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Perché usiamo poco le Dat? Difficile pensare alla nostra morte

A cinque anni dall’entrata in vigore della legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento solo lo 0,4% degli italiani le ha redatte. Secondo Barbara Rizzi, palliativista e direttrice scientifica di Vidas le motivazioni del non utilizzo sono molteplici. Ne abbiamo parlato con lei per capire anche come fare per diffondere la conoscenza di questa opportunità offerta dalla normativa

di Antonietta Nembri

Il 31 gennaio del 2018 è entrata in vigore la legge 219/2017 quella cioè che prevede la possibilità di redigere il proprio testamento biologico, dando le indicazioni per depositare le proprie Disposizioni anticipate di trattamento – Dat. Cinque anni dopo – è la denuncia dell’associazione Coscioni – solo lo 0,4% degli italiani lo ha fatto. Perché?

Per rispondere a questa domanda ci siamo rivolti a Barbara Rizzi, palliativista e direttrice scientifica di Vidas, associazione che da oltre quarant’anni offre assistenza ai malati terminali e che a Milano gestisce due hospice (Casa Vidas e Casa Sollievo Bimbi). Rizzi, inoltre a fine 2020 con Giada Lonati, palliativista e direttrice sociosanitaria di Vidas ha scritto un agile libretto dal titolo Biotestamento (editrice Bibliografica pp.161 9,90 euro) che aveva proprio l’obiettivo di approfondire tematiche quali il fine vita, le cure palliative e le stesse Dat, fornendo anche semplici indicazioni pratiche su come redigerle.

«Il fatto che esista un diritto, questo non vuol dire che si traduca in un dovere» è la sua prima constatazione. Per poi aggiungere «Per fortuna esiste la legge, ma la sua esistenza non può essere usata per colpevolizzare chi non ne usufruisce. Lo ripeto» insiste Rizzi, «è giusto che ci sia un diritto. Ma detto questo, quando si parla di Dat non si affronta un argomento leggero perché per redigerle si chiede a una persona di interrogarsi su quella che sarà la propria morte e di pensare al momento in cui non sarà in grado di interagire con altre persone e di decidere da sé».

Per la dottoressa Rizzi occorre considerare tanti fattori non fermarsi al solo dato numerico di quante siano a cinque anni dall’entrata in vigore della legge le persone che hanno depositato le proprie Dat. «C’è un aspetto culturale e psicologico che rende difficile immaginarsi prossimi alla morte, molti dicono anche di non essere in condizione di riflettere su queste tematiche… la morte resta uno dei temi tabù dei nostri tempi». Al di là delle difficoltà culturali per Rizzi vi è anche una carenza formativa tra i medici «una compagna di università che oggi è primaria mi ha confidato che tra gli specializzandi è difficile trovare qualcuno che sappia cosa siano le cure palliative: l’Università prepara i medici a guarire, si parla poco della morte. Quando io dico curare, intendo prendersi cura in ogni momento, ma non per tutti è così».

Il libro Biotestamento è stato scritto subito dopo il primo lockdown per il Covid-19. «La pandemia ci ha posti tutti di fronte alla necessità di ripensare al tema della morte. Ci siamo scoperti vulnerabili. In quel periodo mi ero illusa che quel tempo di riflessione avrebbe indotto molte più persone a redigere le Dat», sottolinea Rizzi ricordando che lo sportello di Vidas dedicato alle Dat proprio in quei mesi «è diventato un servizio online. Abbiamo potuto raggiungere più persone, ci hanno contattato non solo da fuori Milano e Lombardia, ma anche italiani residenti all’estero». Allo sportello Vidas rispondono un medico e uno psicologo «Abbiamo gli appuntamenti già fissati per i prossimi due mesi» precisa la direttrice scientifica, «le richieste ci sono, le persone si avvicinano a questa possibilità, certo, forse occorrerebbe farle conoscere di più. Ma anche nei Paesi in cui la redazione delle disposizioni sulle proprie cure è una pratica più antica, penso agli Usa e al Canada si parla di un 40% della popolazione che aderisce a questa pratica». Online oltre alla possibilità di chieder un appuntamento è presente anche una guida.

Nel 2019 la stessa Vidas aveva promosso una ricerca per conoscere la percezione della popolazione sul biotestamento: solo tre persone su dieci si erano poste il problema di pianificare il proprio fine vita “pur essendo buoni i livelli di favorevolezza al testamento biologico – si legge nel libro – soprattutto tra giovani, non credenti, residenti nel nord ovest e con un livello di istruzione medio alto”. Uno dei timori espressi da molti era «il modo con cui il documento può essere utilizzato, alcuni hanno espresso anche il dubbio che non vengano rispettate le proprie decisioni», continua Rizzi.

Per la direttrice scientifica di Vidas occorre continuare a “sensibilizzare” e «far conoscere la legge come una possibilità e questo è un dovere sia dei sanitari sia dei giornalisti, l’informazione deve essere fatta nel modo più corretto possibile sia dai medici formati sul tema sia dalla stampa». Sul fronte sanitario Rizzi ricorda anche che le cure palliative sono state riconosciute come disciplina solo nel 2013 e le prime scuole di specializzazione sono state avviate nel novembre del 2022. Sempre sul fronte formazione «La legge 219 è stata approvata in Senato il 14 dicembre del 2017 da allora tutti gli anni celebriamo questo anniversario con degli eventi formativi, negli ultimi due anni siamo riusciti a coinvolgere l’Università degli Studi di Milano realizzando dei webinar con la speranza di raggiungere gli studenti di medicina», conclude Rizzi.

In apertura foto da Unsplash


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