Cooperazione & Relazioni internazionali

Cecilia Strada: «Mamma sono vivo: se sfidiamo le onde del Mediterraneo è per sentire questa frase»

La nave ResQ è salpata per la prima volta il 7 agosto 2021 e, in due missioni, ha già salvato 225 uomini, donne e bambini. A bordo anche Cecilia Strada, che racconta: «Durante la prima missione c’era un ragazzo della Costa d’Avorio che non riusciva a prendere sonno. Mentre stavamo chiacchierando ad un certo punto il suo cellulare ha preso la linea e lui ha chiamato casa. “Mamma - mamma, mamma sono vivo” urlava al telefono. Ecco, quella frase mi ripaga di qualsiasi fatica il fallimento della politica comunitaria e italiana ci costringa a fare e spiega perché siamo così testardi»

di Sabina Pignataro

«Ho visitato il primo ospedale di guerra quando avevo nove anni e oggi posso dire con certezza che l’assistenza che offriamo sulle navi di ricerca e soccorso dei migranti è ancora più difficile dal punto di vista emotivo». A raccontarlo, dal suo punto di vista straordinario è Cecilia Strada, che ha alle spalle due missioni nel Mediterraneo con la Resq – People Saving People.

«Negli ospedali di guerra, i malati e i feriti arrivano direttamente nei reparti o al pronto soccorso: ti arrivano addosso quasi. Al contrario, quando siamo in mezzo al mare, una delle attività essenziali che facciamo è soprattutto la ricerca. Significa che talvolta abbiamo delle tecnologie che ci permettono di individuare la presenza di barchette o gommoni in difficoltà, ma molto spesso siamo anche noi, umani, con i nostri occhi a volte assonnati, a volte confusi dal buio della notte, ubriachi di stanchezza, che ci mettiamo di guardia, con i nostri binocoli, alla ricerca di un pezzo di legno, di un tubolare di gommone, di taniche di benzina, e di corpi che talvolta galleggiano, altre volte implorano il nostro aiuto. La responsabilità individuale di chi compie questa ricerca è elevatissima e ti investe a pieno: perché se in quel momento i tuoi occhi non vedono bene, gli altri possono morire».

Mentre lo raccontava, qualche sera fa in un incontro pubblico organizzato da L’OraBlu, un’associazione della provincia di Milano, è calato per un momento il buio e il silenzio. Poi Cecilia Strada ha ripreso a raccontare per filo e per segno come avviene il salvataggio.

«A seconda delle condizioni meteo (in particolare delle onde) e del tipo di imbarcazione che abbiamo davanti tentiamo di avvicinarci ai profughi in maniera diversa. Se è presente una soccorritrice donna facciamo in modo che sia lei la prima persona che quegli occhi impauriti incroceranno. Non per una questione di genere, ma per fare capire subito ai profughi che non siamo la guardia costiera libica (non avrebbero a bordo una donna). E poi iniziamo a urlare E U R O P A. Europa è quello che quello che cercano. A loro non interessa che sia l’Italia. Hanno un disperato bisogno di sapere che non stiamo per riportarli nei campi di detenzione libici e che d’ora in poi potranno essere al sicuro. E forse liberi».

Europa è quello che quello che cercano. A loro non interessa che sia l’Italia. Hanno un disperato bisogno di sapere che non stiamo per riportarli nei campi di detenzione libici e che d’ora in poi potranno essere al sicuro. E forse liberi

Cecilia Strada

Le segnalazioni arrivano dal canale 16, il canale marino delle emergenze o dagli aerei delle ong che sorvolano il mare. «Ma il numero di segnalazioni è infinitamente inferiore al bisogno di soccorso. Spesso gli SOS di chi naufraga si perdono tra le onde, e la gente muore senza diritti e senza dignità. Nell’indifferenza».

«Durante la prima missione c’era un ragazzo della Costa d’Avorio che non riusciva a prendere sonno. Mentre stavamo chiacchierando ad un certo punto il suo cellulare ha preso la linea e lui ha chiamato casa. “Mamma – mamma, mamma sono vivo” urlava al telefono. Ecco, quella frase mi ripaga di qualsiasi fatica il fallimento della politica comunitaria e italiana ci costringa a fare e spiega perché siamo così testardi».

La Onlus ResQ – People Saving People è nata nel 2021 da un piccolo gruppo di amici, professionisti di varia natura che, stanchi di vedere morire migliaia di migranti nel tentativo disperato di attraversare il Mediterraneo, hanno deciso di rompere il muro dell’indifferenza e provare a mettersi in gioco. «Abbiamo scelto una barca che aveva già 41 anni e ci siamo detti: spingiamola in mare, con un unico obiettivo: restare umani», racconta Strada. «In quel momento non pensavamo sarebbe stato così faticoso salvare vite umane».

La nave è salpata per la prima volta il 7 agosto 2021 e, in due missioni, ha già salvato 225 uomini, donne e bambini. A bordo ci sono otto marittimi (che si occupano degli aspetti tecnici della navigazione); una dozzina di volontari altamente motivati e soprattutto specializzati e un cuoco. Anche lui ha un ruolo chiave.

«Non appena le operazioni di recupero sono terminate e tutti i profughi si trovano sulla nostra nave, diamo loro uno zainetto che contiene spazzolino, dentifricio, saponetta, una bottiglia di acqua, che potrà poi essere riempita alla cisterna, barrette proteiche, coperte. Nel frattempo il personale sanitario visita e medica le persone più gravi e poi tutte le altre. A quel punto c’è un addormentamento collettivo, simile ad uno svenimento. La tensione di allenta e alcuni ti cadono nelle braccia».

E’ quello il volto della disperazione? «No, non è il volto che dice la loro disperazione. Non solo, almeno. La disperazione non ha un volto, ha un odore ed è quello che senti quando ti avvicini a loro per capire se sono zuppi di benzina, e invece senti l’odore di sudore e di tutte le deiezioni che nei diversi giorni di navigazione si sono fatti addosso». Sulla nave c’è un container con dei vestiti affinché possano cambiarsi. E poi una scatola con tanti peluche e giochi.

La disperazione non ha un volto, ha un odore ed è quello che senti quando ti avvicini a loro per capire se sono zuppi di benzina, e invece senti l’odore di sudore e di tutte le deiezioni che nei diversi giorni di navigazione si sono fatti addosso

Cecilia Strada

L’accoglienza dei più piccoli è molto delicata e necessita di un’attenzione particolare. «Dobbiamo usare la massica cautela perché non sappiamo cosa hanno dovuto assistere in passato e come hanno elaborato le atrocità. Una volta ad esempio uno dei nostri medici stava per visitare una madre e il figlioletto ha iniziato ad urlare e ad allontanare il medico dalla donna. Probabilmente aveva assistito ad un’aggressione o a uno stupro».

Una persona dal pubblico chiede a Cecilia quanto pesi il suo cognome sulla nave.

«Non conta… nulla. Zero. Nada. E sai? Il bello è proprio questo. E’ tutta la vita che io mi scontro con le aspettative che gli altri ripongono in me pensando di parlare con Gino o con Teresa. Ma io sono Cecilia: ciao, mi presento, sono un’operatrice umanitaria. Io sono questa e sono io».

In apertura, un momento dell'incontro con Cecilia Strada a L'OraBlu


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