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Solidarietà & Volontariato

Tre anni di Covid, Misericordie d’Italia: «Volontari, grazie!»

Una nota della Confederazione nazionale, nella Giornata dedicata agli operatori sanitari, rende omaggio al coraggioso contributo dei volontari "con le giacche giallo-ciano" sin dai primi giorni dallo scoppio della pandemia. Il confratello Alessandro della Misericordia di Arese (Mi) ricorda i primi servizi nelle case dei cittadini bergamaschi ammalati

di Giampaolo Cerri

Nell'imminenza del terzo anniversario della pandemia da Covid-19 in Italia e nella Giornata dedicata agli operatori sanitari , le Misericordie d'Italia ricordano l'impegno di tanti volontari.

«A quasi tre anni dallo scoppio della pandemia», recita una nota diffusa stamane, «la parola che rimane nella nostra mente è sempre la stessa: gratitudine». «Oggi», proseguono le Misericordie, «giornata dedicata al personale sanitario, vogliamo ricordare quanto la passione, la dedizione e la compassione siano i pilastri di un lavoro che molto spesso viene svolto per vocazione. Tanti volontari delle Misericordie svolgono queste professioni nell’orario di lavoro e nel tempo libero indossano la divisa giallociano: un servizio impagabile. Grazie a loro – e a tutti nostri confratelli e consorelle – per esserci sempre, per lavorare duramente e per riuscire a fare la differenza nella vita delle persone che soffrono».

La nota dà voce poi a un volontario: «"Per un servizio come il nostro, fatto di contatto, di scambio e di vicinanza, è stato davvero difficile entrare nelle case della bergamasca con dispositivi di protezione talmente invasivi da renderci tutti uguali, simili a dei fantasmi” racconta commosso Alessandro Bernacchi, volontario della Misericordia di Arese (Milano) che in quei giorni di marzo 2020 ha prestato servizio lontano da casa, nei paesi più colpiti dal nemico invisibile. “I servizi erano inesorabilmente tutti uguali, con persone in sofferenza respiratoria. Ho addirittura visto un saturimetro scendere fino al 13% ed era appena l’inizio di quei terribili due mesi trascorsi a supporto dei soccorritori di Bergamo e provincia – continua Alessandro. Con il personale sanitario si era formato un legame unico, eravamo un’unica grande famiglia al servizio di persone sopraffatte dal terrore di non farcela. Chiunque salisse in ambulanza temeva di non fare mai più ritorno a casa”».


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