Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Attivismo civico & Terzo settore

Hikikomori, in Italia sono 54mila

Lo stima il primo studio nazionale sul livello quantitativo dell’isolamento volontario tra la popolazione studentesca. La ricerca condotta dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr è stata promossa dal Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada. A Torino il 5 maggio prossimo in programma un seminario per operatori, educatori e insegnanti

di Antonietta Nembri

Quanti sono gli Hikikomori in Italia? Per rispondere a questa domanda l’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa – Cnr-Ifc ha condotto il primo studio nazionale volto a fornire una stima quantitativa dell’isolamento volontario nella popolazione adolescente. Il fenomeno che viene identificato con il termine giapponese Hikikomori traducibile come “ritirati sociali” e che indica la tendenza, nei giovani o giovanissimi, di smettere di uscire di casa, di frequentare scuola e amici, per chiudersi nelle proprie stanze e limitare al minimo i rapporti con l’esterno, mantenendo i contatti prevalentemente attraverso Internet. Il fenomeno è ora al centro di uno studio promosso dal Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada, volto a definire una prima stima quantitativa attendibile: il report integrale su queste “Vite in disparte” è disponibile online sul sito gruppoabele.org.

Una nota de Gruppo Abele ricorda che la ricerca ha preso le mosse dallo studio Espad®Italia (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs, condotto annualmente dal Cnr-Ifc rispetto al consumo di sostanze psicoattive), coinvolgendo un campione di oltre 12mila studenti rappresentativo della popolazione studentesca italiana fra i 15 e i 19 anni.
I ragazzi sono stati intervistati attraverso un apposito set di domande volte a intercettare sia i comportamenti che le loro cause percepite: i risultati si basano sull’autovalutazione dei partecipanti stessi. «Il 2,1% del campione attribuisce a se stesso la definizione di Hikikomori: proiettando il dato sulla popolazione studentesca (fonte Ministero dell’Istruzione – dati 2018) 15-19enne a livello nazionale, si può quindi stimare che circa 54mila studenti italiani di scuola superiore si identifichino in una situazione di ritiro sociale», afferma Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr-Ifc. «Questo dato appare confermato dalle risposte sui periodi di ritiro effettivo: il 18,7% degli intervistati afferma, infatti, di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e di questi l’8,2% non è uscito per un tempo da 1 a 6 mesi e oltre: in quest’area si collocano sia le situazioni più gravi (oltre 6 mesi di chiusura), sia quelle a maggiore rischio (da 3 a 6 mesi). Le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44mila ragazzi a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67mila giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo».

L’età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di ritiro è quella che va dai 15 ai 17 anni, con un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione già nel periodo della scuola media.
Le differenze di genere si rivelano nella percezione del ritiro – i maschi sono la maggioranza fra i ritirati effettivi, ma le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori – così come nell’utilizzo del tempo, con le ragazze più propense al sonno, alla lettura e alla tv, mentre i ragazzi al gaming online.
Fra le cause dell’isolamento, assume un peso determinante il senso di inadeguatezza rispetto ai compagni: «L’aver subito episodi di bullismo, contrariamente a quanto si possa ritenere, non è fra le ragioni più frequenti della scelta. Mentre si evince una fatica diffusa nei rapporti coi coetanei, caratterizzati da frustrazione e auto-svalutazione», aggiunge Sonia Cerrai (Cnr-Ifc). «Un altro dato parzialmente sorprendente riguarda la reazione delle famiglie: più di un intervistato su 4, fra coloro che si definiscono ritirati, dichiara infatti che i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande. Il dato è simile quando si parla degli insegnanti».

Di fronte ai dati emersi, il Gruppo Abele – ricorda la nota – intende stimolare una riflessione approfondita, anche attraverso un seminario per operatori, educatori e insegnanti, che sarà realizzato a Torino il 5 maggio prossimo.
Prosegue intanto con un intervento educativo sperimentale, iniziato nel 2020, denominato Nove ¾ . Come spiega Milena Primavera, responsabile del percorso: «Il progetto (vincitore di un premio dell’Accademia dei Lincei che ha finanziato anche lo studio in oggetto) si è fatto finora carico di una quarantina fra ragazzi e ragazze le cui famiglie non trovavano risposta alla chiusura e all’isolamento dei loro figli. Per loro si è attivato un affiancamento a domicilio, con la possibilità di frequentare un centro laboratoriale dedicato, dove si svolgono attività individuali o in piccolo gruppo con “maestri di mestiere” a partire dagli interessi espressi dai ragazzi. Ai genitori è offerto, in parallelo, un sostegno psicologico volto ad acquisire maggiori strumenti per gestire le difficoltà dei figli. Una prima sperimentazione, in rete con il sistema scolastico e i servizi socio-sanitari, per tentare di accompagnare i ragazzi isolati dal mondo a un diverso progetto di vita».

in apertura photo by Andrik Langfield on Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA