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Impact investing: la finanza abbia il coraggio di scommettere sul Terzo settore

"È ancora possibile per la finanza a impatto trovare il senso e il successo delle proprie iniziative: per questo, va condivisa la necessità che gli operatori finanziari si seggano allo stesso tavolo degli attori sociali". L'intervento di Francesco Gentili dell'ufficio studi del Forum Terzo Settore dopo quelli di Luciano Balbo, Laura Orestano, Federico Mento, Francesco Bicciato, Anna Fasano, Filippo Montesi e Francesco Abbà:

di Francesco Gentili

In un'intervista rilasciata all'HuffPost Luciano Balbo, fondatore di Oltre Impact, considerato il padre dell'impact investing in Italia ha affermato di «essere stato un ingenuo a credere nella finanza etica (…) Oggi viene data una ancora maggiore priorità al ritorno finanziario rispetto ad ogni altro criterio di investimento. Il vero problema è la finanziarizzazione del mondo, l’assoluto predominio del capitale sul lavoro (…) C’è bisogno di una grande ridistribuzione della ricchezza. Attenzione, però: pensare di poterla ottenere tassandola è un’illusione! Il capitale troverà sempre modi di sfuggire. Il problema va risolto a monte. Aumentando i salari, ma soprattutto intervenendo sui meccanismi globali della finanziarizzazione che mette il valore delle aziende al di sopra di ogni altro interesse e che coinvolge gli stessi lavoratori nel meccanismo (…) Temo che l’unico modo per uscire da questa situazione sia una crisi sistemica e ancora più profonda; un trauma.​». Parole che hanno già suscitato la reazione di Laura Orestano, ceo di Social Fare ; Federico Mento, direttore di Askoka Italia; Francesco Bicciato, direttore generale del Forum per la Finanza Sostenibile ; Anna Fasano, presidente di Banca Etica; Filippo Montesi, segretario generale di Social Impact Agenda per l'Italia e Francesco Abbà, presidente di Cgm Finance.


Più che un’analisi dell’inefficacia degli strumenti di impact investing, la discussione lanciata da Luciano Balbo sembrerebbe piuttosto un grido d’allarme per l’insostenibilità del sistema economico e sociale a cui la “finanza a impatto” avrebbe voluto – ma non è riuscita a – porre rimedio. Solo uno shock può, secondo Balbo, stravolgere la deriva degli eventi e riportare economie, società e individui su un binario in grado di assicurare un futuro alle generazioni che verranno. È, allora, possibile suppore che tale “trauma” non si delinei con i contorni delle rivoluzioni classiche ma possa profilarsi come un lento e inesorabile processo di contaminazione, approfittando dell’attenzione che sempre più attori rivolgono al tema della sostenibilità. A tal proposito, è possibile presumere che tale contaminazione possa essere promossa da quei soggetti che per consuetudine, per statuto e, da qualche anno, per legge, si occupano stricto sensu dell’interesse generale, generatori autentici di impatto sociale. Si tratta delle 360 mila organizzazioni di Terzo settore che, impiegando quasi un milione di lavoratori per un valore complessivo pari a circa il 5% del Pil, oltre a erogare servizi e a produrre beni, svolgono il prezioso ruolo di collezione di bisogni e di aspirazioni delle comunità, sperimentando innovative pratiche di partecipazione e cittadinanza.

Lo shock di contaminazione, soprattutto in Italia, non può che partire da qua. Questa convinzione non muove solo dalla consapevolezza che gli Enti di Terzo Settore sono in grado di intestarsi la titolarità di una svolta sostenibile culturale e socio-economica ma anche dalla convinzione che investire nel Terzo settore significhi investire nell’infrastrutturazione sociale del Paese, nella sua stabilità, concimi imprescindibili per un terreno fertile in cui far germogliare imprese ed economie più stabili.

Quale, dunque, il ruolo della finanza a impatto? Per far sì che tale sviluppo si riveli solido, è necessario che la crescita degli ETS sia accompagnata anche da una strutturazione economica e finanziaria. È qui che la finanza può davvero “cambiare il corso degli eventi” scommettendo sulle attività dei tanti che, fuor di retorica, antepongono equità e giustizia al profitto.

A chi ritiene che si tratti di una fetta irrisoria nello scenario socio-economico nazionale, è utile ricordare che si tratta di un settore in costante crescita, con un valore economico annuo di 80 miliardi di Euro (il doppio rispetto all’intero comparto agricolo nazionale!). C’è però bisogno di una profonda innovazione culturale del Terzo settore, che sappia valorizzarne il suo ruolo politico e che sia capace di promuovere intraprendenza, propensione al rischio e all’economicità, favorendo la scalabilità delle iniziative e delle buone pratiche. È quello che, in parte, il Forum del Terzo Settore e il Forum per la finanza sostenibile provano a realizzare con i Cantieri ViceVersa.Allora, sono due le osservazioni che è possibile porre all’attenzione degli operatori finanziari.

  • La prima non può che riguardare le modalità con cui la finanza (intesa nella sua globalità, ricordando, come fatto da Anna Fasano, che “impact investing e finanza etica sono due cose differenti, con alcuni elementi chiave in comune”) si è avvicinata negli anni all’universo del Terzo settore. Siamo sicuri che gli operatori finanziari non si siano inseriti prepotentemente in un “mercato” di cui conoscevano troppo poco, di cui si fidavano ancor meno, mutuando impropriamente strumenti tipici dell’universo for profit, accontentandosi di smussarne qualche angolo con una spruzzatina di “green” e “fair” qua e là? Le realtà del Terzo settore rispondono a logiche distinte da quelle dell’economia “tradizionale”, con un modello di produzione del valore proprio, da cui non è possibile prescindere. Il trattamento riservato alle società di capitali non può essere replicato anche a soggetti prettamente mission oriented che, per statuto, sono chiamati a prediligere il soddisfacimento degli stakeholder (dipendenti, volontari, clienti, ecc.) piuttosto che degli shareholder. Come può, a fronte di un impegno unanime di tutti gli operatori finanziari nazionali nei confronti del Terzo Settore, mancare ancora oggi un sistema di rating e valutazione condiviso dedicato alle organizzazioni non profit, in grado di certificare che a impatti sociali corrispondono anche solidità e affidabilità finanziaria? A questo va poi aggiunto che il Terzo settore è un soggetto “bancabilmente” assai affidabile, soprattutto sotto il profilo creditizio, con una percentuale di Npl ben inferiore rispetto a quella propria del comparto for profit. E, ancora, come poter richiedere garanzie classiche a soggetti storicamente non capitalizzati, spesso privi di personalità giuridica?
  • La seconda osservazione riguarda più nel dettaglio l’impact investing. È, infatti, paradossale che alla pur legittima critica alla scarsa propensione al rischio tipica degli Ets non sia corrisposto (quasi) mai il coraggio da parte degli investitori a impatto. Sia presa ad esempio la recente crisi pandemica: come varie ricerche hanno evidenziato, durante tale periodo è cresciuto il fabbisogno finanziario del settore non profit, in virtù della anticiclicità che caratterizza la richiesta di beni e servizi erogati dagli Ets, più attesi in situazioni di crisi socio-economica. Quanti sono stati i soggetti pronti a scommettere sulle realtà di Terzo settore, indefessamente impegnate nel contrasto alla pandemia? Quanti i progetti in cui sono stati investiti capitali di rischio? In tal senso, come evidenziato da Abbà, è giunto il momento per i capitali di rischio di sfruttare l’agilità che li contraddistingue per inserirsi con criterio in un mondo che li attende con ansia.

È ancora possibile per la finanza a impatto trovare il senso e il successo delle proprie iniziative: per questo, va condivisa la necessità che gli operatori finanziari si seggano allo stesso tavolo degli attori sociali, stabilendo insieme – e in maniera trasparente – che quello del Terzo settore, oltre a costituire l’universo insieme a cui immaginare un pianeta diverso, può rappresentare il terreno in cui seminare, avvalendosi del prezioso contributo dei tanti intermediari attivi, dando finalmente struttura e forza a chi, ogni giorno, oltre a produrre impatti sociali autentici, si dimostrerà capace di contaminare economie, società e decisori politici.


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