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Famiglia & Minori

La rabbia dei figli. Come aiutarli a trasformare i sassi in parole

Dietro alcuni comportamenti difficili dei nostri figli c'è un cuore pieno di sassi: emozioni non elaborate che il bambino non sa come affrontare. Come aiutarli? «Per coloro che non controllano la rabbia occorre comprendere che abbiamo diritto alla rabbia, ma mai alla violenza. La metafora regolativa in questo caso è la "mano sul cuore"»

di Sabina Pignataro

«Esistono bambini vulcano, che non sanno dare un nome a ciò che provano e il loro cuore si riempie di sassi. Appesantiti da questi sassi, reagiscono scagliandoli con violenza contro l’altro. Ma esistono anche bambini inibiti che, non sapendo come scagliarli all’esterno, finiscono per porre questi pesi, che gravano come macigni, sopra il loro stesso cuore. Entrambi sono vittime dell’analfabetismo. Solo un’educazione empatica insegnerà loro a trasformare i sassi in parole». Le parole sono di Stefano Rossi, psicopedagogista, autore del libro "Mio figlio è un casino" (Feltrinelli), ideatore del Metodo Rossi della Didattica cooperativa ® su cui ha formato oltre 600 scuole.

Rossi, nel suo libro usa un'espressione che mi ha colpito: «Dietro i comportamenti tempesta di figli e studenti c'è sempre un cuore che trema». Ce la spiega?
È il grande insegnamento che mi hanno regalato i miei amati ragazzi. Dietro questi comportamenti c'è sempre un "cuore pieno di sassi": emozioni non elaborate che il bambino non sa come affrontare. Il nostro compito è agire come un porto sicuro che li aiuti a "trasformare i sassi in parole". Freud invece ci ha insegnato che le emozioni represse (e in questo caso soppresse) proliferano nel buio. Al contrario, se so dare un nome alle mie emozioni non le agirò in comportamenti auto o etero-distruttivi.

A proposito: è giusto distinguere le emozioni in positive o negative? Quale consiglio possiamo dare a genitori e insegnanti?
Ancora una volta troppa manualistica riduce le emozioni difficili a "errori di funzionamento".
Io credo che rabbia, paura e tristezza siano maestri interiori, dei postini amici, che recapitano al timoniere consigli preziosi per la navigazione. La tristezza ci ri-cuorda quanto teniamo ad un "oggetto d'amore". La paura ci allerta di fare attenzione. La rabbia, la più fraintesa delle emozioni, è un fuoco che si accende per darci il coraggio per difendere i nostri diritti.

Qual è il rapporto tra emozioni e comportamenti difficili?
Le cose si complicano quando c'è una disregolazione emotiva: quando il bambino, invece di riconoscere il messaggio costruttivo dell'emozione, ne perde il controllo. In questi casi la rabbia diventa violenza (un comportamento mai accettabile), la paura diventa panico, mentre la tristezza diventa disperazione.

E' quello cha accade per esempio in molti episodi di bullismo. Tema recentemente rilanciato anche dal Ministro dell'Istruzione.
L'emozione che più di tutte è legata al bullismo è la rabbia: la rabbia non regolata del bullo, la rabbia inibita della vittima. Nel metodo descritto nel libro propongo a genitori e insegnanti per ciascuna emozione difficile delle metafore per l'educazione emotiva.

Come?
Per coloro che non controllano la rabbia occorre comprendere che abbiamo diritto alla rabbia, ma mai alla violenza, in nessuna delle sue forme. Per chi invece rimane passivo e muto di fronte alle ingiustizie, potete usare una frase molto potente: “Non dire mai un sì a qualcuno se questo rappresenta un no a te stesso. Hai il diritto di opporti alle ingiustizie”. Per esempio quando perdiamo il controllo della rabbia iniziamo a puntare un dito minaccioso e incendiario verso l'altro: "Tu mi hai fatto…! Tu non dovevi fare…! Tu avresti dovuto fare…."!

