Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Media, Arte, Cultura

Citto Maselli: «Rifiuto la povertà come condizione fatale»

È scomparso oggi a Roma all'età di 92 anni il documentarista assistente di Antonioni e Visconti. Riproponiamo un'intervista pubblicata in occasione dell'uscita di "Civico 0". Opera dedicata ai senza fissa dimora: «credo che, stancamente, molti di noi si siano adeguati all'esistente. Praticare una politica basata sulla tolleranza e l'accoglienza non sono parole vuote. Tolleranza ed accoglienza che non sono esattamente caritas e pietas, ma c'entrano molto con questi due concetti»

di Susanna Battistini

Nato a Roma il 9 dicembre 1930, documentarista e assistente di Antonioni e Visconti, Citto Maselli (nella foto Sintesi nel 005 con Fausto Bertinotti e Nichi Vendola per i 90 anni di Pietro Ingrao), scomparso oggi all'età di 92 anni, esordì nella regia con Gli sbandati (1956). Tra i suoi film, che indagano la realtà contemporanea, I delfini (1961), Gli indifferenti (1967), Il sospetto (1975), Una storia d'amore (1986), Codice privato (1988), L'alba (1991), Cronache del terzo millennio (1996), Frammenti di Novecento (2005), Ombre rosse (2009), Scossa (diretto con Gregoretti, Lizzani e Russo, 2011). Nel 2008 la nostra collega e collaboratrice Susanna Battistini lo intervistò per VITA. Un dialogo che riproponiamo oggi.


1953. Esce Amore in città, film ad episodi. Citto Maselli, al debutto nella regia narrativa, dirige l'episodio Storia di Caterina, un fatto di cronaca realmente accaduto. 2008. Esce Civico 0, film documentario in cui Maselli racconta tre storie di povertà e solitudine nella Roma maestosa ed opulenta. Cinquantacinque anni dopo, il regista ora settantasettenne torna a raccontare la desolazione, la disperazione di chi vive ai margini della collettività perché abbandonato a se stesso, perché non accolto nel grembo di una società diventata ormai sorda e cieca.
Maselli nella sua vita ha diretto moltissimi documentari, anzi la sua passione registica è nata da lì, dall'aver dormito per un anno intero nei corridoi delle case dei sindacalisti che andava a filmare. Con questo Civico 0 (espressione con cui definisce i senza fissa dimora), la realtà troppo cruda dei protagonisti veri delle tre storie è sorretta dalla recitazione degli ottimi Massimo Ranieri, Ornella Muti e Letizia Sedrick. È Maselli stesso a precisarlo: «Quando feci Storia di Caterina pensavo che fosse giusto filmare la vera protagonista della storia (ricordiamolo, una domestica che per disperazione è costretta ad abbandonare il proprio figlioletto in un campo, ndr). Oggi, mi rendo conto che sbagliai, perché è troppo impudico mettere così a nudo un dolore che non trovi le parole per definirlo».


