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D’Avenia, lezione sul dono

L’Epifania, festa dei doni, non è la fine delle feste ma il loro fine. Un bene può avere due valori: d’uso , soddisfa bisogni, o di scambio , procura altri beni. Se ho una mela posso mangiarla (uso) o darla per un’arancia (scambio). Il dono invece inventa un altro tipo di valore, detto di legame : un bene donato fonda relazioni o rafforza quelle esistenti (ti regalo la mela per creare un legame). Oggi su “Il Corriere della sera” un articolo dello scrittore intitolato “In pegno”. Da leggere, ne proponiamo qualche passaggio

di Alessandro D'Avenia

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L’Epifania, festa dei doni, non è la fine delle feste ma il loro fine. La radice antica della parola dono indicava infatti la creazione di una energia nuova attraverso un potere quasi magico (ne rimane traccia nel nostro «dote»). Perché? Leggendo l’Odissea si rimane colpiti dal fatto che, nel congedare chi ha ricevuto ospitalità durante un viaggio, gli si offre un dono. Questo garantiva una rete di alleanze a distanza, necessarie in un mondo in cui avere un posto dove riparare era questione di vita o di morte.

Ma perché proprio un dono? Un bene può avere due valori: d’uso , soddisfa bisogni, o di scambio , procura altri beni. Se ho una mela posso mangiarla (uso) o darla per un’arancia (scambio). Il dono invece inventa un altro tipo di valore, detto di legame : un bene donato fonda relazioni o rafforza quelle esistenti (ti regalo la mela per creare un legame). Da che cosa dipende? Gli antropologi hanno scoperto che è come se l’oggetto donato ricevesse un pezzo della nostra anima, che poi cercherà di tornare indietro, ma insieme a chi ha ricevuto il dono. Ma allora che differenza c’è tra un dono e uno scambio commerciale? Non si dice forse «scambiarsi» i doni? La differenza sta nel fatto che nel dono non c’è pretesa di contraccambio.

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Il dono apre la possibilità di un legame, in cui però l’impegno — vi risuona il nostro «dare in pegno» — a restituire è a scelta dell’altro.

Se il contraccambio è preteso il dono è falso, mira al controllo, mentre il dono autentico «vincola liberando» o «libera vincolando», come i «legami» buoni (il contrario delle «catene»). Il contraccambio è rimandato all’infinito e lo squilibrio creato non è di potere ma di amore, che non è mai essere «in pari» ma «in gioco». Donare è una formidabile risposta umana al nostro essere «a tempo», dà senso al tempo perché il senso del tempo sono le relazioni.

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Chi dona veramente cerca una relazione senza scadenza, chi invece lo fa per sentirsi «a posto» o per mettere «a posto» l’altro, non sta donando ma esercitando potere. Donare è il segreto di ogni relazione duratura, non essere «in pari» ci «lega», non per senso di colpa o sottomissione, ma per magnificare gratuitamente l’esistenza dell’altro che, se e quando vorrà, risponderà. Un dono autentico dice: «È bello che tu esista, non perdiamoci». Ricominciata la vita ordinaria possiamo coltivare il «potere legante» dei doni: chiederci se in ciò che facciamo c’è un po’ di dono e fare piccole sorprese alle persone amate o da amare meglio. Potremmo anche inaugurare un «salva-donaio» in cui ogni settimana mettere un foglietto con su scritto il dono più bello, alla fine dell’anno potremo così leggere una cinquantina di «presenti» (in italiano i regali sono la «presenza» del donatore, come l’appello a scuola) che ci hanno «legato» alla vita nel 2023, momenti di «grazia» (da gratis ) in cui un dono ci ha risvegliato dal sonno o dalla noia. La gratitudine è il sentimento (ri-)creativo più potente che io conosca.

Leggi su corriere.it, l'articolo integrale.


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