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Il 2×1000 e lo strabismo del ministro Sangiuliano sul “sistema cultura”

Nella prossima dichiarazione dei redditi, nonostante le promesse, il 2 per mille alla cultura non è stato reintrodotto. Un'ennesima disattenzione, che ha la sua radice nel fatto che per le istituzioni il settore culturale è sostanzialmente il patrimonio artistico materiale, mentre le organizzazioni culturali in realtà usano la cultura come leva di inclusione sociale, sviluppo locale, cura della persona. Una dimensione che anche il Terzo settore non riconosce appieno. Ministro Sangiuliano, ci ripensi

di Massimo Coen Cagli

Nel disinteresse generale circa la sostenibilità del nostro sistema culturale, duramente colpito dalla crisi economica legata al Covid e al conflitto russo-ucraino, apprendiamo che il 2 per mille alla cultura non è stato inserito nella prossima denuncia dei redditi, nonostante il precedente ministro, Dario Franceschini, lo avesse promesso e l’attuale ministro, Gennaro Sangiuliano, lo abbia inserito tra i possibili provvedimenti da adottare subito. Durante l’evento "Più Fundraising Più Cultura" del dicembre 2022, infatti, incontrando i rappresentanti delle Commissioni cultura di Camera e Senato, si è appreso che Sangiuliano, nel corso della prima audizione tenuta alle commissioni nel dicembre scorso, ne ha prospettato la reintroduzione.

Il 2 per mille alla cultura – introdotto la prima volta nel 2016 e riproposto in modo sperimentale nel 2021 – è uno strumento di sussidiarietà orizzontale destinato alle associazioni costituite da almeno 5 anni che nel proprio statuto o atto costitutivo riportino lo svolgimento o la promozione di attività culturali. L’elenco di tali organizzazioni viene stilato dal ministero della Cultura sulla base di una richiesta di iscrizione.

Certo non possiamo pensare che il 2 per mille alla cultura di per sé possa essere risolutivo rispetto ai tanti problemi di sostenibilità che affrontano le organizzazioni culturali, ma il suo inserimento tra le possibili scelte per i contribuenti avrebbe avuto un significato e un peso simbolico non indifferente.

Il ricavato del 2 per mille alla cultura nel 2021 è stato di soli 11,7 milioni di euro. Questo è dovuto principalmente al fatto che sia stato proposto male, in modo episodico, non pubblicizzato adeguatamente sia verso i possibili beneficiari sia verso i contribuenti. L’avviso alle associazioni per presentare domanda è stato pubblicato un mese prima e non pubblicizzato, anche perché il ministero riteneva che i potenziali beneficiari fossero appena qualche migliaio di organizzazioni: non stupisce quindi che il ministero si ritenesse soddisfatto di 3.060 organizzazioni iscritte. Il censimento Istat del non profit invece ha calcolato che le organizzazioni non profit operanti in campo culturale sono non meno di 57mila e più probabilmente sono oltre 80mila, posto che molte associazioni che si occupano di ricreazione e socializzazione sono a “base culturale”.

Perché allora il 2 per mille alla cultura è stato promosso in modo così svogliato e approssimativo? A mio avviso perché le istituzioni hanno ancora un’idea molto “amministrativa” del settore culturale: fatto sostanzialmente di beni culturali e artistici, principalmente materiali (aree archeologiche, musei, teatri, ecc..), di proprietà dello Stato (e in parte dei Comuni) e di grandi istituzioni (o come si dice oggi, di grandi attrattori) che vanno gestiti in quanto bene pubblico e sviluppati in quanto funzionali ad una crescita del turismo e dell’economia.

Perché il 2 per mille alla cultura è stato promosso in modo così svogliato e approssimativo? A mio avviso perché le istituzioni hanno ancora un’idea molto “amministrativa” del settore culturale. In realtà il nostro sistema culturale è molto più variegato, fatto di una molteplicità di soggetti di natura e storia differente, che intrecciano la cultura con altri aspetti importanti: l’inclusione sociale, lo sviluppo locale, la cura della persona, il rafforzamento della comunità, e molto altro ancora.

In realtà il nostro sistema culturale è molto più variegato, fatto di una molteplicità di soggetti di natura e storia differente, che intrecciano la cultura con altri aspetti importanti: l’inclusione sociale, lo sviluppo locale, la cura della persona, il rafforzamento della comunità, e molto altro ancora. Mentre per il patrimonio pubblico vi sono una serie di strumenti di sostegno, per l’altra componente del sistema culturale gli strumenti sono scarsi se non assenti. Uno di questi poteva essere il 2 per mille e il suo reinserimento poteva essere il segnale che la politica culturale del nostro Paese si occupasse, finalmente, anche di questi altri attori sociali: cooperative culturali, associazioni, comitati, spesso operanti in partnership con le amministrazioni locali (anch’esse sostanzialmente lasciate da sole a gestire un immenso patrimonio che per il 70% è in stato di abbandono o comunque non utilizzato e valorizzato).

Mentre per il patrimonio pubblico vi sono una serie di strumenti di sostegno, per l’altra componente del sistema culturale gli strumenti sono scarsi se non assenti. Le organizzazioni culturali non hanno né il 2 per mille né la possibilità di usare il 5 per mille destinato agli Ets.

Questa sottovalutazione e questa mancanza di visione strategica circa il ruolo fondamentale svolto dalle organizzazioni culturali riguarda anche il Terzo settore. Tutto l’itinerario che ha portato alla riforma e al Codice del Terzo settore ha sempre tenuto ai margini l’ambito culturale, mettendo al centro delle interlocuzioni soprattutto quel Terzo settore che si occupa di assistenza, servizi sociali, aree di svantaggio, ecc. Eppure la cultura rientra tra gli interessi generali che gli Ets possono e devono perseguire. Ma raramente, durante l’itinerario di riforma del Terzo settore, si è vista una interlocuzione con queste decine di migliaia di organizzazioni culturali. L’esito di questa “assenza” è che le organizzazioni culturali sono oggi sospese nel limbo: da un lato non sono riconosciute come soggetto importante per le politiche culturali e dall’altro sono fuori dal Terzo settore. La grande maggioranza delle organizzazioni culturali infatti non si sente parte del Terzo settore e guarda la riforma e l’iscrizione al Runts come un fatto amministrativo piuttosto che come un’opportunità.

Questa sottovalutazione e questa mancanza di visione strategica circa il ruolo fondamentale svolto dalle organizzazioni culturali riguarda anche il Terzo settore. L’esito di questa “assenza” è che le organizzazioni culturali sono oggi sospese nel limbo: da un lato non sono riconosciute come soggetto importante per le politiche culturali e dall’altro sono fuori dal Terzo settore.

Questo aspetto è importante perché le organizzazioni culturali non hanno né il 2 per mille né la possibilità di usare il 5 per mille destinato agli Ets. Vi è quindi una fetta rilevantissima di organizzazioni che di fatto animano ogni giorno la vita delle comunità e che a pieno diritto contribuiscono alla qualità del welfare delle comunità e degli individui, che resta oggi fuori da ogni politica di sussidiarietà fiscale.

La vicenda del 2 per mille mette quindi in evidenza l’urgente necessità di dotarsi di una policy per il sostegno di queste realtà, che veda impegnati responsabilmente sia le istituzioni come il Governo e il ministero della Cultura sia le organizzazioni di rappresentanza del Terzo settore che da questo punto di vista dovrebbero guardare alla cultura come un settore di punta e non come un ambito secondario.

Come sempre il problema del fundraising e quindi degli strumenti che permettono donazioni e altri tipi di sostegno al cosiddetto associazionismo culturale è un problema di strategia e non un problema meramente amministrativo e fiscale. Una strategia che manca sia nel ministero competente, sia nel Terzo settore.

*Massimo Coen Cagli è direttore scientifico della Scuola di Fundraising di Roma e organizzatore di “Più fundraising Più Cultura” l’unico evento italiano dedicato interamente alla sostenibilità del sistema culturale.


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