti? Come Patto per la Non Autosufficienza abbiamo chiesto che già con la legge di bilancio si decida di riorientare una parte di questi 2,7 miliardi per l’Adiss, gradualmente, così che i territori possano già organizzarsi per iniziare a offrire un adeguato mix di prestazioni, per il tempo adeguato, anticipando già i cambiamenti previsti dalla riforma.

Foto di JORGE LOPEZ su Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA