Education & Scuola

Reddito di cittadinanza e obbligo scolastico: punizione o opportunità?

Dal 1° gennaio i giovani tra i 18 e i 29 anni che non hanno assolto l'obbligo scolastico dovranno iscriversi a scuola per poter ricevere il reddito di cittadinanza. Un tema giusto, dicono gli esperti Chiara Saraceno e Andrea Morniroli, «a patto che la logica non sia punitiva». Per esempio, questi giovani dovranno potersi iscrivere ai corsi già a gennaio, senza attendere il prossimo anno scolastico: cosa che oggi non si può fare

di Sara De Carli

«Questi ragazzi preferiscono percepire il reddito anziché studiare e formarsi per costruire un proprio dignitoso progetto di vita», aveva detto senza mezzi termini a novembre il ministro Giuseppe Valditara nell’annunciare l’intenzione di togliere il reddito di cittadinanza a chi non ha assolto l’obbligo scolastico. Anche in questo caso il realismo che l’essere al governo impone ha portato a una riformulazione, quantomeno linguistica: «Non è mai troppo tardi per istruirsi, figuriamoci a 20 anni. Basta con i “Neet”, sì all’obbligo scolastico», dice ora l’onorevole Rossano Sasso, primo firmatario dell’emendamento alla legge di Bilancio, approvato.

Fatto sta che – l’approvazione definitiva della Legge di Bilancio come sappiamo ancora non c’è, ma la strada è segnata – dal 1 gennaio 2023 i percettori di reddito di cittadinanza di età compresa tra i 18 e i 29 anni che non hanno assolto all’obbligo scolastico, per percepire il reddito dovranno iscriversi a un centro di istruzione per gli adulti. «Oggi in Italia sono circa 140mila i giovani sotto i 30 anni che percepiscono il reddito di cittadinanza e che hanno solo la licenza di scuola elementare (o nemmeno questa) o la licenza di scuola media», torna a ribadire il ministro Valditara, che al suo arrivo in viale Trastevere aveva fatto estrarre i dati: su 364.101 percettori di reddito di cittadinanza tra i 18 e i 29 anni, 11.290 possiedono soltanto la licenza elementare o addirittura nessun titolo e altri 128.710 soltanto il titolo di licenza media. «Come ho chiarito nelle scorse settimane», prosegue il ministro, «questa proposta è ispirata ad alcuni principi che ritengo imprescindibili per la formazione dei nostri giovani. Prima di ricorrere a una misura meramente assistenziale è necessario restituire a questi ragazzi il diritto allo studio che per i motivi più diversi è stato loro negato. Da ministro ho l’obiettivo di far sì che tutti i ragazzi possano affrontare il mondo con entusiasmo e preparazione, costruendo un valido progetto di vita».

«In sé è una buona cosa», commenta la professoressa Chiara Saraceno, già presidente del Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza nel Governo Draghi. «È l’unico aspetto semi-positivo in queste modifiche al reddito di cittadinanza, il mettere a fuoco che ci sono in Italia moltissimi giovani che devono avere almeno la scolarità di base…». Determinante è come si approccia l’argomento: «Se diciamo “togliamo il reddito ai giovani che non hanno assolto l’obbligo scolastico” è evidente che l’approccio è punitivo e va a colpire proprio i giovani più fragili. Va rovesciato. L’approccio deve essere quello per cui lo Stato si mette nell’ottica di dare a questi ragazzi, prioritariamente, l’opportunità di completare la loro formazione, dicendo che non possono rifiutarsi di formarsi. Ne avevamo già discusso anche con il governo precedente, perché molti giovani non hanno la scolarità di base e bisogna dargliela, non solo ventenni ma anche ai più grandi. Il tema c’è. Ma ovviamente devo metterli nelle condizioni di poterlo fare. La questione da risolvere infatti è che i CPIA hanno delle finestre di iscrizione, come le scuole, con i corsi che partono a settembre: la domanda per il reddito di cittadinanza può essere presentata in qualsiasi momento dell’anno. Se si ha questa idea, bisogna anche pensare a realizzare in ogni città almeno un corso per adulti a scorrimento, perché è impensabile lasciare i ragazzi fermi per mesi, senza reddito e senza la possibilità di iscriversi al corso necessario per potervi accedere. L’importante non pensare di risolvere il problema con un po’ di scuoletta…».

Qualche dubbio in più lo nutre Andrea Morniroli, membro del coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità. «Di per sé l'intento è giusto anche se piuttosto che la strada dell’accompagnamento e della condivisione si sceglie quella dell’approccio punitivo… Prevale la logica dei "poveri colpevoli", peraltro in un quadro che va verso lo smantellamento della misura», dice. «Di per sé chi non pensa che la povertà educativa e quella materiale siano connesse? Ma sappiamo che una misura anche giusta, quando è imposta con una logica ricattatoria ha poca efficacia: uno si iscrive perché dovrà iscriversi, per non perdere il reddito, ma con quale consapevolezza? Con quale motivazione? È come per il tema della dispersione scolastica e degli abbandoni, bisogna lavorare anche su altro. Posto che se ai CPIA ci si potrà iscrivere solo da maggio, come è oggi, i giovani resteranno almeno quattro mesi senza reddito». Soprattutto però per Morniroli «urla vendetta» l’eliminazione dell’aggettivo “congruo” dall’offerta di lavoro: «Schiaccia le persone ad accettare un lavoro a qualsiasi condizione. Sommato alla reintroduzione dei voucher, si crea un serbatoio di manodopera povera e sfruttabile».

Foto Unsplash


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