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Attivismo civico & Terzo settore

Implementare la filantropia per famiglie e imprese

Nel contesto italiano, in cui le imprese familiari giocano un ruolo di primo piano, gli enti del Terzo settore possono rappresentare sempre di più il veicolo concreto attraverso cui è possibile implementare questi obiettivi: ad esempio, il "set up" di una fondazione, di un trust o di un fondo filantropico può diventare lo strumento principale attraverso cui una famiglia o un’impresa portano avanti un disegno strategico e di valore in un’ottica win-win

di Alessandro Bortolussi e senior manager di EY SLT

Il contesto attuale pone sempre maggiore attenzione alla necessità di un contributo nella società da parte dei diversi attori coinvolti, in primis le imprese. In quest’ottica è fondamentale individuare le modalità con cui rendere concreta e tangibile la “S” di Esg ovvero il pilastro social di un approccio anche ambientale e di governance.

Nel contesto italiano, in cui le imprese familiari giocano un ruolo di primo piano, gli enti del Terzo settore possono rappresentare sempre di più il veicolo concreto attraverso cui è possibile implementare questi obiettivi: ad esempio, il set up di una fondazione, di un trust o di un fondo filantropico può diventare lo strumento principale attraverso cui una famiglia o un’impresa portano avanti un disegno strategico e di valore in un’ottica win-win. Sono molteplici, ma complementari, i punti di vista e gli approcci alla filantropia delle imprese familiari, dei family office e di altri operatori.

Ciò è emerso molto chiaramente anche in occasione di una tavola rotonda promossa da EY, alla quale hanno preso parte Fabrizio Serra di Fondazione Paideia, Alessandro Panerai di Heritage Holdings e Giacomo Martinoli di Fiduciaria Giardini.

In particolare, un aspetto di notevole interesse sottolineato da Panerai è, per così dire, la difficoltà di incrocio tra “domanda e offerta di azione filantropica” per i cosiddetti High Net Worth Individuals (HNWI, ovvero le persone fisiche con un significativo patrimonio). In altri termini, al contrario di quanto si potrebbe normalmente pensare, vi è una diffusa volontà, da parte degli HNWI, di impegnarsi e di impegnare risorse nella filantropia o comunque in progetti che possano avere un impatto positivo sul pianeta e sull’umanità. Tuttavia, e qui emerge l’aspetto più sorprendente, poche di queste persone dispongono di strutture e consulenti in grado di proporre progetti realmente soddisfacenti, per cui il risultato finale è che molta di questa “spinta filantropica” semplicemente si perde e non viene messa a terra. Questa mancanza di consulenza qualificata in ambito filantropico determina quindi un gap che crea un danno notevole: trattandosi di mancati investimenti di persone molto facoltose, è evidente che i progetti non finanziati e non attuati avrebbero potuto generare un impatto molto significativo negli ambiti più svariati.

Il riferimento all’ampiezza degli ambiti di azione è un altro aspetto molto importante da tenere in considerazione quando si pensa alle possibilità di intervento degli HNWI, poiché non bisogna considerare solo le erogazioni liberali tout court (quindi con classiche donazioni a “fondo perduto”, per quanto di ammontare significativo) ma anche la vastissima platea di progetti che possono benissimo coniugare un certo ritorno economico con un impatto positivo (sia esso sociale, ambientale, di sviluppo economico, etc.) reale e quantificabile. Anzi, forse è proprio questo l’ambito più interessante nel quale questa categoria di persone (che spesso sono manager, imprenditori, operatori di private equity, etc.) può essere più presente ed efficace, proprio in virtù delle proprie competenze professionali ed inclinazioni personali.

Il ruolo del Terzo settore

A questo proposito, la strada indicata dalla riforma del Terzo Settore, che comincia a superare la rigida dicotomia tradizionale tra attività economica volta al profitto e Terzo Settore, può essere una via importante anche per la realtà italiana.

Proprio con riferimento alla realtà italiana, Fabrizio Serra è testimone dell’impegno filantropico di due storiche famiglie imprenditoriali piemontesi che hanno concretizzato, istituendo Fondazione Paideia, il desiderio di impegnarsi nel terzo settore a partire dai bisogni concretamente espressi dal territorio. Contrariamente a quanto spesso accade, infatti, Paideia nasce prima da uno studio approfondito che ha individuato un bisogno fortemente avvertito a livello locale (i.e. l’assistenza ai bambini con disabilità) e poi dalla messa a terra di una iniziativa che potesse venire incontro in maniera professionale, strutturata e duratura a tale bisogno. È un esempio concreto di come il tessuto imprenditoriale italiano, fortemente a base familiare, può intervenire in maniera efficace con iniziative filantropiche di grande impatto.

Tale intervento si sta poi ampliando con la possibilità di creare fondi filantropici, ovvero dei fondi, incardinati presso la fondazione, costituiti a fronte di una donazione effettuata con finalità specifiche. I fondi filantropici sono quindi uno strumento duttile e molto utile per tutti quei donatori che, pur avendo in mente una certa finalità filantropica da portare avanti nel tempo, non vogliono o non possono costituire ex novo una struttura, come ad esempio una fondazione, a ciò dedicata. In questo modo, al donatore è offerta la possibilità di effettuare la donazione a favore di una fondazione già esistente e di comprovata professionalità (come è nel caso di specie Paideia) e tale donazione andrà a costituire un fondo che perseguirà il progetto filantropico indicato dal donatore sotto la supervisione della fondazione prescelta, con l’ulteriore vantaggio di poter coinvolgere il donatore (fintanto che sarà in vita, e dopo un suo successore) nelle decisioni relative alla gestione del fondo e al suo utilizzo per il perseguimento del progetto filantropico a cui è destinato. Esistono anche fondi “aperti”, a cui possono partecipare molteplici donatori: in questo modo si possono raccogliere e mettere a frutto anche donazioni di minore entità ed evitare la proliferazione di piccole fondazioni che, essendo dotate di un modesto patrimonio, avranno possibilità di azione limitate e un orizzonte di vita incerto.

Filantropia e tessuto imprenditoriale

Vi è poi un altro aspetto interessante che lega l’azione filantropica con il tessuto imprenditoriale italiano a base familiare.

Come osservava Martinoli, infatti, la decisione dell’imprenditore di impegnarsi nella filantropia comporta quasi sempre anche una spinta positiva a effettuare una valutazione globale del proprio patrimonio e, soprattutto, a cominciare a riflettere sul passaggio generazionale, che è uno dei temi più importanti in un contesto di imprenditoria familiare. Poiché l’età media degli imprenditori italiani è piuttosto elevata, un numero significativo di aziende e di patrimoni passerà di mano nel prossimo decennio. Spesso questo passaggio avviene senza una reale pianificazione, comportando seri rischi per la sopravvivenza dell’azienda. Il fatto che l’impegno filantropico obblighi a tenere in considerazione anche gli impatti successori è quindi un ottimo stimolo anche per affrontare un tema da sempre irrisolto nella cultura imprenditoriale italiana. Ancora una volta, quindi, torna in primo piano l’importanza della consulenza qualificata, che aiuti l’imprenditore, da un lato, a perseguire il suo desiderio di impegno filantropico in modo efficace e, dall’altro, a contestualizzare questo impegno in un discorso più ampio, che tenga in considerazione anche una visione del futuro dell’azienda di famiglia.

Ne emerge quindi un quadro complesso ma pieno spunti davvero molto interessanti, in cui si intravedono tantissimi campi in cui imprenditoria familiare e filantropia possono efficacemente combinarsi in modo virtuoso e, soprattutto, con reciproche ricadute positive.


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