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Castelsaraceno, un ponte di innovazione e di futuro

Rocco Rosano, 45 anni, è al terzo mandato di sindaco di Castelsaraceno, 1.300 abitanti circa in provincia di Potenza. Per riattivare la sua comunità punta su ascolto e partecipazione. E per sognare il futuro decide di costruire il ponte tibetano più lungo del mondo, un'opera di alta ingegneria che parte dal cuore del centro storico del piccolo comune

di Gabriella Debora Giorgione

Nella quindicesima puntata di Piccoli comuni, grandi Sindaci vogliamo scoprire cosa c'è dietro alcune scelte apparentemente "fuori misura" che alcuni sindaci fanno per le loro comunità. Sfidando, anzi rompendo, l'abitudine al "non succede mai nulla" e vincendo l'inerzia del "tanto non cambierà mai".

Il raffreddore non dà tregua, ma chissà se non respiri per il naso tappato oppure per la paura di restare sospesa per 586 metri ad 80 metri di altezza camminando su 1.160 traversine calpestabili. Opera ingegneristica straordinaria che ha impiegato 24 tonnellate di acciaio e 5.500 metri lineari di funi e cavi di ancoraggio, il ponte pedonale tibetano più lungo del mondo, che collega il Parco Nazionale del Pollino e quello dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese, è stato costruito a Castelsaraceno, il borgo a forma di cuore in Basilicata, provincia di Potenza. Maglia rossa, gonfalone alle spalle, Rocco Rosano siede nel suo studio di sindaco: è stato eletto nel 2012, poi nel 2017 e per la terza volta nel 2022.

Sindaco, questo è l’ultimo mandato, dunque…
Per legge sì, ma l'impegno per la politica è molto più grande del ruolo che si riveste. Per me fare il sindaco di una piccola comunità significa svolgere un servizio prezioso per la comunità, per il territorio e fare in modo che questi piccoli scrigni di bellezza possano brillare di luce propria e avere comunque nel futuro una speranza di bellezza e di vita. I piccoli comuni secondo me possono essere laboratori di innovazione sociale e di rigenerazione che rappresentano un nuovo modo di pensare allo sviluppo dell’Italia, invertendo il paradigma che lo stato tante volte mette nelle politiche dicendo che c'è un divario tra Nord e Sud. Io credo invece che ci sia un divario tra centro e periferia.

Innovazione sociale, sviluppo, visione strategica. Lei ci è riuscito?
Il mio impegno in politica nasce innanzitutto da un sentimento forte che nutro per questa comunità e questo territorio, ho proprio sentito la l'esigenza di mettermi a disposizione. Io sono partito da un'azione di co-progettazione, di coinvolgimento attivo e proattivo della mia comunità per decidere insieme, su qualsiasi azione strategica l'amministrazione mettesse in campo, quali fossero gli investimenti giusti e quali fossero le linee strategiche di sviluppo che questa comunità doveva sposare. La politica è lo strumento per creare condizioni di benessere psicofisico delle comunità, ma anche per invertire i punti di vista della mentalità dominante. Io penso di esserci riuscito. Ci sono voluti tempo, perseveranza e caparbietà, però noi nel 2021 abbiamo inaugurato non il ponte tibetano più lungo del mondo, ma l’ecosistema turistico partecipato di Castelsaraceno. Non abbiamo inaugurato un'opera pubblica, ma una nuova era costruita con delle azioni pensate, condivise, implementate, discusse con la comunità perché nessun progetto può partire dall'idea di un singolo se poi non viene condiviso con tutti gli elementi dell'ecosistema. Quindi, al centro di tutto noi mettiamo l'uomo come elemento essenziale della nostra progettazione: non i numeri, non la burocrazia, ma la persona. Un sindaco e la sua amministrazione devono ascoltare le esigenze del proprio territorio e farle diventare un punto di forza dell'azione politica, realizzandole.

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All'inizio avete lavorato su una Mappa di comunità, giusto?
Esatto, lo abbiamo fatto nel 2015-2016. Abbiamo ascoltato tutti i nostri cittadini, dagli anziani ai più giovani, dalle imprese alle famiglie, dalla scuola alla chiesa, e tutti gli stakeholders della comunità per capire quali erano i punti di forza, di debolezza, le minacce e le opportunità della comunità di Castelsaraceno: una analisi di comunità che ha dato risultati straordinari. Un flusso costante di informazioni su cui abbiamo rettificato il tiro della nostra programmazione strategica.