Il suo film, come qualcuno lo ha definito, è stato sicuramente un film necessario. Qual è stato il sentimento prevalente che l'ha spinta a realizzare quest'opera?
Il sentimento di indignazione. Io parto dal rifiuto che la povertà debba essere una condizione fatale. Parto dal mio bisogno di non adeguarmi alla realtà esistente. Noi viviamo una situazione pre cristiana, dove la globalizzazione, con la sua visione economica legata al profitto, rende superflui i governi. Siamo tornati alla concezione antica della società, uomini, donne e schiavi. Dove i diritti umani, la solidarietà, l'assistenza non sono più concetti chiave per la crescita di una società sana. Tutto viene completamente deconflittualizzato. Tutto appare normale, anche le cose più atroci che accadono in questi giorni.
Nel dopoguerra, quando lei ha girato Storia di Caterina, vigeva la logica della necessità, oggi viviamo immersi in un mondo pieno di possibilità e dove il consumismo ha prodotto una civiltà nella quale i rifiuti riempiono le strade, come si vede bene in Civico 0. Dove abbiamo sbagliato?
Una domanda che presupporrebbe una vita per rispondere. Quello che posso dire, per quanto mi riguarda, è che la sinistra, affiancata al cristianesimo, poteva essere la risposta e, secondo me, lo è ancora. Dove non c'è caritas e pietas non c'è civiltà.
Nel suo documentario colpisce il parallelismo crudo e angosciante delle persone che sembrano mosche ronzanti intorno agli immensi scarti cittadini. Eppure è fortissima la dolente umanità che percorre tutto il film. Lei ha ancora speranza che le cose possano cambiare?
Speranza? Mi ci fa pensare adesso lei. La molla che mi ha spinto a fare questo film è stato un articolo di Luigi Pintor dove raccontava dei meccanismi migratori e di tutte le nuove disperazioni planetarie. Quel testo si concludeva con queste parole: «Tutto questo andrà e andrà ancora avanti, finché la terra tremerà di nuovo sotto i nostri ben calzati piedi». I nostri ben calzati piedi, capisce? E mi riferisco anche a chi si professa di sinistra, che in qualche maniera sta dimenticando la prospettiva da cui era partito.
A proposito di speranza cosa pensa dell'enciclica del Papa Spe Salvi e della sua critica a Marx, dove dice che «che il vero errore è il materialismo: l'uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli».
Marx va sicuramente inserito nel contesto in cui viveva, senza rinnegare affatto l'attualità del suo pensiero. Ma il problema vero è che molti hanno dimenticato Gramsci. Gramsci proponeva un nuovo umanesimo. Bisognava combattere l'alienazione del lavoro ma di pari passo affiancava a questa lotta l'amore per la conoscenza affinché ognuno potesse darsi una coscienza critica. Liberare gli oppressi dal bisogno, perché se hai fame non ti viene certo voglia di leggere un bel libro, ma contemporaneamente stimolare alla conoscenza. Il dramma è che se ora parli di Gramsci, anche a sinistra c'è chi alza gli occhi al cielo. E pensare che la nostra tradizione parte proprio da lui!
Cosa pensa di Ettore Scola che, riferendosi ai fatti di Roma dopo l'uccisione di Giovanna Ruggieri per mano di un rumeno, ha paragonato le ruspe che hanno sgomberato i campi rom ai vagoni piombati delle deportazioni naziste?
È un paragone molto forte che io ho condiviso. Perché, se lo ha detto Scola che è molto legato al sindaco Veltroni, può voler dire che forse adottare misure demagogiche può essere un grave errore, perché il rischio grande è quello che ha intravisto Marco Revelli ad un convegno dell'associazione Gulliver al quale anch'io partecipavo. «Le decisioni dei sindaci di Cittadella o di Firenze sono frutto di ostilità etnica, incultura giuridica, derive populistiche che sfruttano la cattiva coscienza dei cittadini a fini politici». Come non essere d'accordo con queste parole!
Lei non hai mai nascosto le sue idee, anzi è stimato proprio per la sua coerenza, ma secondo lei dove ha sbagliato la sinistra se oggi alcuni temi come la sicurezza e l'immigrazione non riesce a gestirli in modo convincente?
Lo ripeto: credo che, stancamente, molti di noi si siano adeguati all'esistente. Praticare una politica basata sulla tolleranza e l'accoglienza non sono parole vuote. Tolleranza ed accoglienza che non sono esattamente caritas e pietas, ma c'entrano molto con questi due concetti. Io prima di fare questo documentario ho raccolto, grazie alla collaborazione preziosissima di Gioia Benelli e Susanna Capristo, più di cento storie. La storia di Nina è la storia di una donna che decide di restare segregata in una casa per due anni e mezzo perché quei soldi che guadagna sono destinati a far vivere la sua famiglia. Badi bene ho detto vivere non sopravvivere. Perché i suoi genitori in Romania rischiavano di morire di fame. Bisognerebbe ricordare che chi viene nel nostro Paese lo fa per una necessità vitale, sono pochissimi quelli che lo fanno per delinquere. Bisogna non adeguarsi al buon senso apparente che produce solo atrocità.
Lei è tornato al documentario in occasione del G8. Da allora sembra che l'immagine della polizia, nonostante la tv da anni ci propini fiction di eroi in divisa, abbia subìto una discesa agli inferi non indifferente. Non c'è il rischio di ridurre allo stereotipo "polizia come nemico" una realtà ben più complessa?
Su questo ho una posizione molto critica. La polizia dovrebbe essere garante dello Stato democratico, la cultura in cui vengono immersi i poliziotti, invece, è spesso impregnata su concetti che sono lontanissimi da quell'idea che dicevo io di caritas e pietas. Non si può mai peccare di complessi di superiorità. Meno che mai lo deve fare un poliziotto!
La sinistra continua a smembrarsi, la destra non sta certo meglio. È veramente in crisi l'idea di politica come l'abbiamo conosciuta finora? È utopico pensare che le nuove generazioni potranno far meglio dei loro padri?
Se volessi lasciarmi andare alla depressione avrei molte ragioni per farlo. Ma sono da sempre impegnato a cercare di trasmettere i valori in cui credo con i miei film o le mie azioni. Se i giovani riprenderanno in mano la loro vita ci sono delle ottime possibilità che il futuro sia meno nero di quello che appare. Pensiamo ai nuovi media: se capiranno che l'apparire è assai meno rivoluzionario che trasmettere idee come giustizia, solidarietà, partecipazione su scala planetaria forse si potrà cominciare a pensare di aver un po' invertito la rotta.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA