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Strage di Cutro, le voci dalla piazza

Le voci dei cittadini, degli immigrati che a Cutro sono stati accolti tanti anni fa, le associazioni della società civile, le proteste contro il Consiglio dei Ministri che si è svolto questo pomeriggio nel comune. «Siamo un popolo di emigranti», grida la piazza, «e capiamo bene cosa significhi lasciare il proprio Paese e andare in un’altra terra. L’accoglienza mostrata da Cutro, e dalla Calabria intera, è un segno di riscatto per la nostra terra»

di Alessia Manzi

«Noi arriviamo distrutti dopo dodici ore di viaggio in autobus. Pensa un po’ cosa provano queste persone dopo ore e ore di viaggio. Loro erano quasi arrivati sulla spiaggia». Francesco*, un cittadino di Cutro, commenta così il naufragio avvenuto sulle coste ioniche calabresi domenica 26 febbraio.
«Forse pensavano che il mare fosse calmo, e invece non è andata così. Che sofferenza» aggiunge, che poggiato alla porta di una casa disabitata, attende che la presidente del consiglio Giorgia Meloni e i ministri arrivino alla casa comunale.

«Siamo un popolo di emigranti e capiamo bene cosa significhi lasciare il proprio Paese e andare in un’altra terra. Conosciamo le difficoltà che si vivono in un posto che non è casa tua», gli fa eco Giovanni, un suo amico ormai in pensione che per anni ha lavorato all’estero. «Era il 1964 ed io tornavo a casa dalla Germania. A un certo punto c’è stato un incidente ferroviario e sono morte tante persone. Io sono sopravvissuto e ho potuto vedere mia figlia, che all’epoca era appena nata. So quanto è difficile vivere lontano dai propri affetti», aggiunge sistemandosi la coppola grigia. «Qua sono sempre arrivate le persone ma una cosa del genere non era mai accaduta».

Cutro è un paese di nemmeno diecimila abitanti in provincia di Crotone, a pochi chilometri dalle coste ioniche in cui fino ad ora sono morte 72 persone mentre sono ancora in corso le ricerche dei dispersi. «Noi siamo culturalmente abituati all’accoglienza. Gli abitanti, qui, hanno soccorso i superstiti perché è un segno di umanità e di civiltà», racconta Pina Bruni, ostetrica che si associa al dolore dei familiari delle vittime. «L’accoglienza mostrata da Cutro, e dalla Calabria intera, è un segno di riscatto per la nostra terra. Ci sono persone che non potranno mai dimenticare le scene viste subito dopo il naufragio. Io chiedo che ci sia la pace», dice ancora Bruni.

Intanto a piazza Mercato, uno dei punti principali del comune di Cutro, ci sono già decine di persone che attendono i rappresentanti del governo riuniti qui per approvare il decreto flussi. «Questa è una passerella politica che serve a nascondere il trambusto nato attorno a questa vicenda» afferma Vittoria Morrone, mediatrice al Palamilone di Crotone, la palestra comunale dove si trovano le salme delle vittime del naufragio.

«Nella palestra di Crotone ci sono famiglie e bambini accovacciate tra lunghe fila di bare. Ogni tanto ne giunge una nuova, spesso piccola e bianca», dice ancora la ragazza reggendo uno striscione dietro alcuni peluches stesi a terra. «C’è gente che si dispera. Non sembra vero quel momento, finché si capisce cosa si sta vivendo».

La maggior parte delle persone annegate nel naufragio a 150 metri dalle coste di Steccato di Cutro, a pochi chilometri dal posto in cui oggi arrivano le istituzioni, proveniva dal Medio Oriente; da terre spesso teatro di persecuzioni etniche e di guerre ormai dimenticate. «Sono arrivato su queste coste più di vent’anni fa. Su quella barca partita dalla Turchia eravamo 987 persone, in maggioranza curde» ricorda Talip, mediatore culturale fuggito dal Bakur (Kurdistan Meridionale, Turchia) alla fine degli anni Novanta.

«Questa rotta esiste da venticinque anni, e ancora ricordo come l’acqua dell’imbarcazione su cui viaggiavo avesse sommerso quasi tutta la stiva. I bambini erano stati sollevati per evitare che soffocassero. Come potrei dimenticare?», continua ancora il mediatore. «Questa terra mi ha accolto. E se sono quel che sono lo devo all’Italia, dove mi è stata riconosciuto un minimo di dignità come essere umano».

Al passaggio della presidente del consiglio Giorgia Meloni e del ministro Piantedosi, un gruppo di manifestanti ha lanciato i pupazzi verso le auto dei politici. «Le forze dell’ordine ci volevano spostare. Se ce ne fossimo andati, il presidio sarebbe rimasto nell’ombra», commenta Roberto Panza dello spazio politico La Base di Cosenza. Poco prima del passaggio delle auto blindate, alcuni manifestanti si sono seduti a terra alzando cartelloni su cui c’era scritto "non in mio nome". Altri ancora hanno chiesto le dimissioni dei ministri Piantedosi e Salvini. «La partecipata contestazione avvenuta oggi a Cutro testimonia anche la rabbia di una Calabria abbandonata, dove i giovani sono costretti a emigrare», spiega Panza. Secondo un rapporto di Impresa Lavoro, tra il 2016 e il 2020 sono andati via dalla Calabria più di 15 mila giovani.

«Questa è una terra di emigrazione» aggiunge un signore del posto, fermo accanto a una transenna che divide la piazza dalla strada. «Ieri hanno tentato di spostare le bare a Bologna. I parenti delle vittime, ormai stremati, hanno pacificamente bloccato la strada per evitare che i feretri venissero spostati», continua Panza. «Questo governo criminalizza di chi rischia la vita in mare. Noi ci opponiamo a queste politiche, e per questo rilanciamo la manifestazione prevista per l’11 marzo a Steccato di Cutro».

La sera è ormai scesa sul centro storico di Cutro. In piazza c’è ancora molta gente: tra loro, molti non dimenticheranno mai la speranza di chi non è riuscito a toccare le coste di un’Europa che avrebbe rappresentato una nuova vita.


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