Cooperazione & Relazioni internazionali

Il divieto per le donne di lavorare con le ong mette a rischio la sicurezza dell’Afghanistan

Il divieto per le donne di lavorare con le ong mette ancora di più a rischio la sicurezza e il futuro delle persone del Paese. WeWorld ha deciso di sospendere temporaneamente le sue attività, a eccezione di quelle considerate lifesaving. «La decisione è difficile, ma non c’è purtroppo altra strada», dichiara Dina Taddia, direttrice dell'organizzazione

di Redazione

Il divieto per le donne di lavorare con le ong mette ancora di più a rischio la sicurezza e il futuro delle persone in Afghanistan, a partire proprio da donne e bambine, le più esposte a malnutrizione, povertà e mancanza di diritti umani. WeWorld ha deciso di sospendere temporaneamente le sue attività nel paese, a eccezione di quelle considerate lifesaving, per non mettere ulteriormente in pericolo famiglie e comunità vulnerabili nell’area. «La decisione è difficile, ma non c’è purtroppo altra strada», dichiara Dina Taddia, direttrice di WeWorld. «Fino a quando i Talebani non revocheranno la messa al bando delle donne dalle ong siamo costrette nostro malgrado a sospendere le attività».

Le donne sono un elemento cruciale nelle attività in Afghanistan, sono spesso le uniche che hanno la possibilità di accedere ad altre donne e di costruire relazioni che permettano interventi stabili che vadano oltre la prima emergenza. La gran parte delle ong internazionali e nazionali che operano nel paese sta progressivamente sospendendo le attività in linea con quanto fatto da WeWorld.

L’Afghanistan è oggi una delle più catastrofiche crisi umanitarie al mondo, con oltre 24 milioni di persone deprivate dei mezzi minimi di sussistenza, esposte alla fame e al freddo. WeWorld opera accanto alle più deboli di esse, le donne capofamiglia in area rurale, che, con le restrizioni di movimento e autonomia imposto dalle autorità de facto sono a rischio di sopravvivenza senza aiuti umanitari. Il divieto a oltre metà della popolazione afghana di contribuire all’assistenza e sviluppo in un paese sull’orlo del collasso con il 70% della popolazione la cui sopravvivenza dipende dagli aiuti umanitari in gran parte forniti dalle on, non è solo una violazione dei diritti delle donne ma una potenziale catastrofe.

«Vietare alle donne di continuare a collaborare con le ong», spiega l'organizzazione, «è una scelta che va a penalizzare l’intera popolazione afghana. Ci auguriamo che le autorità che governano il paese rivedano al più presto questa decisione»


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