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Education & Scuola

Smartphone in classe: perché la tecnologia non va abbandonata

Donatella Solda e Damien Lanfrey, di Future Education Modena (FEM), proseguono il dibattito nato su Vita intorno all'uso dei dispositivi elettronici in classe. Secondo gli esperti, la soluzione è da trovarsi attraverso l’educazione: vincere la lotta (che alle volte sembra impari) con le notifiche significa imparare a gestirle, spegnerle e imparare a collocare e governare le tecnologie - tutte - nella propria vita. La scuola e il Ministero non si possono sottrarre a questo obiettivo

di Donatella Solda e Damien Lanfrey

È capitato a tutti di parlare a qualcuno e, mentre si raggiunge il momento chiave della conversazione, essere interrotti dalla notifica di una qualche app sociale che arriva sul proprio smartphone o su quello del nostro interlocutore. Una mail che si aspettava, un apprezzamento per un’immagine condivisa, un reminder su un’offerta che sta per scadere.

L’attenzione, si sa, è la risorsa più preziosa che l’apprendimento possa desiderare. Sappiamo poi che – per quanto noi tutti ambiamo a mostrare dei super poteri – il multitasking non esiste: non è cioè possibile processare più attività contemporaneamente, ma semplicemente il nostro cervello passa da una all’altra più o meno velocemente, ogni tanto facendo dei piccoli errori (switching costs). “Una cosa per volta” quindi è un principio che le neuroscienze ci confermano valere anche (e soprattutto) per i nostri processi cognitivi.

È giusto quindi eliminare dalle classi l’oggetto che più di tutti ha recentemente cambiato la nostra socialità, che annulla spazio e tempo, avvicinando persone fisicamente altrove e creando un flusso costante di interazioni?

La circolare del Ministro Valditara si innesta in un dibattito molto vivace sull’uso misto dei dispositivi personali a scuola. La differenza risiede nel cambio di frame: la diatriba non riguarda più il contrasto tra “didattica innovativa” e didattica tradizionale”, bensì il rapporto tra tecnologie, benessere e società.

La circolare del Ministro Valditara si innesta in un dibattito molto vivace sull’uso misto dei dispositivi personali a scuola. La differenza risiede nel cambio di frame: la diatriba non riguarda più il contrasto tra “didattica innovativa” e didattica tradizionale”, bensì il rapporto tra tecnologie, benessere e società.

Donatella Solda e Damien Lanfrey

Si tratta di un angolo indubbiamente attuale, e di cui tenere conto. Esiste peraltro un recente movimento tra i più giovani che abbandonano gli strumenti digitali più sofisticati, iperconnessi e tecnologicamente potenti, per ritornare a dispositivi con poche funzioni di comunicazione – i cd. flip phones: esausti dal ricercare conferme online inseguendo i like su un post, una nuova ondata si sottrae dalla tecnologia, depotenziandola.

Come commentare quindi il recente documento ministeriale?

Educare, proibire, sottrarre: la sindrome della dieta con il frigo vuoto.

Durante un recente evento del Festival Learning More si è sviluppata una discussione a partire dalla decisione di un Liceo di Bologna di sottrarre gli smartphone all’ingresso a scuola e restituirli solo se necessari per specifiche attività didattiche.

L’obiettivo dichiarato dalla scuola era di ripristinare le occasioni sociali in presenza, soprattutto durante l’intervallo, e gli studenti che avevano inizialmente subito la decisione degli organi collegiali, avevano dichiarato di aver progressivamente imparato ad apprezzare il tempo “guadagnato”, in una sorta di riappropriazione delle proprie interazioni.

Altri docenti e dirigenti avevano però sollevato un punto, sul ruolo della scuola: si chiedevano cioè se non sia proprio il ruolo della didattica e della comunità educante, quello di educare all’uso, diventare padroni delle proprie azioni e non ignorare un fattore sociale esistente – quello delle sollecitazioni digitali – per imparare a governarlo.

Difatti, si diceva, chiudere lo smartphone all’inizio della giornata è come mettersi a dieta svuotando completamente il frigorifero: cosa succede quando poi si ritorna alla “normalità”? Si sarà capaci di dominarsi o si riprenderanno subito le vecchie abitudini di farsi attirare dalla disponibilità (della dispensa, della tecnologia)?

Il bilanciamento quindi è da trovarsi, inevitabilmente, attraverso l’educazione: vincere la lotta (che alle volte sembra impari) con le notifiche significa imparare a gestirle, spegnerle e imparare a collocare e governare le tecnologie – tutte – nella propria vita. La scuola e il Ministero non si possono sottrarre a questo obiettivo.

Il bilanciamento quindi è da trovarsi, inevitabilmente, attraverso l’educazione: vincere la lotta (che alle volte sembra impari) con le notifiche significa imparare a gestirle, spegnerle e imparare a collocare e governare le tecnologie – tutte – nella propria vita. La scuola e il Ministero non si possono sottrarre a questo obiettivo.

