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#Regionali2023: l’abisso della democrazia

La diserzione dalle urne è “il” dato politico che spero sarà al centro di ogni discussione politica nelle prossime ore. In Lombardia ha votato il 41,70% e in Lazio il 37,20 (dati non ancora definitivi). La decadenza dei processi partecipativi, nonché le gravi condizioni del “malato” democrazia imporrebbero la costruzione e la diffusione di luoghi di “addestramento” alla cura del bene comune e alla tutela degli interessi generali di una società. La democrazia ha urgente bisogno di luoghi in cui la bellezza del vivere insieme sia riscoperta, in cui il piacere di una costruzione comune ritorni ad affascinare. Pena un abisso che non sappiamo dove possa portare

di Riccardo Bonacina

Il dato dell’affluenza ai seggi per le Regionali 2023 è di 41,70% per la Lombardia e di 37,20% per il Lazio; il dato non è definitivo ma di sicuro vicino alla realtà. Da qualunque parte lo si guardi si tratta di un crollo verticale, “il” dato politico che spero sarà al centro di ogni discussione politica nelle prossime ore. Il risultato sui Governatori e sui partiti è talmente scontato e mai in discussione che eviterei ogni commento. La classe politica invece di continuare a guardarsi l’ombelico (specie a sinistra) riparta dal non voto!

Nelle due regioni cinque anni fa si era presentato ai seggi il 73,11 dei lombardi e il 66,55% degli aventi diritto del Lazio. Dunque il crollo in Lombardia è di oltre 30 punti percentuali . A Roma ha votato solo il 33,11%, contro il 63,11% delle precedenti regionali del 2018.

A livello nazionale, la punta più bassa di partecipazione al voto fu registrata alle Europee del 2019, con il 56,1% di affluenza.

In senso assoluto il record negativo storico, prima del dato di oggi, venne registrato il 23 novembre del 2014 in occasione delle regionali dell’Emilia Romagna: 37.71% di partecipazione. Ma si trattò di un caso isolato: alla tornata successiva (2019) si sarebbe presentato ai seggi oltre il 60% degli elettori.

Io non vedo altra strada e altra urgenza che quella di partire (nel senso di essere tra loro) dai 16,5 milioni di italiani che non andarono a votare neppure alle politiche del 25 settembre scorso e dei 6 milioni che hanno saltato questo voto regionale in Lombardia e Lazio.

Tra il 2018 e 2022 il non voto è cresciuto di 6 milioni di aventi diritto in meno entrati nelle urne. I non votanti (oltre il 36%) sono concentrati nel sud Italia: In Calabria al voto il 50,8%, in Campania e Sardegna solo il 53%, in Puglia al 56%, in Sicilia il 57% nonostante l’accorpamento con le regionali, in Basilicata al 58%. Ora l’abisso del non voto, che è, ricordiamolo abisso della democrazia così come l'abbiamo conosciuta si prende anche il nord.

Quando le ristrettezze economiche personali e famigliari sono sovrastanti o l’esperienza pregressa alimenta sfiducia verso il ceto politico, la scelta della non partecipazione tende a diffondersi anche in un paese, come l’Italia, che aveva una tradizione partecipativa elevata. D’altra parte, il legame tra astensione e reddito pro capite si nota anche a livello europeo. Nei 27 paesi dell’Unione europea nelle elezioni europee del 2019, si vede come al crescere del reddito pro capite cali l’astensione e dunque aumenti il grado di partecipazione.

Ma il problema va anche oltre il reddito come ha osservato oggi Romano Prodi su “La Stampa” rispondendo ad un’intervista sulle elezioni Regionali: “Se si sta smarrendo il senso della vita e della comunità perchè devo andare a votare? Il problema si sta facendo drammatico”.

Eppure non riesco a dimenticare una lettera arrivatami il 27 settembre scorso, una lettera di un cooperatore sociale che mi scrisse, “nessuno dei miei utenti ha votato, questione di reddito? Sì, ma anche di sfarinamento di ogni percezione di comunità, dell’esser parte di una costruzione comune. Di ogni senso di responsabilità collettiva”.

Se è vero come è vero che tutta la qualità di un territorio dipende dal senso civico e dalla vitalità del suo tessuto sociale e che non esiste la politica indipendente dalla società, occorre che sentiamo in maniera forte questa chiamata verso i 16,5 milioni senza la quale la qualità della democrazia deperisce sempre più. Patti di collaborazione, cooperative di comunità, cooperative vere, ogni forma di partecipazione edi inclusione nella partecipazione deve essere incrementata. Pure inventando forme nuove.

La decadenza dei processi partecipativi, nonché le gravi condizioni del “malato” democrazia imporrebbero la costruzione e la diffusione di luoghi di “addestramento” alla cura del bene comune e alla tutela degli interessi generali di una società. La democrazia, per usare un’immagine forte, avrebbe bisogno di monasteri in cui la bellezza del vivere insieme sia riscoperta, in cui il piacere di una costruzione comune ritorni ad affascinare. Pena un abisso che non sappiamo dove possa portare


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