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Caro Sorrentino, l’entusiasmo immotivato in educazione ci vuole sempre

Dafne Guida, presidente della cooperativa sociale Stripes, commenta la clip virale di Paolo Sorrentino. «Chi lavora in educazione sa che un po’ di entusiasmo immotivato ci vuole sempre. Crederci ancora e sempre… è l’unica strada. In questo momento storico ricostruire entusiasmo è una sfida cruciale». E sui genitori che si fanno in quattro per tenere corsi a scuola: «Più facile mettersi a disposizione per fare palinsesti di attività, meno per analizzare insieme le dinamiche della classe»

di Sara De Carli

Il monologo di Paolo Sorrentino sembra la fiaba di Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore. Il “re nudo”, in questo caso, è la collaborazione scuola-famiglie. Sono i genitori che si fanno in quattro per partecipare – grande mantra, mai così vuoto – per “mettere a disposizione” tempo e competenze, per mostrare di “esserci” e di “tenerci” alla scuola, che alla fin fine forse però è più che altro un modo per provare a placare le nostre ansie e insicurezze e dimostrare a noi stessi di essere dei “bravi genitori”. Un peso che oggi ci portiamo tutti appresso questo, l’ansia di essere bravi genitori. La clip vede il regista premio Oscar interpretare se stesso con l’agente di Call My Agent – Italia, remake della serie francese Chiami il mio agente! Sorrentino sbertuccia questo atteggiamento che la nostra generazione per la prima volta porta in scena. Lo liquida come «entusiasmo immotivato», «il sentimento più orrendo dell’essere umano». «Ha cominciato un genitore che suonava la batteria e ha detto che poteva fare un corso pomeridiano per i bambini. C’è stata una ola dei genitori e a quel punto la moglie che insegna macarena ha proposto di fare un corso dicendo che è importantissimo e genera entusiasmo. Applausi, giubilo, un consenso generale dei genitori»… Poi Sorrentino dice l’indicibile: dice che i suoi figli, quando erano piccoli «andavano semplicemente a scuola e il pomeriggio giocavano per i fatti loro». E tutto sommato gli sembrano felici. «Hanno fatto scendere su di me un silenzio che si tributa solo agli ergastolani». A quel punto «io ho scritto una lettera a Dio. Gli ho scritto “Dio occupati tu dell’educazione, ma dei genitori”».

Dafne Guida è presidente e direttore generale della Cooperativa Sociale Stripes, un’impresa che da oltre trent’anni nel territorio a nord di Milano gestisce nidi e servizi di educativa domiciliare, scolastica e di strada.

Che ne pensa di questo monologo già diventato virale?

Ho già detto di inserirlo nella nostra formazione, per tante ragioni. Dalla frase sull’entusiasmo immotivato a quella in cui dice “Dio, occupati tu dell’educazione, ma dei genitori». Ha ragione, abbiamo esagerato con l’intendere il coinvolgimento dei genitori come la creazione di palinsesti di attività, enormi laboratori itineranti in cui i genitori mettono a disposizione i loro talenti. Sono quasi un modo per permettere ai genitori di esprimere i loro talenti e rassicurarli sul fatto che siano buoni genitori. I genitori invece vanno coinvolti nel processo culturale, nell’analisi di quel che accade in classe, delle dinamiche di esclusione che in classe i ragazzi vivono. È più difficile, perché c’è una mastodontica differenza tra agire e riflettere. Ci sono genitori che non vogliono che in classe si parli di educazione di genere o di bullismo e poi sono i primi a proporsi per tenere i corsi di batteria. Perché in questa classe stanno accadendo queste cose, questo è il tema dell’alleanza educativa. Così i genitori riescono a riscoprire il loro ruolo di partner della scuola, ma come agenzia educativa, non come agenzia di eventi. Poi c’è l’altro aspetto, quando Sorrentino dice i miei figli giocavano tra di loro…

Noi genitori ci siamo troppo nelle vite dei nostri figli?

Sì, c’è un iper-coinvolgimento dell’adulto nella vita del ragazzo… che invece ha bisogno di sviluppare un rapporto tra pari. Non hanno bisogno che gli occupiamo tutto il tempo. Nella loro vita ci vogliono, ma ci vogliono il giusto. Fa ridere che il nonno hippy, uno che ai propri figli ci avrà pensato “il giusto” dica a Sorrentino “assassino”.

Parliamo di questo “entusiasmo immotivato” che Sorrentino mette un po’ alla berlina… Ci vuole invece?

Chi lavora in educazione in realtà sa che un po’ di entusiasmo immotivato di vuole sempre. Crederci ancora e sempre, nonostante tutto… è l’unica strada. Anzi, io penso che in questo momento storico quella di ricostruire entusiasmo sia una sfida cruciale.

I ragazzi per crescere hanno bisogno di vedere attorno a sé entusiasmo immotivato?

Sì, in questo momento così complicato per i ragazzi, con l’aumento dei disturbi alimentari, degli accessi in neuropsichiatria infantile… tutto quello che sappiamo… dobbiamo mostrare ai ragazzi che fare per gli altri è unica salvezza. Oggi i ragazzi hanno il problema di guardarsi troppo dentro, di concentrarsi troppo sul proprio ombelico, una cosa che non porta da nessuna parte. Più che in altri momenti della nostra storia i ragazzi hanno bisogno di vedere che è bello darsi da fare per gli altri e capire perché. Non ne hanno esperienza. Allora andare, portarli in un CSE, far fare volontariato, andare a veder chi fa questo lavoro e perché lo fa.

Per un educatore invece cosa significa avere un entusiasmo immotivato?

Con questo trend di “grandi dimissioni” che stiamo vivendo è fondamentale ricostruire entusiasmo attorno a temi fondamentali come la crescita dei più piccoli. Sappiamo dell’abbassamento vertiginoso delle iscrizioni a scienze dell’educazione, sappiamo di come gli educatori non si sentano riconosciuti, sappiamo della remunerazione troppo bassa. Dobbiamo lavorare sulla cultura del desiderio, capire come tornare a fare vivere ai giovani il lavoro dell’educare come una prospettiva entusiasmante. Intanto io non sono convinta che l’entusiasmo dell’educatore sia immotivato… Proviamo a pensare al contrario, come sarebbe un mondo senza educatori? Ecco, già così senti che questo è un lavoro entusiasmante per davvero.


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