Sorprese?
Guardi, innanzitutto ho compreso che chi fa politica e ascolta i cittadini con occhio e orecchio umili e come un buon padre di famiglia, cioè in un legame di filiera corta di prossimità, riesce a scoprire tante cose che anche in un ruolo democratico come quello del sindaco può sfuggirti. Tutti insieme abbiamo scoperto i nostri punti di forza, ma anche i limiti di una politica passata che non ha portato questa comunità allo sviluppo desiderato. Quindi il dialogo, l'ascolto, la condivisione, la co-progettazione il co-design di comunità, hanno un valore straordinario. In questo, il terzo settore è stato sostanzialmente il motore di un’azione politica che è penetrata all'interno delle famiglie.

Mi fa un esempio?
Abbiamo iniziato con “Borgo Fiorito”, un progetto che ha stimolato a prendersi cura del vicinato e ne è nata anche un’Associazione che ha promosso laboratori del legno, della ceramica e della piantumazione che ha coinvolto tutte le famiglie. È anche così che nasce una comunità: quando si usa il “noi” e non più “io”, quando ognuno di noi è disponibile a dare qualcosa all’altro con quella cultura del dono che è indispensabile anche in politica. Su questa scia è nato il progetto del Museo della pastorizia e anche il progetto del Sistema Accoglienza integrazione-Sai, dove ospitiamo 20 famiglie.

Giovani e scuole? Siete riusciti a frenare lo spopolamento?
Come in tutti i piccoli comuni, il Sai ci sta aiutando molto perché le scuole riusciamo ancora a reggerle, fino alle medie. Pensi che ci sono famiglie che dopo il progetto sono andate a vivere fuori, ma per Natale e le vacanze tornano a “casa”, a Castelsaraceno. Alcune, invece, sono rimaste qui e noi abbiamo insistito perché abitassero nel centro storico perché il nostro futuro è lì e dobbiamo riempirlo di valori e di cultura. E questo è in linea con la nostra politica di “consumo di suolo zero”: a Castelsaraceno si deve recuperare quello che c'è a livello edilizio e urbanistico, senza costruire altre “cattedrali” visto che c’è una marea di case abbandonate. È qui che nasce anche l’idea del ponte.

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Il ponte tibetano più lungo del mondo nasce da un centro storico di 1.300 abitanti?
Sì, dal castrum saracenum stiamo rigenerando il nostro territorio attraverso un'opera di ingegneria internazionale che, di fatto, sta portando gli interessi economici e sociali a guardare di nuovo lì, al centro.

Ma l’idea del ponte quando e come le è venuta?
Non ero neanche sindaco. Negli anni 2000-2008-2010, io ero presidente della pro-loco e già immaginavamo di cambiare il nostro paese reagendo alla frase “qua non si può fare niente”. Abbiamo pensato che se avessimo fatto qualcosa che facevano tutti, qui a Castelsaraceno non ci sarebbe venuto nessuno. E così abbiamo cominciato a pensare di fare qualcosa che fosse unica al mondo. Il ponte era anche un messaggio importante, perché un ponte unisce due luoghi, due punti lontani. C’è stata l’intelligenza delle migliori aziende e dei migliori progettisti europei. Si figuri che il ponte è gestito da un’azienda di Monaco di Baviera con il sistema SkiData: conosciamo ogni dettaglio di tutti quelli che entrano, è stata una mia esplicita richiesta avere tutti i dati dei visitatori, ad oggi ho 32mila email in archivio perché la relazione con chi è venuto deve continuare.

Quanto è costato?
Un milione e mezzo di euro, costruito in tre anni, lockdown compreso.

E ve li siete ripresi? Quante persone avete impiegato?
Abbiamo recuperato almeno per cinque volte la spesa, oggi ci lavorano 23 persone e sono coinvolte anche le persone del Sai. Ma quello che guadagniamo noi lo reinvestiamo completamente nella comunità. Un sistema che si autoalimenta e si autosostiene. È una economia di comunità che sta generando anche un progetto di fondazione di comunità che gestirà tutto il nostro ecosistema. L’Ente pubblico ha forti limiti amministrativi, mentre nella fondazione di partecipazione pubblico e privato si metteranno insieme su questo grande progetto economico e sociale, ma con una visione etica, di responsabilità sociale e di innovazione sociale che progetta anche la creazione di un centro di eccellenza per la ricerca nazionale e internazionale. Castelsaraceno deve diventare un modello: i piccoli comuni possono essere il vero laboratorio di sviluppo.

Quindi finito il mandato di sindaco c'è la fondazione?
L'ho detto all'inizio. L'impegno per la politica è molto più grande del ruolo che si riveste.

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Sabato 28 marzo 2023 saremo a Ussita, piccolo comune nel "cratere" delle Marche


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