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Bayanov: «La Russia è sprofondata nella catastrofe, ecco perchè»

Alexander, collega siberiano esule da giugno racconta il disastro russo, un Paese in cui «è stata introdotta la censura di guerra senza che fosse dichiarato lo stato di guerra. E ricorda la sua collega Maria Ponomarenko che nel giorno della sua ingiusta condanna ha invitato tutti a “Credete nel bene, non state fermi”»

di Alexander Bayanov

Nel giorno delle menzogne e dei deliri di Vladimir Putin, noi pubblichiamo l'intervento di Alexander Bayanov (nella foto), russo, anzi “siberiano” come lui tiene a precisare, esule dal giugno scorso, come racconta nell'intervento che ha fatto ieri sera all'evento promosso da VITA, Teatro Oscar e Mean, “Occupy Ucraina”.

È già passato un anno dall’inizio della guerra. Un anno fa, il primo marzo duemilaventidue, il governo russo ha bloccato centinaia e centinaia di media indipendenti, quasi diecimila siti in internet, solo per il fatto che chiamavano guerra la guerra. Nel Paese, di fatto, contro qualunque legge, contro la stessa Costituzione, è stata introdotta la censura di guerra senza che fosse dichiarato lo stato di guerra.

Il mio portale, Tayga info, che si occupava della Siberia, era tra i trenta media più influenti della Russia. Questa realtà è stata distrutta dall Governo con una sentenza del tribunale, per avere descritto ciò che stava accadendo utilizzando la parola “guerra”. Dopo numerose minacce a me e alla mia famiglia siamo stati costretti a scappare in Europa, con una valigia a testa. Abbiamo lasciato le nostre madri anziane, i nostri amici e … le nostre illusioni. Io, mia moglie Margarita e le nostre due figlie siamo arrivati in Italia demoralizzati e stanchi, e solo una volta usciti dall’aeroporto abbiamo cominciato a respirare. Perché dopo l’inizio della guerra in Ucraina, questa follia che dura già da un anno, abbiamo vissuto trattenendo il fiato, e solo quando siamo stati abbracciati dagli amici italiani abbiamo potuto respirare di nuovo. È molto difficile descrivere questa condizione a parole: sei teso come una corda, ti trovi ogni momento sottoposto a stress e tensione.

Centinaia e centinaia di migliaia, secondo alcune valutazione già più di un milione di persone, giornalisti, attivisti politici, operatori della società civile e semplici cittadini che hanno rifiutato di arruolarsi sono stati costretti a lasciare la Russia. Si sono trovati nella posizione dei rifugiati, hanno perso tutto, anche la propria Patria, quella che conoscevano fino allo scoppio della guerra. La Russia è sprofondata nella catastrofe, paragonabile solo alla guerra civile.

Ma molte persone coraggiose e leali sono rimaste in Russia. Non possono lasciare il Paese per varie ragioni. In Russia ormai c’è un regime, e non ho timore a chiamarlo con il suo nome: una dittatura. Mi è difficile capire come sia stato possibile in questi ventitré anni passare dalla democrazia alla dittatura, con lo stesso capo di Stato, che nei diversi periodi si è comportato diversamente, a volte contraddicendosi. Ma questo è un altro discorso, che abbiamo già cominciato sulle pagine di Vita, a cui potete abbonarvi o che potete leggere su internet.

Una delle persone che ha contrastato il regime è stata una mia collega, Maria Ponomarenko, madre di due bambini piccoli, una giornalista siberiana come me. Il quindici febbraio di quest’anno è stata condannata a sei anni di prigione, per aver postato una notizia in merito alla morte di diverse persone dopo il bombardamento sul teatro di Mariupol. Il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a nove anni di prigione. Chi commette un omicidio a volte riesce ad ottenere una pena minore. E’ stata condannata a sei anni per la verità, per le sue parole. Allo Stato non è necessario, ora, ricorrere alle repressioni di massa, come sotto Stalin o sotto Hitler: è sufficiente punire delle persone conosciute, note, perché la paura entri nel cuore di tutti, anche con l’aiuto dei mezzi di comunicazione fedeli al regime, che non posso e non voglio chiamare stampa.

Alla vigilia della sentenza, Maria ha pronunciato un ultimo discorso in tribunale. Vorrei condividere con voi le parole di questa donna coraggiosa:

“Ho vissuto molto bene fino al duemila e venti, quando hanno cominciato a farmi pressione (Maria si occupava di inchieste sulla corruzione nella sua regione). Non avevo niente di cui lamentarmi e forse avrei solo dovuto (come la maggior parte delle persone) chiudere gli occhi e seguire la corrente. Ma non posso farlo. Sono arrivata ad un momento in cui i soldi hanno smesso di essere la cosa più importante: c’è qualcosa che porti con te nella tua anima, nella tomba non porterò con me nemmeno un centesimo. Sono venuta al mondo nuda, nella tomba sarò nuda. Cosa resterà dopo di me? La mia anima? E se essa sarà segnata solo dall’interesse personale cosa succederà? Non voglio avere nulla di cui vergognarmi, non voglio che i miei figli si vergognino, voglio poter pregare con dignità davanti all’icona nell’angolo della cucina, come mia nonna che ha vissuto una vita giusta

Se la guerra fosse finita subito, a febbraio o a marzo dello scorso anno, sarebbe ancora stato possibile fare qualcosa, cambiare qualcosa. Ma ora, qualunque cosa accada, quel peccato (la guerra) dovremo portarlo tutti, tutto il popolo. Anche se fin dall’inizio sono stata contro la guerra, sarà anche un mio peccato.

Siamo molti (ad essere contro la guerra). Quando sei da solo a casa tua, sembra che sia solo tu a pensarla così. Ma no, non sei solo! Comincia a parlare, comincia a fare qualcosa, non restare fermo, non tacere.

Il nostro governo ora fa paura, è gente senza principi. Perché sono così? Perché i cittadini non si fanno sentire, e loro non sentono la propria responsabilità per il futuro. Dicono che della repressione sia colpevole Stalin: no, sono colpevoli i 6 milioni di delatori, e gli oltre 300 milioni di persone che hanno taciuto, che hanno guardato mentre interi popoli venivano perseguitati, scacciati dalle proprie case, imprigionati. Quando ci renderemo conto di questa nostra responsabilità, quando ci prenderemo la responsabilità per il passato, allora tutto cambierà. E ci sono già le premesse perché ciò avvenga.

Credete nel bene, non state fermi, scrivete lettere! Per chi è in prigione, ricevere una lettera è come mettere le ali. Smetti di sentirti un recluso. Sei libero. La libertà è dentro di noi! Ci incontreremo nella libertà. I regimi totalitari diventano sempre più duri prima della loro caduta.

Da ultimo, voglio dire che non mi sono mai occupato attivamente di politica, per la mia professione, per essere professionalmente neutrale e accessibile a persone con diversi punti di vista politici. Ma a volte arriva il momento in cui è necessario prendere posizione. Non solo non favorire il male puro, ma neanche rimanere in silenzio. Per questo voglio terminare con lo slogan della resistenza politica russa: “La Russia sarà libera! Libertà per i prigionieri politici!”


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