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Quali luoghi per rispondere alle solitudini del nostro tempo?

Famiglie strette, vite più lunghe e più sole con la famiglia che si chiude nel proprio guscio e perde i legami con il contesto territoriale: nelle nostre città c'è sempre più bisogno di luoghi fisici reali di condivisione

di Vanna Iori

L'aumento delle famiglie monopersonali, soprattutto nelle regioni del Nord, dice molto su una nuova emergenza, quella della solitudine, che chiama tutti a rinnovate responsabilità, un nuovo approccio al fenomeno e l'implementazione di strumenti e politiche più efficaci di contrasto alla solitudine di questo tempo.

Negli ultimi vent'anni sono aumentate le separazioni, che spesso si traducono in famiglie monogenitoriali, per l'84% composte da madri che – una volta che i figli sono usciti da casa e giunte al pensionamento – non hanno più nessuno con cui relazionarsi nella quotidianità del vivere e rischiano di chiudersi in un progressivo e definitivo isolamento. A ciò si aggiunga il drammatico fenomeno della denatalità contro cui non siamo ancora in grado di definire soluzioni strutturali che potrebbero essere realmente risolutive e che produrrà nei prossimi anni una società con composta sempre più da molti anziani e pochi giovani. Fenomeni strutturali che metteranno in pericolo il nostro sistema di welfare ma che stanno già iniziando a cambiare le reti sociali e il modo di sentire l'altro nelle nostre comunità.

Famiglie strette, vite più lunghe e più sole dove la famiglia si privatizza sempre di più e perde i legami con l'esterno e il contesto territoriale: una famiglia che si chiude nel proprio guscio, dentro il proprio appartamento che richiama in modo evidente (a partire dalla sua radice "appartarsi") una forma di isolamento sempre più marcato e di un confine sempre più forte e invalicabile tra il dentro e il fuori. Il nido domestico, in questa nuova dimensione della socialità frutto dei cambiamenti culturali e demografici, diventa un luogo isolato e freddo, impermeabile all'emotività dell'esterno.

Ebbene, in questo quadro sarà sempre più difficile prendersi cura delle persone che invecchiano in solitudine e saranno inoltre necessari nuovi interventi per la cronicità legate alla maggiore longevità, con l’obiettivo primario di fornire modalità di assistenza domiciliare innovative, efficaci e sostenibili: in questo senso, accanto all’utilizzo delle tecnologie più avanzate della telemedicina, serve investire nella formazione del personale sulla conoscenza degli aspetti esistenziali e relazionali per l’umanizzazione delle cure, anche attraverso la valorizzazione del ruolo delle associazioni del Terzo settore e il potenziamento del ruolo del caregiver.

Ma ancora di più bisogna tessere le reti per le comunità territoriali, a partire dai vicini, ricostruendo rapporti e relazioni. Il territorio è il luogo che dovrebbe rispondere alla riorganizzazione della rete di vicinato e comunità al fine di configurare un modello di offerta territoriale capace di garantire la presa in carico dei più fragili e di chi ha biosogno. E non parlo solo degli anziani, che pure sono certamente i più esposti a questa drammatica solitudine, ma anche di molti giovani che vivono in una dimensione di solitudine alimentata dalle nuove tecnologie che costruiscono ulteriori muri, altre tane dentro cui proteggersi. Nelle nostre città c'è bisogno di luoghi fisici reali di condivisione che consentanto di prendersi cura delle persone.

Dobbiamo far fronte a un disagio oscuro e profondo di cui facciamo fatica a parlare; ci sono persone che hanno perso progetti e prospettive e non hanno nessuno che li aiuti a guardare avanti e credo che dentro le reti di vicinato, nella costruzione della comunità, nelle agenzie territoriali si possa trovare una risposta. Ma è necessario anche far fronte al calo spaventoso di persone disponibili a lavorare nei servizi riferiti alla cura delle persone, nei servizi sociali e socio-educativi; si tratta di lavori indispensabili che, purtroppo, nessuno vuole più fare. Non si trovano educatori, assistenti sociali, Osa, Oss; i giovani non desiderano più intraprendere professioni che li facciano occupare di più fragili, a partire dagli anziani. Occorre recuperare consapevolezza e riflettere sul perchè sia drammaticamente venuta meno la vocazione ai servizi di cura. Per risolvere il problema partiamo dal domandarci perché non si cercano più questi lavori: sono professioni pagate poco, scarsamente riconosciute a livello sociale e risentono di una cultura dominante che tende a promuovere l'individualismo. Dovremmo aiutare gli operatori nella gestione delle loro emozioni e nella capacità di gestirle pagandoli meglio.

Oggi più che mai c’è bisogno di progettare, promuovere e realizzare processi per il supporto e l’accompagnamento della vita delle persone più sole. Abbiamo urgenza di costruire relazioni di cura, accoglienza e responsabilità per prevenire situazioni di isolamento e solitudine, soprattutto, nelle aree territoriali culturalmente e socialmente più fragili sul piano relazionale. Di fronte a questo allargamento delle delle solitudini non possiamo far finta di niente e girarci dall’altra parte. Se già ieri era necessario intervenire, oggi diventa un imperativo etico e politico.

*Vanna Iori, pedagogista, è ordinaria di Pedagogia all'Università Cattolica di Milano

Foto Unsplash


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