Cooperazione & Relazioni internazionali

Il seme della pace possibile

L’anno passato dal 24 febbraio 2022 non ci restituisce solo un catalogo degli orrori, ma anche un’infinità di bene, di azioni che hanno il merito non solo di sostenere le vittime ma anche di indicare la via per un futuro desiderabile, non più di guerra ma di pace e perciò di fraternità. Una fraternità intravista come almeno desiderabile anche se ancora lontana. L'editoriale del numero del magazine da oggi in edicola. E un appuntamento il 20 febbraio

di Riccardo Bonacina

Il compleanno della sciagurata e crudele invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci pone davanti un catalogo di sofferenze, di crimini, di sangue, difficile da sostenere per gli occhi e per il cuore. Sul corpo della “martoriata Ucraina” come la chiama papa Francesco, e perciò sui corpi dei suoi cittadini, si sono consumate ogni tipo atrocità dall’uso di torture e violenze a quello di ordigni vietati dalle convenzioni internazionali, si sono colpite deliberatamente infrastrutture che permettono un residuo di vita normale come le centrali elettriche, quasi 8 milioni di ucraini sono stati costretti a fuggire all’estero e più di sei milioni hanno lasciato le proprie case e i propri affetti per cercare riparo in regioni dell’Ucraina meno soggette agli attacchi missilistici quotidiani. Decine di migliaia di ragazzi ucraini e russi sono morti negli scontri (si stimano almeno 200mila vittime) e non potranno tentare di dar corpo a ciò che sognavo per il loro futuro. La Russia da autocrazia si è trasformata in un feroce Stato di polizia, in una sterminata caserma, dove si arrestano migliaia di cittadini se si pronuncia o scrive la parola guerra invece che “operazione speciale”, uno Stato da cui i migliori scappano.

Ma l’anno passato da quel 24 febbraio non ci restituisce solo questo catalogo degli orrori, ma anche un’infinità di bene, di azioni che hanno il merito non solo di sostenere le vittime ma anche di indicare la via per un futuro desiderabile, non più di guerra ma di pace e perciò di fraternità. Una fraternità intravista come almeno desiderabile anche se ancora lontana.
Tre settimane dopo quel 24 febbraio, avevo scritto: «C’è una sola cosa da fare, io credo, abbracciare le vittime, soccorrerle, aiutarle, prenderle per mano, accoglierle. Questo deve rubarci ogni energia, ogni anelito, ogni parola. Tantissimi italiani, polacchi, rumeni, moldavi, ungheresi, slovacchi lo stanno facendo, lasciamo i dibattiti a chi sta sul tavolino e al computer o sul divano ora e sempre». Un sentimento e una decisione, ora possiamo dirlo, che è stata la stessa per decine di migliaia di italiani ed europei impegnati nell’accoglienza, nell’aiuto umanitario, nel sostegno financo spirituale. Una catena di solidarietà e di amicizia talmente imponente e diffusa che non bastano 100 libri per raccontarla.


Come scrive Vassilij Grossmann nella La Madonna Sistina: «La forza della vita, la forza di ciò che vi è di umano nell’uomo è una forza immensa, e la violenza più estrema e più assoluta non può soggiogare questa forza, perché può solamente ucciderla. (…) Non abbiamo lasciato che morisse ciò che di umano c’è nell’uomo. Guardando la Madonna Sistina, noi conserviamo la fede che la vita e la libertà sono una cosa sola, e che non c’è niente al di sopra di ciò che di umano c’è nell’uomo. Ed è questo che vivrà in eterno, e vincerà».
In queste migliaia e migliaia di azioni pacifiche, nonviolente e solidali sta il seme di una pace possibile, in questa orizzontalità di azione, nell’impasse delle istituzioni preposte (Onu, Ocse, Governi), sta il segno di una speranza praticabile che non lasci solo il campo all’odio cresciuto a dismisura in tutta l’Ucraina e fomentato da una propaganda feroce, ininterrotta e irresponsabile in Russia.

Occupy Ucraina è il titolo di questo numero che sta a indicare quanto quella marea di azioni nonviolente sia riuscita a riempire l’Ucraina abbracciandola nei suoi bisogni e che insieme nomina un auspicio, quello di un desiderio forse un po’ visionario ma reale, quello di invadere l’Ucraina con la presenza di milioni di cittadini europei come forza di interposizione che impedisca il protrarsi delle violenze. Anche rilanciando una battaglia politica in Italia e in Europa quanto mai necessaria, quella dei Corpi civili di pace proposti da Alex Langer nel 1994 e mai davvero realizzati e ancora nel limbo delle buone intenzioni e di una interminabile sperimentazione.
Un anno dopo è certamente più chiaro che significa essere uomini e donne di pace. Cosa significa educare alla pace ed essere artigiani di pace. Non è pacifista chi urla slogan a favore della pace, ma chi fa qualcosa di concreto per produrre pace. Non è guerrafondaio chi sostiene che gli ucraini hanno il diritto di difendersi dall’aggressore anche con le armi, ma chi pensa che le armi siano l’unico modo per reagire all’aggressione russa. Nell’anno trascorso si è consumato il passaggio dall’essere pacifisti parolai e presuntuosi al riconoscerci reciprocamente come costruttori di pace, pacificatori, produttori di relazioni nuove e più umane.

L’11 aprile di 60 anni fa (tra poco l’anniversario) Giovanni XXIII pubblicò l’enciclica Pacem in terris; nel 1963, il Concilio Vaticano II era ancora in corso, era il periodo della Guerra Fredda, della costruzione del Muro di Berlino e di una crescente minaccia di guerra nucleare. La Pacem in terris fu una risposta alla crisi dei missili cubani che precipitò il mondo a un soffio da una guerra nucleare, scenario anche oggi evocato. L’enciclica diceva che la pace deve essere basata su quattro pilastri: la verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà e l’amore. Si legge “Come vicario — benché tanto umile ed indegno — di colui che il profetico annuncio chiama il Principe della pace, (Cfr. Is 9,6) abbiamo il dovere di spendere tutte le nostre energie per il rafforzamento di questo bene. Ma la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà”.

L’anno che è trascorso dal 24 febbraio 2022 certifica l’esattezza di quella visione e di quella proposta su cui sarà utile ritornare, senza libertà, verità, giustizia e solidarietà, tutte insieme, la pace non si dà.


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A un anno dall’aggressione della Russia, vi propponiamo una serata (il 20 febbraio) per interrogarci su quale sia la pace possibile per l’Ucraina. E per capire cosa possiamo fare noi. Subito. Lo faremo ascoltando le testimonianze dei pacificatori. Ingresso libero sino a esaurimento posti, perciò meglio accreditarsi qui


Le illustrazioni sono di Andrea Chronopoulos


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