Cooperazione & Relazioni internazionali

Ucraina, così i piccoli rifugiati studiano in Italia

Da Torino a Milano: le scuole ucraine in Italia consentono ai bambini-profughi di proseguire gli studi, ma anche di mantenere vivo il legame con la loro terra. Abbiamo intervistato chi, ogni giorno, lavora per dare vita a queste realtà

di Redazione

Tutti i sabati mattina alle 10 riecheggia il suono della campanella tra le aule al primo piano della scuola salesiana torinese Valsalice. I bambini salgono le scale con gli zainetti in spalla, qualcuno porta una borsa piena di vestiti, altri chiedono informazioni su dove andare. Non è la solita campanella: Alla Chechotkina la fa suonare dal cellulare o utilizza una vera e propria piccola campana e cammina avanti e indietro lungo il corridoio. Alla Chechotkina, arrivata in Italia 13 anni fa, è la responsabile della scuola Abetka che da inizio ottobre 2022 accoglie i bambini ucraini a Torino. Il progetto è nato in due aule dell’oratorio di via Salerno, ma poi i bambini erano troppi. Allora il Valsalice ha messo a disposizione un corridoio con sei aule; quindi, la scuola si è spostata in Viale Enrico Thovez.

Attualmente partecipano una ventina di bambini divisi per età: ci sono la prima, la seconda, la quinta e la settima, quest’ultima corrisponde alla seconda media italiana. A queste si aggiunge una classe «di italiano per gli adulti, in particolare per i genitori che portano i figli e che possono fermarsi qui per imparare bene la lingua», ci spiega la responsabile della scuola. «Ancora adesso c’è gente che dopo 7-8 mesi è isolata perché non sa l’italiano e non riesce a fare le cose più semplici».

I bambini più piccoli hanno quattro anni, quelli più grandi 12. La maggior parte di loro sono arrivati negli ultimi mesi, fuggiti dall’Ucraina in seguito al conflitto; i restanti sono bilingue perché figli di famiglie miste. All’Abetka studiano lingua, storia, grammatica, cultura ucraina, i più grandi anche letteratura. «L’obiettivo», spiega Chechotkina, «è quello di mantenere la cultura e la lingua. A Torino c’erano scuole russe, ma non ce n’è mai stata una ucraina. Avevo già in mente da qualche anno quest’idea, poi la guerra mi ha spinta a organizzarmi più velocemente».

Mantenere la lingua è fondamentale per loro, anche perché i bambini stanno continuando l’anno scolastico ucraino, oltre che quello italiano. «Hanno un piano didattico personalizzato con un po’ di ore online con la scuola in Ucraina, a cui affiancano le ore in presenza in Italia perché l’obbligo scolastico qui è stabilito dalla legge», spiega la responsabile. Il governo ucraino ha infatti mantenuto la scuola il più possibile attiva, riattivando la Dad. È stata una scelta importante, volta a incrementare la coesione sociale, a unire i bambini sparsi nei Paesi europei e a non far perdere loro l’anno.

Il sabato rappresenta per gli studenti della scuola Abetka un momento di apprendimento, ma anche di svago e di unione. «È un motivo di aggregazione per gli ucraini. Prima la nostra comunità non esisteva, eravamo sparpagliati», dice.

La mattinata inizia con l’inno dell’Ucraina e poi ogni classe ha le sue lezioni. Alle 11 il corridoio si popola di bambini che corrono e fanno merenda, poi di nuovo tutti in aula e si ricomincia. Si fanno anche altre attività, oltre alla tradizionale lezione frontale.

È un motivo di aggregazione per gli ucraini. Prima la nostra comunità non esisteva, eravamo sparpagliati.

Alla Chechotkina, responsabile della scuola Abetka di Torino

La scuola Abetka è un caso unico nel suo genere nella zona di Torino. Il progetto però, senza l’aiuto dei salesiani e quello dei volontari, non sarebbe possibile perché avrebbe costi insostenibili tra l’affitto delle aule, il riscaldamento, la luce e gli insegnanti di lingua. Gli insegnanti per ora sono tutti volontari perché la scuola non ha entrate, molti di loro sono profughi. C’è anche una psicologa, fuggita dall’Ucraina prima nel 2014 e poi nel 2022, che si occupa di gruppi di incontro per chi è in Italia, in particolare per le donne – perché molte sono sole in quanto i mariti sono rimasti in Ucraina – e poi per i bambini perché non sempre l’ingresso a scuola è semplice.

Quello di Torino non è l’unico esempio di associazionismo virtuoso in Italia. A Milano, in Via Monte Baldo, è stata fondata a ottobre del 2019 la scuola ucraina Solomiya Krushelnytska dall’associazione culturale Rinascita dell’Ucraina. La scuola era organizzata per fare lezione tutti i sabati a 20 bambini nati da matrimonio misto e 20 genitori. «Studiavano lingua e cultura, tradizioni, storia dell’Ucraina, ma dopo il 24 febbraio 2022 il ruolo della scuola è cambiato», spiega Mariya Zabiyaka, presidente dell’Associazione culturale Rinascita dell’Ucraina e direttrice della scuola.

Studiano italiano, ma in particolare si dedicano alla lingua, letteratura e storia ucraina per non rimanere indietro e per non perdere le proprie radici culturali.

Mariya Zabiyaka, direttrice della scuola ucraina Solomiya Krushelnytska di Milano

«La nostra scuola è cresciuta, siamo arrivati a 175 bambini rifugiati tra i 3 e i 17 anni», continua. I bambini che frequentano la scuola, come quelli di Torino, hanno mantenuto la didattica a distanza con il Paese di origine; dal lunedì al venerdì vanno a scuola in Italia e, il sabato, seguono le lezioni degli insegnanti volontari della scuola della signora Zabiyaka. A Milano studiano italiano, ma in particolare si dedicano alla lingua, letteratura e storia ucraina per non rimanere indietro e «per non perdere le proprie radici culturali».

Circa la situazione di inserimento nelle scuole «ci sono stati molti problemi», spiega Alla Chechotkina, «perché si è sentita la mancanza dei mediatori interculturali di lingua ucraina. Qualche scuola ha gestito la questione molto bene, altre meno. Il fatto è che i bambini non capiscono niente di italiano, stare seduti a scuola ad ascoltare senza la possibilità di capire non serve a nulla, serve un corso intensivo di italiano o la grammatica non si apprende». Ci sono esempi positivi come quello del Valsalice che ha assunto appositamente insegnanti, ma altre scuole non l’hanno fatto.

La foto in apertura è di Anna Spena.


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