Sanità & Ricerca

Giovani operatori in Rsa, la bellezza di accudire vite al crepuscolo

Giulia sognava di diventare una manager, ma poi si è ritrovata a fare un tirocinio in una Rsa e si è innamorata: «Essere utile agli altri mi fa stare bene, così ho cambiato il mio sogno». Martina, 24 anni, parla di una “epifania" avvenuta durante il servizio civile. A dispetto di tante narrazioni, i giovani amano lavorare accanto agli anziani più fragili. Sul magazine in distribuzione il racconto della grande bellezza che hanno scoperto

di Sabina Pignataro

Un peso, dal punto di vista demografico, economico e sociale, una minaccia, dal punto di vista lavorativo. Così talvolta si parla degli anziani. E il lavoro con loro e per loro viene dipinto come se non fosse mai una scelta, ma un ripiego. Eppure, tra le maglie di questa narrazione così screditante, non ci si accorge c’è una marea di giovani che ogni giorno sceglie di lavorare con loro e si innamora di questa professione perché ritiene che la saggezza trovi ospitalità e rispecchiamento proprio in quelle plissettature sulla fronte, in quelle macchie sulle mani, in quelle pieghe delle espressioni. Giulia Nigi, ad esempio, da piccola credeva che sarebbe diventata una manager industriale, finchè un terribile incidente ha modificato la traiettoria della sua vita. «Durante il tirocinio nella RSA, insieme agli anziani più fragili, ho avuto la conferma che mi fa stare bene poter essere utile agli altri. Così ho cambiato il mio sogno».

Durante il tirocinio nella RSA, insieme agli anziani più fragili, ho avuto la conferma che mi fa stare bene poter essere utile agli altri. Così ho cambiato il mio sogno

Giulia Nigi

A questi ragazze e questi ragazzi abbiamo scelto di dare voce.

Martina Bevilacqua, 24 anni, Tecnico dell’Animazione Socio Educativa

Chiuso il diploma da grafica nel cassetto, è stato durante il servizio civile presso l’Ospedale di Pescia (Pistoia) che Martina ha capito di voler lavorare a contatto con gli anziani. «E’ stata una sorta di epifania», racconta. Confermata poi dopo durante il corso gratuito progettato da Dynamo Academy, Intesa Sanpaolo Vita, Fideuram Vita e Intesa Sanpaolo Life che le ha permesso di diventare un Tecnico dell’Animazione Socio Educativa e di fare pratica in una RSA a Pescia, l’Istituto Don Bosco. Oggi Martina dice: «Penso che noi giovani abbiamo molto da imparare da loro, fonti inesauribili di vissuto e saggezza. Amo proprio quei minuti passati a dialogare con i diversi ospiti, facendo loro domande sul loro passato e vedere come, dopo poco, iniziano ad aprirsi. Ho capito anche che bisogna essere empatici, ma al tempo stesso non bisogna lasciarsi coinvolgere troppo».

Giorgia Magnoni, 25 anni, educatrice professionale

Dell’importanza di non farsi travolgere, per non perdersi nel groviglio della relazione, è convinta anche Giorgia, 25 anni e una laurea in Educazione professionale presso l’Università dell’Insubria. «Per lavorare con gli anziani – spiega- non basta essere brave persone, occorre maturare esperienza da trasformare poi in competenza: serve un’attenta osservazione, un ascolto attivo e un pizzico di sensibilità» Eppure questa professionalità matura lentamente. «Una volta laureata sentivo di vestire i panni di un’esploratrice che aveva preparato per bene il suo equipaggio senza però aver ancora ben chiara la meta da raggiungere». Oggi Giorgia lavora in una Residenza per persone con disabilità e in una RSA dove risiedono anziani con diverso grado di autosufficienza. «È difficile spiegare ai miei genitori o ai miei amici il lavoro che faccio. Non di rado ho avuto momenti di sconforto dovuti al mancato riconoscimento del valore della professione».