Per coloro che non controllano la rabbia occorre comprendere che abbiamo diritto alla rabbia, ma mai alla violenza, in nessuna delle sue forme. Per chi invece rimane passivo e muto di fronte alle ingiustizie, potete usare una frase molto potente: “Non dire mai un sì a qualcuno se questo rappresenta un no a te stesso. Hai il diritto di opporti alle ingiustizie”.

Stefano Rossi

Perché non va bene?
Il dito puntato accende l'amigdala dell'altro, il rilevatore delle minacce che spesso taglia fuori il Timoniere dal controllo del veliero attivando lo Scafo di Sopravvivenza; ecco che il bullo attacca (ha un'amigdala iper-reattiva spesso per situazioni di fragilità familiare) la vittima si paralizza. La metafora regolativa in questo caso è la "mano sul cuore".

Cosa intende?
La comunicazione mano sul cuore è sia profonda, perché ci permette dar voce alla profondità del nostro sentire, sia liberatoria, in senso costruttivo. I vulcanici trasformeranno la violenza dei sassi nella gentilezza di parole più profonde. I congelati troveranno in questa via gentile il coraggio di dire ciò che altrimenti avrebbero taciuto.

Potrebbe fare un esempio?
Quando ci accorgiamo che stiamo per esplodere, ma anche dopo aver perso il controllo, possiamo riprenderlo imparando a mettere una mano sul cuore. Invece di dire "Tu mi hai fatto…" proviamo a dire: "Mi spiace essermi così arrabbiato, ma mi sono sentito triste, dispiaciuto, ferito, amareggiato…". La mano sul cuore aiuta il bullo ad apprendere la comunicazione non violenta, ma aiuta anche vittima a dire ciò che non riesce a dire usando il fuoco della rabbia giusta per non accettare l'inaccettabile. Non si tratta di una tecnica immediata ma di un percorso che però può orientarci nell'educazione di figli e studenti.

Qualcosa che dobbiamo imparare anche noi adulti…
Anche noi adulti dobbiamo imparare la comunicazione mano sul cuore. Anche noi, quando ci accorgiamo che stiamo puntando il dito, possiamo imparare a trasformare i sassi in parole. Le metafore della regolazione emotiva che propongono nel libro sono utili anche per noi adulti. Anche noi dobbiamo imparare a trasformare i nostri sassi in parole. È il bello educazione emotiva. Diventare un porto sicuro per le emozioni dei figli, imparando al contempo, ad essere anche un porto sicuro per le nostre emozioni…

Anche noi adulti dobbiamo imparare la comunicazione mano sul cuore. Anche noi, quando ci accorgiamo che stiamo puntando il dito, possiamo imparare a trasformare i sassi in parole.

Stefano Rossi

Nel suo libro scrive che bambini e ragazzi "non sono il cane di Pavlov" e meritano un educazione che sia più dei moderni revival del bastone e della carota proposti da molti specialisti. Cosa intende?
Se prendiamo in mano molta della manualistica rivolta a genitori e insegnanti troveremo un oceano di proposte di stampo comportamentale che riducono il bambino e l'adolescente ad un "comportamento-problema" da modificare. Io invece credo che dovremmo concentrarci maggiormente sul funzionamento del cervello emotivo di grandi e piccini.

Perché?
Capire come funziona il cervello ci consente di comprendere davvero cosa avviene nella mente del bambino e, sfruttando queste situazioni tempesta in preziose occasioni di crescita: per loro ma anche per noi. Nel nostro cervello-veliero ci sono tre componenti: il Piccolo Timoniere, il cervello che pensa il cui compito è governare le emozioni, le Grandi Vele legate ai circuiti emotivi e lo Scafo di sopravvivenza che ci porta reagire attaccando, paralizzandoci o fuggendo. Durante i comportamenti tempesta il Piccolo Timoniere perde il controllo delle Grandi Vele. Il nostro compito è aiutarlo a riprendere al governare del veliero.


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