Politica & Istituzioni

Degani l’outsider: «Più Terzo settore nei palazzi della politica lombarda»

Presidente (autosospeso) di Uneba Lombardia, il grande rassemblement di realtà non profit che si occupano di anziani e ai fragili, Luca Degani ha spiazzato larga parte del mondo sociale della sua regione, decidendo di candidarsi nella lista del governatore Fontana. E spiega come cambierebbe la sanità, l'assistenza, l'accoglienza ai minori, l'inclusione delle persone con disabilità

di Giampaolo Cerri

La sua candidatura alle regionali lombarde è di quelle che, nel mondo sociale, hanno fatto rumore, perché pochi si aspettavano che Luca Degani, classe 1968, milanese, back-ground catto-democratico, da sempre impegnato nel Terzo settore, sia professionalmente ma anche umanamente, scegliesse la lista di Attilio Fontana. E invece quando lui stesso ne ha dato notizia, “whatsappandola” a un’ampia cerchia di amici, e si è propagata, qualcuno ha chiesto se fosse veramente “quel Degani”, l’avvocato, il presidente dell’Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale – Uneba Lombardia, il rassemblement delle realtà non-profit che operano nel campo dell’assistenza anziani, dalla quale si è auto-sospeso. Se era quello che studiava in Cattolica, militava in Dialogo e Rinnovamento durante gli anni universitari (la lista di area “fucina”) e cantava nella Cappella musicale del Duomo.

Sorride, Degani, che incontriamo nel suo studio milanese che guarda i giardini della Triennale: «Beh, la Cappella l’ho frequentata anche da adulto, per anni: il canto è la mia grande passione. Insieme al Milan, direi. Le batte tutte, l’una e l’altra, quella per mia figlia 16enne, Linda»

Degani, come l’ha convinta il governatore Fontana? Che cosa le ha promesso? In giro qualcuno dice: «Di fare l’assessore».

Fontana mi ha “convinto” dicendomi: «Accetto che tu possa portare le tue idee, una tua identità dal punto di vista della tematica, del Terzo settore, del sociale e del socio-sanitario. Non ti prometto nulla di più».

Giro la domanda: perché in politica? Che cosa spera di fare?

È il motivo per cui non ho voluto una lista “partitica” ma civica: fare politica. Se sarò eletto, da consigliere regionale, voglio fare politica su settori che conosco bene, con le mie idee. Vorrei provare ad affrontare, a monte e non a valle, le problematiche del settore sociosanitario e non profit. Candidarsi è un tentativo di inferire nella costruzione del prossimo sistema sociosanitario territoriale, con una particolare attenzione al mondo della fragilità e cronicità. E poi c’è la grande preoccupazione, non solo mia che l’attuale Riforma del Terzo settore possa portare più danno che beneficio a un’ampia fascia di realtà associative e fondative ma, paradossalmente, anche alla stessa cooperazione sociale.

Spieghiamolo bene.

Sì perché la riforma ha, da un lato, burocratizzato pesantemente il percorso di adesione al Registro unico nazionale del Terzo settore – Runts perché oggi, con quasi la metà delle Organizzazioni di volontariato – Odv ed Associazioni di promozione sociale – Aps ancora non trasmigrate, è un vero flop e, dall'altro, la voluta abrogazione delle onlus sottende una visione nella quale il valore della “utilità sociale”, in senso solidaristico e sociale, rischia di essere poco percepito nel più ampio contesto dei beni comuni. Beni comuni che, personalmente, apprezzo moltissimo quando si parla del principio di sussidiarietà come indicatore primo della loro valorizzazione, ma che debbono essere primariamente destinati alla tutela delle fragilità sociali.

Che vuole dire “attenzione al mondo della fragilità e cronicità”, da uno scranno del Pirellone?

