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Casa di Nazareth, a Iglesias la “chiave” che spalanca l’orizzonte

Una realtà che ha sedi in varie regioni d'Italia e che aiuta le persone con fragilità, in particolare gli adolescenti. Le restrizioni della pandemia hanno colpito soprattutto questa generazione di giovanissimi, disabituati alla socialità. Molti di loro hanno problemi psichiatrici. Due progetti, finanziati dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione di Sardegna, hanno permesso di avviare sei bottegjhe esperienziali e creative che stanno dando grandi frutti

di Luigi Alfonso

Prendi una ventina di ragazzi di ambo i sessi, in età compresa tra i 12 e i 17 anni, che hanno attraversato la tempesta della pandemia ma non l’hanno superata del tutto. Coinvolgili in un progetto nell’oasi di una tenuta agricola di cinque ettari e rendili protagonisti, al punto che loro stessi possano stupirsi delle attitudini che non sapevano neppure di possedere. Tutto questo, in estrema sintesi, è “Una chiave spalanca l’orizzonte”, il progetto promosso da Caritas Italiana al quale ha partecipato anche la Fraternità laicale della Casa di Nazareth, un’associazione che ha la sua sede storica a Sorso (Sassari) e diramazioni in varie parti d’Italia, tra cui Lombardia e Veneto.

A due passi da Iglesias (provincia del Sud Sardegna, una cinquantina di chilometri da Cagliari), c’è una delle comunità di questa realtà nata nel 1998. «Siamo partiti accogliendo 16 adolescenti, 9 maschi e 7 femmine, ma il numero cresce con il passare delle settimane», spiega il presidente Giuseppe Sanna. «Tutti i partecipanti hanno ripreso a frequentare la scuola, dopo un lungo e difficile periodo che ha fatto emergere problematiche di vario genere. Le restrizioni dovute al Covid hanno causato danni incalcolabili: non solo per questi ragazzi, ma questa è certamente una fascia d’età molto vulnerabile. Spesso le famiglie non prestano il dovuto ascolto o l’attenzione necessaria. Il cattivo uso dei telefonini e dei social, anche a causa della solitudine, ha fatto il resto. Qui arrivano ragazzi bipolari, autistici, con problemi psichici di varia natura, ma cerchiamo di aiutare tutti coloro che hanno fragilità o problemi relazionali. La loro è una generazione che mostra un ottimo livello di intelligenza ma sono spaesati, se non addirittura spaventati: prima la pandemia, ora una crisi internazionale che coinvolge tutti. Grazie a questo progetto, le richieste di condivisione da parte dei minori nei confronti dei genitori o degli educatori sono aumentate sensibilmente nel corso del tempo».

«Per noi la “chiave” significa incoraggiare questi minori a capire quali sono le loro capacità, i loro talenti», precisa Simone Cabitza, coordinatore del progetto. «Devono poter fondare un nuovo protagonismo nella vita di tutti i giorni. Abbiamo collaborato con il Servizio di neuropsichiatria infantile e articolato l’intervento in sei botteghe esperienziali ed espressive, ognuna dedicata a una materia: dalla scrittura creativa al web video, dalla fabbricazione digitale ai costumi, dalla musica ai graffiti. Ed è stupefacente vedere come gli stessi protagonisti si meraviglino talvolta di scoprire di avere capacità che non avrebbero mai immaginato di possedere. È bellissimo vedere come alcuni di loro, che non spiccicavano parola, si stanno aprendo con i loro coetanei e i mentori delle varie materie».

Questo progetto, sottolinea Cabitza, si spiega in due modi: fare con e fare per. «Fare con significa mettere questi ragazzi nelle condizioni di fare tra pari, dopo anni di ritiro sociale. Ma occorre anche fare per, cioè consentire loro di guardare l’umanità sofferente, malata e solitaria che riguarda altre categorie di bisogno, come gli anziani e i bambini ricoverati negli ospedali pediatrici. Vogliamo permettere a questi ragazzi di fare qualcosa di concreto per quelle persone: per esempio, con la stampa 3D riproduciamo manufatti appartenuti agli anziani ospitati nelle case di riposo; oppure realizziamo abiti che poi partecipano a sfilate di moda di beneficenza, il cui ricavato va agli ospiti dell’Anffas per i percorsi di inserimento lavorativo».

La tenuta è stata data alla Casa di Nazareth, in comodato d’uso per 20 anni, dagli eredi di una famiglia di origine toscana che abitano a Iglesias, a due condizioni: mantenere e potenziare la destinazione d’uso e promuovere azioni di prossimità e solidarietà, soprattutto a favore dei giovani. «Il lavoro è un elemento abilitante e riabilitante. Siamo appena agli inizi, dunque c’è tanto da fare, ma cerchiamo di essere fedeli alla nostra missione», commenta Cabitza. «Il vigneto lo scorso anno ha prodotto 750 litri di vino di quattro tipologie, ma ora ha bisogno di una rigenerazione. Con i ragazzi, il lavoro è in continua mutazione. Attraverso un protocollo condiviso di corresponsabilità, è stato possibile diminuire al minimo l’incidenza di comportamenti e linguaggi aggressivi. Lavoriamo per consentire una mutualità interna al gruppo, per cui i ragazzi tra di loro si incoraggiano e sostengono nei momenti di maggiore fragilità e stanchezza. Sono nate delle amicizie e persino delle prassi solidali tra ragazzi e genitori. La dimensione creativa e quella immaginifica, la libertà di espressione, hanno avuto in loro un effetto rigenerativo e riabilitante, perché da un lato ha consentito di mettersi in contatto con la propria interiorità, scoprendo riserve di salute e abilità che permettono di rappresentarsi come persone efficaci, più competenti e quindi con la possibilità di essere protagonisti nelle relazioni di vita; dall’altro, questa esperienza consente loro di strutturare gli apprendimenti e renderli generalizzabili in molti ambiti della vita. In questo ambito si inserisce anche il progetto “Officina creativa per il volontariato”, finanziato dalla Fondazione di Sardegna».

Angela Scarpa, assessora alle Politiche sociali, giovanili e dell’inclusione sociale del Comune di Iglesias, plaude al lavoro svolto da Casa di Nazareth: «Un progetto di grande rilievo, è molto importante mettere a disposizione dei ragazzi spazi di condivisione come questo, dove possano ritrovarsi. Si riprendono la socialità dopo un periodo in cui l’hanno fatta da padroni il telefonino e gli ambienti social, dove i ragazzi tendono a isolarsi. Fondamentale, poi, l’attività dei laboratori, in un momento storico in cui anche la comunità europea punta su queste iniziative che consentono ai ragazzi di accumulare competenze. Imparano pure guardandosi l’un l’altro: i più grandi pedagogisti spiegano che l’apprendimento avviene anche per imitazione. Attraverso i modelli positivi che sono i loro tutor e gli educatori trovano una dimensione nuova, diversa, e magari possono acquisire professionalità che rischiano di sparire, come il laboratorio di falegnameria. Si mescolano gli antichi mestieri alle nuove professioni, e si coltivano i sogni attraverso esperienze concrete».

Qui la video-intervista a Simone Cabitza, coordinatore del progetto “Una chiave spalanca l’orizzonte”.