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Autonomia differenziata, Perna:«Il nodo è l’uguaglianza nella qualità dei servizi»

La scuola, la sanità, il diritto alla casa. Servizi di base, prestazioni minime per la vita della comunità, che vanno offerti e garantiti ugualmente in tutte le regioni. Dialogo con il sociologo calabrese: «La questione del reddito viene dopo»

di Gilda Sciortino

L’autonomia differenziata? Per Tonino Perna, già Sindaco della Città Metropolitana di Reggio Calabria dal 29 ottobre 2020 al 19 novembre 2021 e oggi Ordinario di Sociologia Economica dell’Università di Messina, quello di cui si dovrebbe veramente discutere non è trasferire le risorse del Mezzogiorno alle regioni più ricche, ma come fare a migliorare l’intero Paese rispondendo alle grandi sfide, quella energetica come anche quella alimentare.

«Dividerei, però, la questione in alcuni punti. Il primo è storico. L’autonomia è un valore e nasce nei Comuni del Nord. Questa è la grande differenza. La storia ha un peso incredibile, attraversa i secoli. Il Sud non ha mai avuto, per varie ragioni, una tradizione di autonomie locali, mentre già nel Medioevo i Comuni di una parte del Nord scendevano in campo contro con l’imperatore per l’autonomia. Il primo equivoco è questo: autonomia regionale o autonomia comunale. Le regioni che dovrebbero occuparsi di programmazione e di regia, di fatto, hanno assorbito la gran parte delle risorse, penalizzando i Comuni. Questo, però, riguarda tutta l’Italia».

La seconda questione attiene alle autonomie che chiedono le regioni del nord e che guardano prettamente alle questioni economiche.

«Le regioni a statuto speciale del Nord (Val d'Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) ricevono molto più di quello che versano in tasse e imposte – prosegue Perna -, esattamente come avviene nel Sud. Esempi possono essere Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che sono le regioni che contribuiscono al 60% del Pil italiano, come al 70% di esportazioni. L’Italia è abbastanza diseguale dal punto di vista produttivo. Il Sud, per esempio, rispetto alle energie rinnovabili, ha un grande potenziale ancora inespresso. Basti pensare che Bolzano ha più pannelli solari di Messina con una popolazione che è un terzo della città siciliana. C’è sicuramente un problema culturale, poi intervengono la scarsa incentivazione e la mancanza di volontà politica. Nel breve periodo possiamo fare tutte le scelte che vogliamo, ma nel lungo periodo, se è vero che abbiamo firmato a Parigi un accordo internazionale per la transizione ecologica, non è sul gas che dobbiamo contare. Altra grande questione che riguarderà il futuro, ma ce ne siamo accorti con questa guerra, è quella alimentare. Rispetto ad alcuni beni di base come il grano per il pane, il sud potrebbe tornare a essere quello che era una volta, invece oggi abbiamo il 30 % delle terre abbandonate. Ci vorrebbe una nuova riforma agraria in chiave ecologica, con una visione di Paese che guarda al futuro. In un momento come questo, fare la lotta per accaparrarsi le risorse di chi è già in difficoltà mi sembra un’assurdità».

Qual è ila sintesi che si può fare parlando di disuguaglianze?

«Non è il reddito, togliamoci da questo equivoco. Se Bolzano l’anno scorso registrava 45mila euro di reddito pro-capite, praticamente la più ricca d’Italia, mentre la Calabria 19mila, allora dobbiamo riflettere sul fatto che, finché ci sarà una cittadinanza e saremo tutti cittadini, abbiamo diritto a godere degli stessi servizi di base, i cosiddetti Lep, prestazioni minime per la vita come la scuola, la sanità, la casa. Tutto questo non può essere delegato alle Regioni, lo abbiamo visto con la pandemia, ma deve giocare un ruolo importante lo Stato, quindi i Comuni. Poi, però, ci deve essere l’uguaglianza di qualità nei servizi di cui parlavamo prima. Non è, infatti, possibile che a Reggio Emilia ci siano 25 asili nido e in Calabria solo due perché questo divario, qjueste contraddizioni colpiscono le donne e riducono le loro opportunità di lavoro».

Temi che ci fanno sostanzialmente ragionare su cosa vuol dire essere cittadini…

«Significa appartenere a una storia comune. Trento e Trieste, durante la prima guerra mondiale, furono liberate dal dominio austro-ungarico, ma non dobbiamo dimenticare che furono centinaia di migliaia i meridionali che morirono sul fronte. Ebbene, non c’è un Comune del Sud, anche il più piccolo, che non abbia un monumento dedicato ai suoi caduti. C’è stato sempre un dislivello anche dal punto di vista dell’istruzione, della cultura. Lo dimostra il fatto che nel ’51, il primo censimento dopo la seconda guerra mondiale, in Calabria gli analfabeti erano ancora il 50% ancora, mentre. in Lombardia il 12%. Soprattutto questo è il divario da colmare perchè, quando si investe nella cultura, nella ricerca, nell’università, si investe nella crescita dell’intera comunità. L’esempio di Cosenza è eloquente. È riuscita ad attrarre la più grande multinazionale giapponese nel campo dell’informatica, la Ntt Data, che ha assunto centinaia di ingegneri informatici usciti dalla sua Università e ora lavora per la Banca mondiale e per le grandi istituzioni internazionali nel campo dell’intelligenza artificiale».

L’urgenza, oggi, è quella di investire nella cultura, nella ricerca, nell’alta formazione…

«Se e dove si fa questo, il Sud progredisce ed è un bene per tutta l’Italia. Pensiamo all’agricoltura biologica: al primo posto abbiamo la Sicilia, al secondo la Calabria. Questo, nel futuro, sarà sempre più importante. Devo esprimere anche la mia preoccupazione rispetto ai fondi. Se non si mettono i Comuni nelle condizioni di progettare e realizzare, andranno sprecati e torneranno a Bruxelles. Ecco il tema che dovrebbe animare il dibattito e non quello relativo alla lotta per accaparrassi altre risorse da parte di regioni che sono già ricche. In termini europei, Lombardia, Veneto ed Emilia si collocano sopra la media del reddito pro-capite rispetto ai principali indicatori, mentre Calabria, Sicilia e Campania molto al di sotto. Ci dovrebbe preoccupare sapere di essere quasi ai livelli della Romania e non tutto il resto».