Il tema fondamentale resta che nella sola nostra regione, 100mila posti letto per anziani e disabili, la presenza capillare di servizi diurni per queste persone e il 95% della assistenza domiciliare integrata sono gestiti da enti senza scopo di lucro. Eppure in questo momento, a titolo di esempio, queste realtà vedono una legislazione nazionale che inibisce loro l’accesso ai quasi 3 miliardi di euro di fondi stanziati per l’assistenza domiciliare integrata-Adi.

Questo perché?

La struttura dei patti con la Ue ha assurdamente previsto che l’infrastrutturazione del sistema di tutela della salute collettiva debba avere solo una gestione pubblica.

Beh, sulla cronicità si gioca una bella sfida.

Abbiamo una popolazione che ha “sconfitto” le principali malattie acute: le patologie cardiopolmonari, il diabete, le malattie neurodegenerative, che un tempo conducevano a morte abbastanza rapidamente. Oggi cronicizzano, anche in una popolazione che può essere giovane, come accadeva con la sieropositività. Ma certo, spesso gli anziani sono cronici e fragili.

In uno dei suoi primi interventi, non ha risparmiato critiche all'ultima riforma lombarda, quella delle “case della comunità”.

Guardi, noi non abbiamo bisogno di muri, di insegne…

E di che cosa, allora?

In primis di professionisti sanitari che siano adeguati alla presa in carico di una popolazione più anziana e più cronica, per cui la formazione medica deve redistribuire i numeri anche sulle specializzazioni, valorizzare la medicina di base, la medicina di territorio. Devono cambiare i modelli di insegnamento, di specializzazione ecc.

Un esempio?

Non si può puntare ad assumere 3mila infermieri di famiglia o infermieri di territorio senza modificare l'assetto formativo, ossia i numeri della formazione infermieristica in ambito universitario. E neppure continuare a pensare che essere infermiere oggi, nel 2023, sia la stessa cosa del 1978, perché si è destinati a lavorare sul territorio e ci sarà bisogno non solo di una formazione diversa ma magari anche di figure professionali diverse. E questo vale per tutte le professioni sanitarie

Sulla non autosufficienza, su cui lavora tanto Terzo settore anche in Lombardia, che cosa si deve fare?

Se si continuerà a dire che le Rsa sono il luogo in cui viene ricoverata una persona “grande-anziana”, negli ultimi 12-18 mesi della sua vita, con le risorse limitate che abbiamo, andremo a sbattere.

E cosa dovrebbero essere le Rsa?

Il luogo con professionisti – medici, infermieri e operatori sociosanitari -, che può ricoverare sì gli anziani, può fare ospedale di comunità nel percorso di dimissione ospedaliera ma può anche attivare l'assistenza domiciliare, con più tecnicalità, vale a dire col telemonitoraggio e con la telemedicina. Luoghi che si prendono carico del territorio, non necessariamente mandando l'infermiere a domicilio, ma organizzando una rilevazione e trasmissione digitale di dati che punti all’aderenza terapeutica e comportamentale dell’anziano. Un sistema che monitori i parametri vitali di questa persona: se si muove in casa, se apre le finestre, ossia dati che ti possono fare capire se è depresso. O ci dica che cosa abbia nel frigo e quindi come si alimenti. O, ancora, come gestisca le pulizie di casa e l’igiene personale. Questa la vera domiciliarità del futuro, fattibilissima e a minor costo, e che cambia il concetto di luogo di ricovero.

Un’emergenza che riguarda il territorio lombardo – l’ultimo episodio a Seregno, in Brianza poche settimane fa – è quella del disagio minorile, acuito anche dai due anni di lockdown. Che idee ha, in proposito?

Sul mondo minorile, l’errore è stato chiedere alle comunità-alloggio di fare tutto: dalla neuropsichiatra infantile al penale minorile. Abbiamo chiesto al mondo della tutela minori – costruito su assistenza sociale e socio assistenziale – di diventare garante di problematiche socio-sanitarie, di natura neuropsichiatric, o di problematiche di natura comportamentale, penale, eccetera.

