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L’ascensore sociale è bloccato, cresce la sfiducia degli italiani

Dal Report FragilItalia, elaborato dall’Area studi Legacoop e Ipsos, emergono il malcontento e il pessimismo della maggior parte degli italiani. Le cause? Stipendi bassi, precarizzazione del lavoro, tassazione eccessiva, corruzione, incapacità dei partiti di difendere le persone economicamente più fragili, aumento dei divari negli stipendi tra manager e lavoratori

di Redazione

Sei italiani su dieci ritengono che il nostro sia un Paese segnato da fratture sociali rilevanti, a cominciare da quelle tra ricchi e poveri e tra onesti e furbetti. Il 66% ritiene di essere posizionato nella parte inferiore della piramide sociale, mentre 4 italiani su 10 ritengono che i propri figli possano aspirare ad una posizione sociale migliore. È la fotografia della condizione sociale in Italia tracciata nel Report FragilItaliaL’ascensore sociale bloccato”, elaborato dall’Area studi Legacoop e Ipsos in base ai risultati di un sondaggio condotto su un campione rappresentativo della popolazione, per testarne le opinioni relative al tema.

Tra le fratture sociali più forti compaiono anche quelle tra italiani e immigrati e tra lavoro stabile e lavoro flessibile (46%). Quanto alla collocazione nella “piramide sociale” del Paese in base al reddito e alle condizioni di vita, il 27% ritiene di appartenere al ceto medio e solo il 6% alla upper class; di contro, ben il 66% degli interpellati ritiene di appartenere alla parte inferiore della scala sociale. In particolare, il 39% al ceto medio “in declino” (inteso come persone la cui posizione sociale è in discesa, titolari di un reddito che non permette lussi); il 15% al ceto fragile (chi arriva a fine mese con difficoltà) e l’11% alla lower class (chi ha meno del necessario o si sente povero). Un quadro di polarizzazione sociale, insomma, confermato anche dalle relative dinamiche avvertite dalla popolazione negli ultimi anni. Solo il 5% degli intervistati ritiene che la propria posizione sia migliorata e per il 31% è rimasta uguale ad un livello medio o alto; per il 38% è rimasta uguale ad un livello basso o popolare; è invece peggiorata per il restante 26% (per il 19% peggiorata, per il 7% molto peggiorata).

Una tendenza che si proietta anche nel prossimo futuro e condiziona le aspettative di una posizione sociale migliore per i figli, con differenze in relazione al ceto di appartenenza. Tra gli appartenenti al ceto medio, il 35% pensa che i figli potranno migliorare la posizione rispetto alla famiglia di provenienza; il 53% che la manterranno invariata; il 12% che scenderanno più in basso nella scala sociale. Nel ceto popolare, il 37% esprime aspettative di miglioramento per i figli e il 40% pensa che potranno mantenere la stessa posizione. Ma il 23% (quasi il doppio rispetto agli appartenenti al ceto medio) ritiene che la peggioreranno rispetto alla famiglia di provenienza.

«Il Paese è fermo se l’ascensore sociale è bloccato», commenta Mauro Lusetti, presidente di Legacoop. «Stiamo verificando sistematicamente come gli avvenimenti drammatici avvenuti negli ultimi anni, e in particolare la pandemia, non solo hanno lasciato strascichi importanti, ma hanno accelerato processi già in corso che stanno modificando le strutture portanti in Italia. L’aumento dei costi e dei prezzi ha imposto un eccezionale stress test al nostro sistema, evidenziando tutte le disfunzioni che lo attraversano. Le politiche di emergenza che abbiamo più volte richiesto, e che seppur in dosi omeopatiche il governo sta tentando di realizzare pur in questa fase estremamente difficile e controversa, vanno in questa direzione. Ma non bastano: come il ceto medio che si percepisce in declino, il Paese è spaventato. E la fiducia nel futuro è il nostro primo e unico ingrediente per lo sviluppo».

Ma quali sono i motivi avvertiti alla base del peggioramento delle condizioni sociali e di vita delle persone? Ai primi due posti figurano gli stipendi bassi (indicati dal 55%, e 59% nel ceto medio-basso) e la precarizzazione del lavoro (49%), seguiti dalle tasse eccessive (42%) e dalla corruzione (42%). Al quinto e al sesto posto, a pari merito (con il 27%) l’incapacità dei partiti di difendere le persone economicamente più fragili e l’aumento dei divari negli stipendi tra manager e lavoratori.

A completare la rilevazione, è stato chiesto quali sono gli elementi che possono consentire il riscatto sociale e quali, al contrario quelli che lo affossano. Riguardo ai primi, il 48% ha indicato la capacità di fare sacrifici; il 45% la capacità di risparmiare; il 37% il lavorare tanto; il 34% l’aver studiato; il 33% il sostegno della famiglia di origine. Rispetto ai secondi, al primo posto le tasse (42%), seguite dalla furbizia e disonestà degli altri (35%), la precarietà e la paura di rischiare (entrambe al 26%), la sfortuna (il 20%) e l’accontentarsi del poco che basta (19%).


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