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Ha ancora senso celebrare la giornata della donna?

Le mimose non bastano. Ma al di là della retorica e del pinkwashing, perché oggi ha ancora senso celebrare la Giornata internazionale della donna? Lo abbiamo chiesto ad alcune donne del non profit. Ecco le loro risposte

di Sara De Carli

In Italia è la 101esima volta, essendosi svolta la prima Giornata internazionale della donna nel 1922. Facile oggi dire che le mimose non bastano. E facile anche liquidare con un’alzata di spalle, fra il cinico e il rassegnato, l’ennesima giornata che il calendario ci invita a celebrare a suon di spot, gadget e pink (o quel che è) whashing. Ma ha ancora senso questa giornata? Sì, se è vero come è vero che anche nel 2022, come da sette anni a questa parte – da quando cioè è nato Vox-Osservatorio italiano sui diritti – le donne restano stabilmente al primo posto come categoria più odiata sui social. Questa è la una prima piccola parziale risposta. Le altre sono nei messaggi che undici donne del Terzo settore hanno scritto per VITA e per tutte e tutti noi. Perché quello della parità non può essere solo un problema “delle donne”.


Maria Laura Conte, direttrice comunicazione Fondazione Avsi

In questi giorni la mimosa del mio giardino sta caricandosi come una mina per scoppiare con il suo colore e celebrare una giornata di cui ancora abbiamo bisogno: per ricordare quante (troppe) donne, dalle più giovani, alle più anziane, ancora vivono in contesti in cui i loro diritti sono conculcati e dove è negata loro la possibilità di essere pienamente protagoniste della loro vita, di poter accedere a un’educazione di qualità per poter pensare criticamente e avere la chance di trovare un lavoro che corrisponda a loro. Un lavoro che le renda indipendenti e in grado di restituire alle loro comunità tutto il bene di cui sono portatrici. Serve questa giornata nei Paesi in via di sviluppo, e serve qui: è un’occasione per comprendere (o riconoscere) il profilo dinamico della differenza femminile e il suo apporto unico, indispensabile alla vita comune. Senza contrapposizioni, senza derive ideologiche sterili, ma con passione per l’umanità, quindi con curiosità e realismo.


Francesca Gennai, presidente cooperativa La Coccinella

L’8 marzo perché? Uno, perché gli educatori nella fascia 0-3 anni sono mosche bianche e visti con diffidenza dai più. Due, perché ci sono ancora molti babbi che si sentono di giustificarsi perché sono loro a seguire l’ambientamento al nido e troppe mamme che arrivano trafelate a riprendere il figlio/la figlia portandosi dietro il senso di colpa di essere uscite tardi dal lavoro. Tre, perché il primo numero di contatto che una famiglia lascia per le comunicazioni relative ai figli è sempre quello della mamma. Quattro, perché nessuna figlia dovrebbe chiamarti all’uscita da scuola dicendoti che un compagno le ha toccato il sedere in classe.


Francesca Arcadu, fondatrice e componente del Gruppo Donne Uildm

Per me l’8 marzo è un’occasione politica per gridare come per una donna disabile la maternità sia un percorso a ostacoli; l’accessibilità ai controlli e ai servizi legati alla salute carente. Per ribadire che sessualità e affettività sono aspetti che fanno parte delle nostre vite ma non possiamo goderne liberamente. È un giorno per stringere alleanze con tutte le altre donne.

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Barbara Antonelli, responsabile comunicazione ActionAid Italia

Vorrei un 8 marzo spogliato dalla retorica, dal pinkwashing, dal rito senza contenuti. Vorrei che tutto l’anno le questioni che hanno a che fare con i diritti delle donne e i diritti lgbtqi+ siano sempre sotto i riflettori. Vorrei che il femminismo arrivi ad ogni orecchio e ogni bocca. Che sia la lente con cui si analizza il mondo e le relazioni di potere. Il pensiero con cui chi è più consapevole del proprio privilegio si impegna per una società più giusta. Vorrei che si parli di una leadership femminista e non femminile. In Italia e nel mondo l’attacco ai diritti delle donne anche già acquisiti è cosa di tutti i giorni. Per questo violenza e discriminazioni di genere, precarietà della vita, disparità salariale, autodeterminazione rispetto al proprio corpo, mancanza di rappresentanza, lotta agli stereotipi (che ancora esistono in una società patriarcale costruita a immagine e somiglianza degli uomini) devono essere al centro del discorso pubblico e dell’agenda politica. Invece questi fattori sono percepiti (e raccontati) come problemi “delle donne”.