Quindi?

Quindi bisogna ridare una forte dignità alla neuropsichiatra infantile, che è la prima forma di azione preventiva sociale che ci possa essere, perché, in realtà, ti prendi carico di una persona, un adolescente. E se faremo una presa in carico corretta, potremo aiutarla concretamente e prevenire un costo sociale, pesantissimo, di un giovane a disagio. Non muoviamoci a 17 anni però, perché a 5, 6, 7 anni, certe difficoltà si vedono.

Allora occorrono comunità differenziate?

Esatto, non comunità alloggio “ordinaria” per una problematica neuropsichiatrica ma dovrà esserci la comunità “neuropsichiatrica”, con altri sistemi tariffari, con altro sistema di professionalità. E poi, ovviamente, il sistema penale minorile.

Ecco, le evasioni dal Beccaria, alcune settimane fa, ne han fatto parlare.

In questo momento non abbiamo un sufficiente numero di luoghi e di risorse a disposizione per rendere il carcere minorile un luogo che di carcere non dovrebbe avere nemmeno il nome.

Che cosa dovrebbe essere?

Non solo luogo di recupero e di socializzazione, come per l'adulto, ma di educazione, di inserimento scolastico e di inserimento lavorativo. In altri termini, un attivatore di percorsi di inclusione sociale.

E sulle tossicodipendenze? Altra emergenza forse troppo sotto-traccia.

Fa parte del mio vissuto con la dimensione di Progetto Arca – (la fondazione milanese che si occupa di varie marginalità, in cui Degani è consigliere di amministrazione e volontario da tempo, ndr). Sulle dipendenze servono percorsi di inserimento, oltre che lavorativo, sociale ed abitativo. Si deve giocare su ciò che dice l’economia reale oggi.

E che cosa dice, Degani?

Dice che l'housing è importante, perché l'autonomia abitativa e l'autonomia lavorativa sono talmente ormai significative su tutta la popolazione che lo sono ancor più sulla popolazione in difficoltà, in stato di povertà economica e sociale. Non è solo un tema di assistenza alimentare, ma di vita. Vale a dire assistenza per tutto. Anche qui si tratta di progettare percorsi.

Ci faccia capire meglio.

Occorre progettare l'assistenza per l'inserimento lavorativo che non è assistenza tout court ma condivisione di percorsi di inserimento, di autonomia e di dignità sociale. Da questo punto di vista è anche bello dire che c’è un Terzo settore con alcune soggettività capaci di usare anche i luoghi più estremi, come il carcere, e i luoghi della dipendenza e della grande emarginazione, come la Stazione Centrale, come incubatori di cooperative sociali, di persone che passano dall’essere oggetto a soggetto di assistenza. Creano dignità.

Da assistiti ad assistenti.

Diventano lavoratori e diventano gli attori con una capacità di relazione 10 volte più ampia, nel recupero sociale, di chi non ha vissuto nelle loro stesse condizioni.

Quale è la legge “Degani” che vorrebbe firmare, se eletto?

Mi piacerebbe un intervento per fare sì che un territorio come quello lombardo non sia solo produttivo e solidale come è già, aiutandolo a diventare anche promotore di cultura dei beni comuni. Un po’ come la cultura dell’antimafia, in un certo senso. L’arresto di Matteo Messina Denaro in sé è meno importante del fatto che si possa usare questo fatto per spiegare ai ragazzi che la mafia c’è. Per spiegarlo a mia figlia.

E come glielo ha spiegato a Linda?

Le ho spiegato che la mafia c’è quando lei compra un bene a un prezzo troppo basso, quando nelle vie dello shopping cambiano troppo spesso i negozi, quando in un ristorante si fanno troppo spesso ristrutturazioni, quando il lavoratore di un’impresa di pulizie viene pagato con banconote da 20 euro, anziché con bonifico bancario. È questo il tema: la Lombardia che produce è quella della condivisione dei beni comuni, della legalità.


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