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Strage di Cutro, niente più lacrime per i sopravvissuti reclusi e trattati come animali

Da nove giorni trascorrono le loro giornate dentro i due capannoni che sorgono nell'area del Cara di Crotone, costretti a dormire su letti di ferro anche senza materassi, senza lenzuola e solo in parte protetti dalle classiche coperte militari di lana. Senza contare la promiscuità igienica dovuta al fatto che uomini e donne hanno a disposizione un unico bagno. Condizioni scoperte quasi per caso, denunciate dal deputato di Sinistra Italiana Franco Mari, sollecitato dalla docente universitaria Alessandra Sciurba, a Crotone anche come "Clinica legale Migrazioni e Diritti” dell’Ateneo palermitano

di Gilda Sciortino

Giusto e doveroso piangere le vite spezzate di chi credeva che dopo quei cento metri di mare avrebbe potuto toccare terra e, invece, ora giace sul fondo delle fredde acque calabresi.

Qualcuno, però, si è chiesto come mai tra quelli che stanno versando fiumi di lacrime sulle bare dei loro cari che attendono da giorni di tornare a casa loro non ci sono i familiari che erano sull’imbarcazione e che solo per caso sono sopravvissuti al naufragio?

Basterebbe che si aprissero le porte del Cara e si scoprirebbero due capannoni in cui circa 80 persone sono da 9 giorni recluse in condizioni al limite con l’inimmaginabile, senza potere dire a fare nulla. Solo grazie all’intervento di Alessandra Sciurba, docente universitaria, a Crotone con una parte della “Clinica legale Migrazioni e Diritti” dell’Ateneo palermitano, che il deputato di Sinistra Italiana, Franco Mari, ha scoperto ciò che in una situazione come questa non doveva essere neanche pensato.

«Ero andata a Crotone per capire se c’era da dare una mano – racconta la Sciurba –. Sapevo e ho avuto la conferma che ci sono tantissime persone straordinarie, come quelle dell’associazione ”Sabir”, lo stesso Comune di Crotone con i suoi assistenti sociali. Il problema, però, è che manca il coordinamento centrale, lo Stato, il Governo, non c’è nemmeno chiarezza su chi e come deve rimpatriare le salme. Le persone sono disperate».

Sollevato, però, il velo della commozione e della solidarietà internazionale, superati i cancelli di luoghi nei quali si presume ci debba essere tutta l’empatia necessaria per affrontare tragedie umane di tale portata, lo scenario che si apre davanti è quello che tanto assomiglia non all’Inferno, perchè sarebbe troppo facile, ma al Purgatorio: un luogo nel quale si entra per scontare una pena, puniti sol perché si è sopravvissuti.

«Sono distribuiti in due capannoni, uno dei quali si sono 40 persone con 28 letti, trattati come bestiame. Le donne in mezzo a uomini adulti con un solo bagno in assoluta promiscuità. La metà – aggiunge Alessandra Sciurba – dorme su letti di ferro con materassi di gommapiuma senza lenzuola; altri sulle classiche panchine di ferro messe in fila l’una dopo l’altra su coperte militari di lana ma senza materasso. Niente tavoli e sedie. Spazi che non hanno neanche l’agibilità per le merci, figuriamoci per le persone. Questa la parte umana. Poi c’è quella legale che deve considerare il fatto che sono state confinate, fatte uscire solo due volte per andare a vedere le salme dei loro cari e riportati qui senza potere stare con le famiglie venute per supportarle».

«La cosa drammatica – tuona Franco Mari – è che sono affidati alla responsabilità dello Stato che, invece di aiutarli e sostenerli, li mette in punizione perché sono partiti e non dovevano farlo. le parole non scappano dalla blocca e, quando qualcuno dice che c’è la responsabilità di chi mette un figlio su un barcone, significa che siamo al tramonto dell’umanità. Che dire poi della Meloni che convoca il Consiglio dei Ministri a Crotone, in Prefettura? Perchè non dove si sta consumando tutto ciò? I morti sono nelle bare, loro sono rimasti vivi e vengono reclusi in un luogo che, se fosse galera, sarebbe veramente migliore».

Il tutto consumato nell’estrema confusione da parte di chi vorrebbe solo raggiungere i parenti e andare via, senza pensare a cosa e come fare.

«Ci interessa veramente quale aspetto burocratico vogliono dare alla loro vita? Abbiamo riflettuto – conclude il deputato di Sinistra Italiana – sul fatto che queste sono le persone di cui si sta parlando da nove giorni senza però chiederci che fine avessero fatto? .Cosa potere mai rispondere a una donna con una bambina di neanche tre anni costretta ad andare nello stesso bagno degli uomini, quando mi dice: “Voglio andare via, non posso più stare qui”? Cosa dire a quegli uomini che hanno perso moglie e figli e non possono piangere sulle loro bare? Dovremmo testimoniare tutta la cura di cui siamo capaci, invece ci comportiamo nelle peggiori delle maniere. Noi faremo un’interrogazione, ma si tratta sempre di domande alle quali, se si daranno risposte, non sarà mai nei tempi che richiederebbe un intervento di reale umanità».


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