Miriam Cresta, ceo di Junior Achievement Italia

L'8 marzo non solo serve ancora, serve oggi più che mai. La rivoluzione tecnologica, la recente pandemia, la guerra ritornata anche in Europa, le migrazioni e la crisi climatica aprono opportunità nuove, ma anche nuove forme di esclusione dall'istruzione per troppe bambine e ragazze nel mondo e in Italia. Serve indirizzarle con coraggio e determinazione ogni giorno a scuola e a casa a considerare le nuove professioni tecnico scientifiche, a diventare autonome nella gestione del proprio denaro ma soprattutto a sviluppare quelle competenze trasversali che le metteranno in grado di "prendersi" il proprio posto nella società.


Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children Italia

Guardiamo all’8 marzo con gli occhi delle bambine. Quelle che rivendicano il diritto di studiare, di non essere infibulate, morire di parto, diventare bottino di guerra. Liberiamo (anche in Italia!) gli occhi delle bambine dagli stereotipi, spalancando gli orizzonti delle loro aspirazioni. Altro che demodé: questa è una “festa” da custodire e tramandare, grate ai movimenti femministi che ce l’hanno consegnata a caro prezzo. Le tante giovanissime leader che oggi lottano per la giustizia sociale e ambientale dicono che ci riusciremo. Perché «le donne sono in grado di cambiare l’intero corso della storia del mondo», come affermava cento anni fa Eglantyne Jebb, fondatrice di Save the Children.


Raffaella Pannuti, presidente Fondazione Ant

Essere donne è un fatto di identità e alterità. Identità perché (per fortuna) vivo in una parte del mondo in cui la parità sociale e intellettuale della donna sono riconosciute. Alterità perché, dal punto di vista anatomico e fisiologico, il maschio e la femmina della nostra specie sono davvero differenti, come prova la medicina di genere. Affinché si tenga bene a mente dove iniziano e finiscono uguaglianze e differenze, però, la guardia va ora tenuta più alta che mai. Per ribadire la distanza da chi, lontano dall'Occidente, ancora insinua inaccettabili perplessità sulla possibilità che una donna valga quanto un uomo.


Roberta Vincini, presidente Comitato nazionale Agesci​

Mi piace pensare che l'otto marzo possa essere una giornata dedicata al riconoscimento del valore femminile in tanti contesti: nella famiglia, nel lavoro e nella società. Una ricorrenza che ha ancora senso oggi celebrare, in quanto può essere uno strumento utile per mantenere desta l'attenzione sulla condizione della donna che, in molti contesti al di fuori del nostro paese, è priva di diversi diritti fondamentali della persona. Nella nostra società siamo ben lontani da una condizione di parità, possiamo fare di più.

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Anna Lisa Mandorino, segretario generale Cittadinanzattiva

Continuare a celebrare l’8 marzo significa accendere un alert sulla condizione femminile non ancora garantita in tante dimensioni della vita di una donna. Come Cittadinanzattiva, nell’immediato futuro approfondiremo i temi della violenza economica, meno visibile rispetto alle forme più drammatiche di sopraffazione fisica o psicologica, della caregiver familiari e della mancanza di attenzione alla salute di genere in particolare nelle sperimentazioni dei farmaci.

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Lea Barzani, head of external relations Cbm Italia

Penso che l’8 marzo sia l’occasione per soffermarci sulle sfide che ancora oggi incontrano tante donne nella vita di tutti i giorni. Difficoltà che sono amplificate dall’avere una disabilità, come le donne che, in questi anni, ho incontrato per lavoro in tanti Paesi poveri del mondo. Donne desiderose di essere protagoniste della propria vita, di fare la loro parte nella comunità attraverso il lavoro e la famiglia. Donne che ogni giorno lottano per far valere i loro diritti ed esprimere il proprio potenziale.

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Rachele Michelacci, vicepresidente Aism

L’8 marzo ricordiamo le conquiste raggiunte dalle donne, anche se discriminazioni e violenze sono ancora quotidianità taciuta da molte donne, soprattutto se disabili. L’impegno di Aism con l’Agenda 2025 è aiutarle nell’affermazione dei loro diritti in ambito lavorativo e sociale, acquisendo consapevolezza e dignità affinché possano essere ascoltate e accompagnate fuori dalla spirale della violenza.


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