Welfare & Lavoro

Milano, il diritto all’asilo? È accampato in via Cagni

Sono mesi che ogni fine settimana davanti alla sede dell’Ufficio immigrazione della Questura di Milano, decentrato in periferia dalla fine del 2021, centinaia di migranti cercano di accedere alle procedure di protezione internazionale, ma solo 120 persone ottengono l’appuntamento per la settimana successiva. La denuncia delle associazioni arriva adesso anche sul tavolo dell’Unhcr

di Antonietta Nembri

Da alcune settimane le scandalose condizioni in cui sono costretti i richiedenti asilo che cercano di accedere agli uffici della Questura di Milano, decentrati in via Cagni 15 (periferia nord del capoluogo lombardo) hanno guadagnato le pagine dei quotidiani nazionali. Centinaia di persone dal pomeriggio della domenica si accampano nei giardini pubblici vicini sperando di riuscire ad avere accesso alla procedura per ottenere lo status di rifugiato. Dietro l’area transennata restano le speranze perché quando intorno alla mezzanotte si apre il varco per riuscire a essere tra i fortunati 100/120 che ottengono un primo appuntamento, il caos è garantito. A contenerlo gli agenti della polizia in tenuta antisommossa (come racconta il video della Comunità di Sant'Egidio Milano).


Una situazione che di settimana in settimana si è fatta più difficile come raccontano i volontari delle organizzazioni che da mesi assistono gli 800/1000 migranti (donne, uomini, bambini) che ogni weekend si presentano anche con le tende sperando di rientrare tra i vincitori di questa assurda lotteria. Una situazione disumana nella pretesa civile Milano perché una volta che viene scelto il gruppo che accederà agli uffici nel corso della settimana tutti gli altri restano lì senza mezzi pubblici (la vicina stazione Ponale della metropolitana è chiusa) attendendo inutilmente il mattino davanti all’Ufficio immigrazione della Questura.

«Ogni settimana ci sono mille persone che cercano di ottenere l’appuntamento non essendo inseriti in nessun circuito. Qui tra i richiedenti asilo ci sono sudamericani, egiziani, marocchini e poi tante altre nazionalità. Per lo più sono appena arrivati dalla rotta balcanica o dagli sbarchi. L’unico criterio della Questura è quello di dare la precedenza alle famiglie con minori ed è una cosa positiva», racconta Stefano Pasta del servizio profughi della Comunità di Sant’Egidio. «L’ultima volta (domenica 26 febbraio-ndr) c’erano meno persone perché oltre a fare freddo pioveva, ma erano comunque circa 600 e tra loro un ragazzo egiziano che va in via Cagni da tre mesi e anche questa volta non ha ottenuto l’accesso all’appuntamento».

A monitorare la situazione, fin dallo spostamento dell’Ufficio immigrazione dalla centralissima via Montebello negli ultimi mesi del 2021 c’è il Naga che da gennaio di quest’anno ha deciso di essere presente con un presidio fisso in via Cagni. La prima lettera alla Questura di Milano per denunciare la situazione lamentando l’assenza di una prova della manifestazione di volontà di richiedere asilo politico, senza la quale l’interessato risulta assolutamente impossibilitato a provare il suo status di persona regolarmente soggiornante risale al novembre del 2021.
«La nostra presenza è per offrire una tutela giuridica minima. Arriviamo verso le ore 20 della domenica che è il momento in cui troviamo la maggior parte delle persone per fare un’azione di monitoraggio» racconta Riccardo Tromba volontario dello sportello legale del Naga, nonché vicepresidente dell’associazione. La presenza dei volontari del Naga e di altre organizzazioni come Mutuo Soccorso Milano e Drago Verde è divenuta costante dall’inizio dell’anno. «Alle persone che sono presenti facciamo sottoscrivere sotto i nostri occhi la manifestazione di volontà di richiedere asilo», spiega Tromba. «Il fatto è che le persone che non vengono pescate per gli appuntamenti settimanali non hanno in mano nulla che attesti che loro erano presenti in via Cagni per chiedere asilo. Quindi noi facciamo firmare loro un foglio che scannerizziamo e poi mandiamo via pec alla Questura. Non è un atto ufficiale, ma è qualcosa che può salvare queste persone dall’espulsione. Ma non è l’unica attività che facciamo».

I volontari dello sportello legale del Naga, infatti, con gli interpreti aiutano in tutti i modi sia dal punto di vista legale sia anche sanitario «due settimane fa ci ha contatto un giovane che aveva un’ernia, stava molto male e noi lo abbiamo indirizzato al nostro ambulatorio. In pratica facciamo unità di strada, ma non portiamo generi di conforto per scelta», spiega Tromba. «Da una parte ci sembrava di avvallare la scelta di questo metodo anche se dall’altra parte potrebbe essere utile per quanti sono costretti a rimanere lì visto l’isolamento della zona e l’assenza di mezzi pubblici fino al mattino. Avevamo avuto anche un’offerta di aiuto da un’associazione, Robb del Mat, ma non è andata a buon fine».

Ma quello che resta da capire è come mai si sia creato questo collo di bottiglia. «Solo 120 persone a settimana che accedono (nei successivi cinque giorni lavorativi) al primo colloquio in cui vengono fotosegnalati e quindi inviati a un secondo colloquio che aspettano per alcuni mesi restando intrappolati in una sorta di limbo per avere il modulo C3 (quello su cui fare ufficialmente domanda di asilo) perché solo dopo il C3 si ottiene il permesso di soggiorno, sono decisamente pochi per una realtà come Milano», sottolinea Tromba. Che continua: «Abbiamo come l’impressione che sia sul fronte asilo sia su quello dell’accoglienza si stia operando un contingentamento dei numeri eppure la legge non permette che ci sia un numero massimo di richiedenti asilo, ma nei fatti c’è come un numero chiuso». La questione di via Cagni, per il rappresentante del Naga è cresciuta nell’ultimo anno con il risultato che con questi numeri ridotti non si riesce a rispondere a chi vuol far domanda d’asilo: su un migliaio di accampati in via Cagni poco più di cento ammessi. «Non si esaurirà mai la coda. Almeno la Questura riuscisse a fare 250 – 300 appuntamenti a settimana, ma pare non siano in grado».

Ora il problema di via Cagni è esploso e diverse associazioni (Arci Todo Cambia, Naga, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione – Asgi, Cambio Passo, Comunità di Sant’Egidio Milano, Mediterranea Saving Humans, Mutuo Soccorso Milano e Rete Milano) hanno inviato una lettera all’Unhcr per chiedere l’intervento dell’Agenzia delle Nazioni Unite per la protezione di richiedenti asilo e rifugiati. In una nota si sottolinea non solo che la condizione imposta alle persone che vogliono presentare domanda di asilo a Milano “ha superato ogni soglia di tollerabilità: le lunghe ore di attesa al gelo, l’assenza di qualunque struttura di conforto, e soprattutto la mancanza di qualunque certezza su tempi e modalità di ingresso, compromettono seriamente la salute fisica e psicologica delle centinaia di persone che ogni domenica si affollano in via Cagni”, considerando poi che i quattro quinti di loro sanno già che non riusciranno a entrare.

La manifestazione di volontà di richiedere la protezione internazionale va registrata immediatamente, il relativo procedimento va formalmente avviato entro un massimo di 13 giorni, e sin dalla manifestazione di volontà le persone richiedenti asilo sono titolari di specifici diritti. Tuttavia, continua la nota “La Questura di Milano da mesi sta rendendo impossibile e pericoloso l’accesso all’Ufficio Immigrazione alle persone che intendono chiedere protezione internazionale”. Da qui la decisione di scrivere all’Unhcr chiedendo l’intervento nei confronti delle autorità competenti. Inoltre, conclude la nota «in accordo con le pressanti richieste di supporto ricevute dalle persone incontrate nel corso delle nostre attività di monitoraggio e assistenza a richiedenti asilo, abbiamo indetto per giovedì 9 marzo alle ore 11 un presidio in piazza San Babila in prossimità degli uffici milanesi dell’Unhcr, a cui chiederemo di ricevere una delegazione di richiedenti asilo, esponenti delle associazioni e amministratori locali per ascoltare dalla loro viva voce quanto hanno da raccontare e da rivendicare».
Piazza san Babila è nel centro di Milano come lo era la precedente sede dell'Ufficio immigrazione della Questura, con il presidio del prossimo 9 marzo il problema dei richiedenti asilo ritornerà fisicamente centrale anche per i milanesi.

Le immagini e il video sono stati realizzati da Comunità Sant'Egidio Milano


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