Chiara Di Cristinzi, 30 anni, educatrice in una RSA di Fondazione Don Gnocchi

Chiara ha iniziato a lavorare con gli anziani per caso. «Una mia amica mi ha detto: abbiamo bisogno qui a Milano, vieni?». E così ha lasciato Isernia, la sua città, e si è trasferita al nord. «Ho studiato scienze dell’educazione e della formazione alla Sapienza di Roma e poi mi sono specializzata all’università Roma Tre in educatore professionale. I molti anni di studio, però, non mi hanno impedito di essere spaventata: inizialmente non avevo idea di come gestire emotivamente alcuni aspetti. E poi dagli educatori ci si aspetta che si prendano cura dei bambini o dei soggetti fragili ma nessuno si sofferma a pensare di quanto anche gli anziani abbiano bisogno di una carezza o di spensieratezza nei momenti in cui per i famigliari non è possibile». La gioia più grande di questo lavoro, racconta mentre dialoga con i pazienti di Alzheimer, «è vedere che nonostante la malattia, tu diventi un punto fermo, l’abbraccio sicuro per qualcuno». La parte più faticosa, al contrario, «è la responsabilità di sapere di essere una delle persone che riempiono le giornate nell’ultimo momento della vita di una persona».

La gioia più grande di questo lavoro è vedere che nonostante la malattia, tu diventi un punto fermo, l’abbraccio sicuro per qualcuno

Chiara Di Cristinzi

Vito Gagliardi, 26 anni, infermiere in una RSA di Bari

Vito, invece, ha sempre voluto fare questo lavoro. «Ricordo che nei primi giorni da tirocinante al Policlinico di Bari la mia tutor mi disse: “Sii un girasole accanto ai salici piangenti”». Questa esortazione, che dà il titolo ad un libro di Arnaldo Pangrazzi, ancora adesso, gli risuona nella testa e nel cuore. «Ho giurato di mettere la mia vita al servizio della persona e di rispettare la vita umana dal principio sino alla morte. Ho pronunciato queste parole non a cuor leggero ma con coraggio e sentendone tutta la potenza e la responsabilità». Da gennaio 2020 Vito lavora presso la RSSA “Mamma Rosa” a Turi (BA). «Per un ragazzo giovane, non è semplice condividere la scelta di lavorare in RSSA perché molte sono le critiche che vengono sollevate (soprattutto dai coetanei) e con cui quotidianamente mi scontro: la poca e limitata crescita professionale, la monotonia, lo stipendio». Eppure, dice, «essere infermiere mi ha insegnato ad accogliere il giorno nuovo come un dono; il cuore si riempie di amore, di sorrisi, di gratitudine, di carezze, di poche e semplici parole, di sguardi pieni di speranza che mi ricordano di essere stato un “girasole” per qualcuno».

Essere infermiere mi ha insegnato ad accogliere il giorno nuovo come un dono; il cuore si riempie di amore, di sorrisi, di gratitudine, di carezze, di poche e semplici parole, di sguardi pieni di speranza che mi ricordano di essere stato un “girasole” per qualcuno

Vito Gagliardi

Alice, 26 anni, operatrice socio sanitaria

«Per me lavorare con gli anziani significa entrare nelle stanze al mattino per dare un sorridente buongiorno; tirare le tende per far entrare il sole e abbassare lentamente le coperte sulle gambe calde di un anziano ancora assopito; riuscire a strappare un piccolo sorriso a labbra ormai scalfite dalla tristezza; far parlare un uomo la cui voce non si sentiva più da tempo; tingere le unghie o le labbra di rosso ad una donna che si sente morta dentro, facendole capire quanto sia bella ai nostri occhi». Queste parole bellissime sono di Alice, 26 anni, operatrice socio sanitaria presso l’RSA San Giuseppe opera Don Guanella di Castano Primo, in provincia di Varese. A questa professione c’è arrivata dopo aver lavorato come cuoca, cameriera, barista, commessa. «Nessuno di questi lavori mi aveva appagata tanto», dice. «Ahimè però, non è sempre rose fiori, ci si trova spesso a dover fare i conti con dei mostri invisibili quali la morte, la malattia, la sofferenza. Ma è proprio lì che ci si scopre ancora più capaci di dispensare amore: è un lavoro che va contro le leggi della matematica: più dai, più ricevi».

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