Donatella Solda e Damien Lanfrey

L’uso intenzionale della tecnologia nella didattica non può essere abbandonato

C’è poi un altro aspetto che suscita di perplessità su comunicazioni che tagliano fuori la tecnologia dall’aula.

La perplessità è che sia una comunicazione, del tutto ragionevole, ma utilizzata in spirito di conservazione della “tradizione”, con metodologie che non riescono a far uso delle tante opportunità che il digitale spesso offre alla didattica.

La principale critica alla circolare ministeriale, quindi, poggia sull’indissolubile legame tra varietà metodologica e motivazione degli studenti.
La prassi, già visibile in sempre più scuole in Italia, dimostra che docenti e scuole in grado di integrare le tecnologie efficacemente al servizio di metodologie studente-centrici alimentano motivazione e apprendimento significativo.

Si sa, la transizione digitale nell’educazione è faticosa – perché la tecnologia costituisce una barriera all’ingresso, e perché i benefici non sono spesso colti. La cultura di un uso ricco, sofisticato e allo stesso tempo bilanciato delle tecnologie richiede molto lavoro, nello stesso modo in cui lo richiederebbe in ogni organizzazione.

Nel 2018 un gruppo di lavoro di autorevoli esperti al MIUR, all’interno del PNSD, aveva prodotto un lungo documento, poi consolidato in un decalogo su come integrare in modo appropriato le tecnologie nella didattica, e per quale scopo: un lavoro che aveva trovato una soluzione complessa, non binaria, per affrontare in modo propositivo la questione della collocazione di tecnologie personali in un contesto didattico.

Un “lavoro culturale” che evidente non è visibile nella circolare inviata dal Ministro Valditara, e che è solo brevemente accennato nei riferimenti all’uso didattico e inclusivo, particolarmente sottostimati rispetto ai riferimenti circa le ragioni per il “divieto”.

Dal saper utilizzare al saper governare

Il discorso non si ferma alla didattica. Utilizzare significa imparare, e la società contemporanea (presente e non futura) ha bisogno di competenze solide e profonde.Ogni alveo dell’agire umano utilizza tecnologie più o meno sofisticate in modo talmente profondo da poter facilmente definire ogni settore – pubblico e privato – come intrinsecamente digitale. Questo senza considerare i bisogni di literacy digitale avanzata, talmente profondi da parlare di un mismatch emergenziale.

In FEM, primo centro italiano dedicato alla ricerca e sviluppo su Edtech, ossia all’incrocio tra apprendimento e tecnologie, questo è un tema centrale.La disponibilità e presenza della tecnologia stessa nel contesto educativo rimane quindi un fondamento: FEM lo affronta strutturalmente, attraverso un Manifesto valoriale sull’uso ricco, intenzionale ma anche bilanciato delle tecnologie che applica ad ogni sua attività.

Ci occupiamo dell’impatto del digitale sulle relazioni familiari (Family lab), delle competenze per agire in modo pieno ed efficace online per una piena educazione civica digitale (Media and information literacy) e delle competenze digitali avanzate (Curricoli per l’innovazione), attraverso percorsi che hanno lo scopo di avvicinare docenti e studenti alla vera ricchezza del digitale, quella che non crea distrazioni ma solo valore per la società.

In conclusione, tre consigli

La scuola è un cruciale terreno di gioco, un banco di prova fondamentale di questioni sociali spesso più ampie. Le esternalità “negative” della tecnologia non riguardano solo la scuola, ma la società tutta (per certi versi, la popolazione adulta appare molto più in difficoltà) e spesso non sono la causa dei problemi che la Commissione d’inchiesta richiamata dal Ministro Valditara ha espresso. Le radici dell’obesità, della dispersione e non sono certo da ritrovarsi nelle tecnologie, ma in precise dimensioni socio-economiche.

Ribadire la necessità di evitare distrazioni (con la tecnologia, o guardando fuori dalla finestra) a lezione è lapalissiano: l’uso inappropriato dei dispositivi in classe è sempre da evitare, ma la soluzione strutturale risiede nella qualità della didattica e nel “lavoro culturale”, già abbondamente avviato dalle scuole, per una didattica moderna, efficace, motivante.

Ribadire la necessità di evitare distrazioni (con la tecnologia, o guardando fuori dalla finestra) a lezione è lapalissiano: l’uso inappropriato dei dispositivi in classe è sempre da evitare, ma la soluzione strutturale risiede nella qualità della didattica e nel “lavoro culturale”, già abbondamente avviato dalle scuole, per una didattica moderna, efficace, motivante.

Donatella Solda e Damien Lanfrey

Il futuro passa dalla capacità umana di governare le tecnologie. allenando competenze avanzate, esercitando spirito critico e quindi “competenze di pensiero elevato”. Questo significa anche saper comprendere quando utilizzarle e quando marginalizzarle, in un continuum tutt’altro che binario. Vale per tutti, non solo per la scuola.

*Donatella Solda e Damien Lanfrey sono i cofondatori di FEM, il primo centro EdTech d'Italia, che forma i docenti alla linguistica computazionale, data science, digital visual arts…


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